Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci presenta una tavola. E spiega le ragioni per cui vi è particolarmente legato, o cosa lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica tocca a Paolo Bacilieri, fumettista e autore di opere come Fun, Napoleone, Zeno Porno, Sweet Salgari. Esordisce negli anni Ottanta, pubblicando tra Francia e Italia, ed è uno dei nomi più rappresentativi del fumetto italiano. Attualmente è al lavoro sulla biografia di Piero Manzoni, intitolata Basta a ciascun giorno la sua pena.
Avevo in mente la pagina finale muta di Mondo mutante di Corben, che mi commuove sempre, o una di quelle stupende pagine desertiche de Gli scorpioni del deserto di Hugo Pratt con gli interventi tecnici di Guido Fuga, però poi alla fine questa di Crumb ha vinto. Intanto va detto che si tratta di una storia (una Storia lunga perlomeno 300 anni), raccontata in una sola pagina.
E come mai pensando a Crumb hai tirato fuori proprio questa? È molto poco rappresentativa della sua poetica
Allora, Brief Visual History of America, 1979, io l’ho scoperta tardi, negli anni Novanta, non mi ricordo esattamente dove, su quale volume… Ma, sì, manca tutto ciò che ha fatto di Crumb “Crumb”, animali antropomorfizzati, Mr. Natural, la musica blues, le sue maggioratone… Ma il suo lucido genio è qui pienamente espresso, e sposta letteralmente i confini di quel che si può fare col fumetto. L’idea è semplice: piazzare una “camera” in un anonimo angolo d’America e lasciarla lì per 2/300 anni. Lo svolgimento è bellissimo, col suo raffinato “onesto” tratteggio, Crumb bypassa giustamente ogni evento storico rappresentativo (non succede assolutamente nulla!) per concentrarsi su una miriade di dettagli favolosi e attentissimi: palizzate, case e casette, pali telegrafici, rotaie, marciapiedi, semafori, insegne pubblicitarie, auto… Per darci, mostrarci lo scorrere del tempo e la trasformazione irreversibile che comporta.
Il rischio di risultare un po’ uno stereotipo c’era, invece Crumb aggira questa trappola portando avanti il flusso temporale. Sarebbe potuto finire alla settima vignetta ma continua mostrando come cambia lo stile dei semafori, evitando quasi di dare un giudizio. Secondo te è così?
Sì, assolutamente, i rischi in una pagina così erano tanti. Ma Crumb vince su tutta la linea, non giudica, mostra. Tranquillamente. Non enfatizza in alcun modo nessuna tematica specifica, si concentra da grande artista quale è sul ricreare la vita, la vita di un incrocio di una anonima cittadina americana, come se fosse un essere vivente (cosa che è) voglio dire…una persona, con le sue caratteristiche fisiognomiche, le sue rughe, le cicatrici…
E dell’epilogo/sequel che Crumb ha fatto nel 1998 pensi la stessa cosa? Perché credo che finisca con l’incartarsi e fare quello che gli era riuscito così bene di evitare, cioè cadere in una banalità moralizzante.
Sì sono assolutamente d’accordo con te. L’appendice è inutile e dimenticabile.
Ripensando a quella coda “futuristica” della tavola, che non sembra riuscire a raggiungere le vette della tavola originale, com’è che un autore è in grado di sfornare due cose così diverse qualitativamente, una così giusta e una sbagliatissima? Secondo te è una domanda lecita da porsi o si tratta solo del fatto che a tutti, anche ai grandi, escono cose buone e meno buone?
Tutte le domande sono lecite. Ed escono certo cose buone e meno buone, perfino se sei Hitchcock, o Natalia Ginzburg. È umano. Per contro anche una cosa meno buona, tipo Il peccato di Lady Considine rimane interessante.
Questa tavola è stata scomposta in tanti modi. Ivan Brunetti nella sua antologia la presenta divisa in quattro pagine. Sul sito di Crumb la si poteva comprare come poster unico. È stata animata nel documentario di Zwigoff, il Guardian l’ha staccata in due tronconi. A tuo gusto, questa è la composizione migliore?
Sono affezionato al formato posterone originale. Però l’animazione Zwigoff non è male, no? Credo che come sanno fare i grandi, anche questo capolavoro di Crumb sia smontabile e rimontabile in vari modi mantenendo la propria efficacia.
