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Sunday Page: Sergio Varbella

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Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Tuonante questa domenica in cui parlo con Sergio Varbella, grafico, illustratore e autore de Il quarantenne immaginario e Camilla & Ludovico. Fumettologica aveva già ospitato le sue gesta in occasione del Mi Ami 2015.

Topolino e la collana Chirikawa romano scarpa

Da bambino leggevo ogni mese I Classici di Walt Disney in cui venivano ristampate storie pubblicate su Topolino dieci o venti anni prima. Non c’erano i nomi degli autori ma c’era uno che riconoscevo e che istintivamente mi piaceva più di altri. Lo chiamavo “Quello Bravo” fino a quando, molto più avanti, ho scoperto che il suo vero nome era Romano Scarpa.

Nel corso degli anni ho letto e riletto le sue storie di fine anni Cinquanta – inizio Sessanta (L’unghia di Kalì, I gamberi in salmì, Il mistero di Tapioco Sesto, Il doppio segreto di Macchia Nera e altre) che sono invecchiate benissimo, con giusto qualche capello bianco e qualche piccola ruga.

Per me formano un indivisibile nucleo di capolavori Disney, ma ho scelto una pagina di Topolino e la collana Chirikawa perché in questa storia, che è un omaggio a Vertigo di Hitchcock, Scarpa si lascia andare a soluzioni narrative coraggiose e innovative, se pensiamo al periodo – il 1960 – e il contesto – uno dei pochi settimanali a fumetti non considerato “sconveniente” nell’Italia bigotta dell’epoca.

La trama, in brevissimo, vede Topolino alle prese con inspiegabili attacchi di vertigine, come il personaggio di Jimmy Stewart. Si scopre che da neonato era stato vittima di un rapimento lampo, il trauma da cui deriva la sua fobia, ma non gli riesce di ricordare nulla dell’episodio.

Così, alla fine della prima puntata, la spalla del periodo Atomino Bip Bip diventa una specie di analista stilizzato e attraverso il potere del suo flusso di mesoni aiuta Topolino a rivivere l’episodio.

E della pagina che hai scelto che mi dici?

Coerentemente, dato che si tratta dei ricordi di Topolino, Scarpa si permette una soggettiva. Che è già una scelta insolita, rarissima nel fumetto italiano dell’epoca. E poi, essendo la soggettiva di un bebè, il tratto si deforma, da morbido diventa spigoloso, le figure più stilizzate, per creare l’effetto di visione infantile, e in definitiva tutto quello che il lettore vede è molto, molto sinistro. Gambadilegno e Trudy, che si scopre essere i rapitori di Topolino, seppur bambini non sono mai stati così realmente minacciosi e cattivi. Guardiamo ad esempio l’espressione di Gambadilegno nell’ultima vignetta della pagina: è lontano anni luce dal bonario malfattore che conosciamo. Qui sta trascinando il neonato che ha rapito in un casolare abbandonato!

Ecco, riuscire a raggiungere una drammaticità di un tale livello in una storia disneyana, restando perfettamente disneyano non è cosa da poco. Scarpa c’è riuscito.

Questo amore per Scarpa te lo sei portato dietro anche sul lavoro o resta un terreno che ti piace valicare solo come lettore?

Consapevolmente no. Nel senso che non l’ho mai considerato un modello di riferimento, anche perché non mi è mai interessato disegnare paperi o topi (e continua a non interessarmi). I fumetti Disney classici – Scarpa ma anche altri italiani tipo Bottero, Cavazzano, Asteriti, Carpi, poi Barks, Gottfredson, Don Rosa – me li sono sempre goduti come semplice lettore. E però ultimamente ho l’impressione che una certa influenza Scarpa e altri autori – anche molti umoristici extradisneyani suoi contemporanei – ce l’abbiano avuta.

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