La serie animata di Batman del 1992 è ancora oggi un prodotto degno di grande considerazione. Merito dei creatori Bruce Timm e Paul Dini, artefici di un show godibile da un pubblico trasversale ma che affronta senza cinismo o condiscendenza il personaggio di DC Comics. I due, insieme a Mitch Brian, spiegavano i principi della serie al gruppo di sceneggiatori e registi che vi lavoravano con la bibbia di lavorazione (nel gergo televisivo, la bibbia è il documento in cui vengono enucleati gli elementi più importanti della serie: continuity, caratterizzazione dei personaggi, cosa si può o non si può scrivere, ambientazioni, toni).
Le 152 pagine della bibbia di Batman: The Animated Series circolano su internet almeno dal 2009, quando Comics Alliance vi dedicò un articolo, ma sono riemerse di recente grazie a io9. Dopo svariati film e adattamenti – non tutti felici –, il documento è la testimonianza di una serie che sembra restare l’unica ad aver compreso a fondo l’intero universo batmaniano, preservandone l’eredità ma rilanciandolo in modi nuovi (si veda la creazione dell’instant classic Harley Quinn).
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Influenzati dal Batman di Tim Burton, di cui questo cartone si pone come prosecuzione ideale – almeno nel tono e nelle scelte estetiche – gli autori presero le mosse da una versione adulta e oscura del personaggio, che si rifacesse ai romanzi pulp degli anni Quaranta e a scelte di design “Dark Deco” (con un minutaggio altissimo di scene al buio) e che si concentrasse sul lato supereroico. Ergo, minor presenza scenica di Bruce Wayne, che nella bibbia è descritto come «la maschera, dove Batman è la vera personalità».
Ulteriore similitudine con l’interpretazione di Burton è il rifiuto totale del racconto delle origini: «Nella nostra serie non faremo storie sulle origini di Batman. Niente sull’assassinio dei suoi genitori, del film che hanno visto prima di essere ucciso eccetera… Se state pensando a storie del genere, scordatevelo». La regola viene infranta in qualche fugace occasione (in alcuni episodi compaiono attimi del passato di Bruce, ma nulla di strutturato), la più memorabile delle quali resta il film La maschera del fantasma, in cui vengono esplorate le origini di Batman e Joker.
Nelle intenzioni dei produttori, ogni episodio doveva essere un mini-film, con la struttura in tre atti e una sequenza d’azione finale con un set piece d’impatto, una location visivamente suggestiva. È un aspetto che viene sottolineato più volte nella bibbia, insieme al disconoscimento della serie tv con Adam West e degli indelebili BAM! SOCK! PAW!. «L’umorismo dovrebbe emergere naturalmente dai personaggi e mai dal lato camp», scrivevano Timm e Dini. «I dialoghi brillanti vanno bene fin quando sono un riflesso dell’arguzia del personaggio e non dello sceneggiatore. […] I riferimenti alla cultura pop vanno tenuti al minimo. Battute occasionali su qualche trend culturale possono andare ma in minima quantità. La serie dovrà far ridere anche tra dieci o vent’anni, quindi meglio evitare riferimenti specifici che non saranno rilevanti in futuro». Ecco allora che il Joker tagliò drasticamente le battute e i giochi di parole che gli erano appartenuti nelle incarnazioni passate. Era pur sempre un clown, ma uno di quelli che alla commedia fanno seguire la discesa nel serio, perfino nel violento. Come scrisse lo storico Les Daniels in Batman: The Complete History, le scelte estreme di design e la scrittura chiarissima contribuirono a definire il ruolo e l’aspetto di Batman per tutti gli anni Novanta.