Una tavola che senza essere pretenziosa segna un punto di non ritorno. Un fumettista ad un certo punto si “alza in piedi” e mostra cosa si può fare con questo linguaggio. Ci sono momenti così nella storia del Fumetto: oggi a Bologna ho visto la mostra di Pratt, c’era questa tavola iniziale de L’ultimo colpo (1972), di norma una storia d’avventura così all’epoca iniziava con un campo lungo e una bella didascalia…”Dancalia 1919, i nostri eroi hanno raggiunto il fortino…”etc. Pratt inizia con una vignetta quasi vuota con degli anonimi fichi d’india seguita da una serie di dettagli, uno scorpione, una sentinella, una mitragliatrice, etc. accompagnandoli con dei versi (stupendi) di Rimbaud che NON C’ENTRANO UN CAZZO…Poi, caro lettore, capirai, forse, ma intanto beccati questo inizio. Nel 1972 su una rivista per ragazzi (Pif). Una tavola che cambia un po’ di cose. Fine digressione.
Digressione per digressione: ti ricordi quando hai scoperto Crumb, il primo ricordo che hai di lui? E cos’è che ti affascina tanto di questo autore?
Non ricordo con precisione il “primo contatto” ma è stato negli anni Ottanta. Forse il grande cartonato Milano Libri dei primi anni Settanta? O la cover di Cheap Trills di Janis Joplin? O la sua comparsa di fine anni Sessanta su di un vecchio Linus nella biblioteca del Liceo? Di sicuro ho approfondito negli anni Novanta, quando ho acquistato e letto il libro Feltrinelli “Kafka per principianti”. Quel libro mi ha veramente sbalestrato, ecco che Crumb nuovamente esce dal suo territorio e affronta nientepopodimeno che una delle montagne più alte della letteratura europea del 1900, senza timori, complessi, con amore, rispetto, intelligenza, accuratezza, onestà. Da lì ho poi recuperato il resto.
E cosa rende Crumb un grande, ai tuoi occhi?
Be’ questa tavola per esempio. Sarebbe bastato quel che fece negli anni Sessanta, l’underground etc. Ma Crumb ha fatto molto, moltissimo altro. Con altri 2/3 (Jacques Tardi, Tsuge Yoshiharu…) è, credo, uno dei fumettisti più grandi che vi siano su questo pianeta, oggi. Gente che ha spostato, allargato i confini di ciò che si può fare coi fumetti. E influenzato una miriade di altri che senza Crumb non sarebbero, me compreso.
In cos’è che ti ha influenzato, nel concreto?
Nel concretissimo è probabilmente grazie a (o per colpa di) Crumb che mi sono stabilizzato nell’usare il rapidograph. E ho smesso di preoccuparmi di avere uno “stile”.
Mi spieghi quest’ultima cosa: dopo Crumb hai smesso di sentire l’ansia dell’influenza?
In realtà non vorrei semplificare o banalizzare troppo quello che è stato un processo lento e probabilmente necessario, di crescita. Vediamo se riesco a spiegarmi: quando Crumb si disegna adolescente senza un incisivo, nella vasca da bagno, o semplicemente disegna un marciapiede, un’auto ferma, un bidone dei rifiuti, quegli elementi risultano, non tanto disegnati meglio, quanto “esperienziati”, vissuti, come risultato cioè di un una conoscenza diretta (perlomeno io li leggo come tali). Autentici.
Crumb, ha due piedoni ben piantati, uno nella tradizione del cartoon americanissimo e l’altro nel disegno dal vero, nella fiducia e gioia del disegnare dal vero (anche spesso fine a se stessa non applicata ad una storia). Piedoni coordinati da una testa pensante, colta (Crumb è colto, sì, un paio di anni fa ero a cena con lui a Lucca e gli ho regalato Sweet Salgari. Dopo 5-secondi-5, nel fondo di una vignetta dove avevo disegnato un marinaio con una fisarmonica, ha trovato un errore: «I’m sorry, I didn’t mean to upset you but this accordion couldn’t be there at the end of the XIX century» mi disse, gli occhi improvvisamente allegri dietro le spesse lenti. Nella riedizione attuale ho corretto la fisarmonica e messo tra i ringraziamenti Mr. Crumb. Fine digressione autobiografica) e da un cuore appassionato.
Credo possa, specialmente per un europeo come me, rappresentare un “grado zero” di approccio. Credo si possa “copiare” tranquillamente, ecco, alla ricerca non tanto di uno stile ma di una propria voce, e infatti lo hanno fatto in molti, da entrambe le sponde dell’oceano, compresi alcuni “insospettabili” (vero, Chris Ware?).