È ormai opinione diffusa – condivisa anche da Fumettologica – che il settimanale Topolino sotto la direzione di Valentina De Poli abbia raggiunto una delle vette della sua lunghissima storia. La qualità dei fumetti è spesso elevata, ed anche le storie “riempitivo”, per quanto siano in genere meno interessanti di quelle “da copertina”, sono qualitativamente superiori alle tante brasiliane, danesi o americane che punteggiavano la testata qualche decennio fa.
Con il passaggio del settimanale a Panini, poi, si sono moltiplicate le collane parallele e le riedizioni. E l’attenzione si è rivolta con maggiore cura al pubblico più preparato e ‘adulto’ – cultori, collezionisti e appassionati di buon fumetto in senso lato – ma anche ai nuovi lettori che la redazione sta coltivando. Anche tra i più giovani, insomma, sembrano esserci sempre meno consumatori casuali, che si accontentano delle raccoltone da edicola, e sempre più lettori consapevoli del prodotto che hanno in mano. Questo pubblico resta certamente una minoranza, ma incontrare, online o nei festival, sempre più ragazzini in grado di riconoscere gli autori ed esprimere preferenze motivate, è un buon segnale: mostra che la redazione sta lavorando nella direzione giusta, assegnando il giusto valore agli autori che collaborano al giornale, con uno scouting ragionato e un buon lavoro di stimolo, supporto, comunicazione.
Gli autori al primo posto
Insieme ai lettori, infatti, i primi a giovare di questa ‘rinascita’ del settimanale sono certamente gli autori stessi. Sotto la direzione di De Poli abbiamo visto infatti il ritorno di alcuni sceneggiatori e disegnatori che si erano allontanati dalle pagine del settimanale, attirati dalle possibilità espressive che concede la nuova impostazione del giornale (insieme a condizioni lavorative ritenute soddisfacenti, naturalmente, nell’attuale contesto di merato). Opere come le “parodie” delle coppie Bruno Enna/Fabio Celoni e Francesco Artibani/Paolo Mottura (di cui ha spesso scritto qui Andrea Tosti, non ultima l’analisi del recente Metopolis di questi ultimi), così come molte altre storie pubblicate negli ultimi anni, mostrano la volontà della redazione di spronare gli autori a rinfrescare, se non rinnovare, Topolino, tanto nelle storie che sul piano dei disegni.
La scuola Disney italiana si è sempre caratterizzata per una certa libertà nello stile di disegno. Già dai primi tempi del Topolino “libretto” autori come Angelo Bioletto, Giovan Battista Carpi o Pier Lorenzo De Vita avevano tratti diversissimi e immediatamente riconoscibili. A differenza dell’animazione e delle opere realizzate per il mercato internazionale, soprattutto per il merchandising, gli autori che disegnavano per Mondadori prima e Disney Italia poi sono sempre stati liberi di sviluppare un proprio stile personale. Romano Scarpa, Giorgio Cavazzano, Luciano Bottaro, Sergio Asteriti, Silvia Ziche, Guido Scala – solo per citarne una manciata – hanno caratteristiche uniche, ovvero stili molto diversi l’uno dall’altro anche all’occhio meno esperto. Un fatto ormai sempre più evidente anche all’estero, dove l’interesse per i Disney italiani “classici” ha trovato persino nuova visibilità critica, come nel caso della mostra del 2013 ad Angoulême.
Sotto la direzione De Poli, dicevamo, si nota una volontà di mettere gli autori al centro del giornale, dando loro maggiore libertà e anzi spronandoli a realizzare opere più personali. La conseguenza naturale, quindi, è una maggiore sperimentazione artistica da parte di alcune delle migliori matite di sempre al lavoro su Topolino. Per citare gli esempi più evidenti, ovvero di chi si discosta maggiormente dalla tradizione, è necessario ribadire i nomi di Fabio Celoni e Paolo Mottura, che hanno portato sul settimanale uno stile molto più scuro, cupo, gotico, perfetto per le parodie di Dracula, Jekyll e Hyde e Frankenstein (Celoni) e di Moby Dick e Metropolis (Mottura). Al lato opposto della tavolozza, un disegnatore come Claudio Sciarrone contamina la classica estetica disneyana inserendo suggestioni provenienti dall’animazione giapponese, dai blockbuster americani e soprattutto dal mondo dei videogiochi, grazie a un uso massiccio e volutamente evidente del disegno digitale, rafforzato dalla colorazione al computer dei coloristi con cui collabora.
Tra Cavazzano e Giger
Una terza via, forse ancora più “di rottura” con la tradizione disneyana, è quella che percorre Alberto Lavoradori. Un autore di cui si parla e si scrive ancora poco, ma che meriterebbe maggiore considerazione. Qualche veloce coordinata.
Lavoradori esordisce in Disney nel 1990. Frequenta dall’anno precedente lo studio di Paolo Ongaro, storico autore realistico e da qualche anno collaboratore anche di Topolino, e viene presto inserito in quel gruppo di giovani autori chiamato Disney University, un vivaio di disegnatori che fanno capo a Giovan Battista Carpi. Il suo stile di disegno si rifà però principalmente a un altro maestro, Giorgio Cavazzano, da cui eredita non solo le fattezze dei personaggi ma anche la capacità di farli recitare in modo estremamente dinamico.
Tra il 1990 e oggi realizza soltanto una sessantina di storie, di cui la maggior parte prima del 1999. C’è infatti una cesura quasi completa nella sua carriera disneyana tra quell’anno e il 2012, quando ricomincia a lavorare per il Topolino di Valentina De Poli. Al suo ritorno sul settimanale, il suo stile è completamente mutato, o meglio, si è evoluto in una direzione diversa da quella di qualsiasi altro collega. L’influenza di Cavazzano è completamente superata, ormai. Il disegno è sempre più dinamico e sfondi, oggetti e personaggi sono sempre più stilizzati e geometrici, tratti che, come vedremo, erano già presenti nella produzione precedente ma in misura minore.
Il nuovo stile di Lavoradori, va detto, non piace a tutti i lettori. Nei gruppi Facebook alimentati da appassionati disneyani le sue storie sono spesso criticate, tanto quanto quelle degli altri suoi colleghi “rivoluzionari” vengono elogiate. Mentre i disegni di Mottura, Celoni e Sciarrone, per quanto poco ordinari e lontanissimi dalla tradizione, rientrano in qualche modo nel ‘canone’ Disney – per il rispetto di proporzioni e fisionomia dei personaggi, ma anche per il mix di influenze e modelli, più ‘organico’ all’evoluzione del gusto stesso dei lettori – quelli di Lavoradori risultano molto più idiosincratici, e dunque più ostici.
I personaggi sono spesso deformati, disegnati con tratti rigidi e spigoli vivi invece delle solite forme tondeggianti, le proporzioni sconvolte, abbandonato qualsiasi realismo nella rappresentazione di mezzi e fondali. Il tutto in uno stile che non è cresciuto con il settimanale ma che è (ri)comparso dal nulla come un alieno e per questo vissuto probabilmente da molti come un corpo estraneo. È probabilmente per questi motivi che a Lavoradori non sono mai state assegnate storie particolarmente importanti o copertine, se si escludono alcuni interventi nella cornice dell’operazione Pikappa New Era, la rinascita di Pikappa (di cui si è lungamente scritto qua).
La carriera di Lavoradori è infatti legata a doppio filo con la versione supereroica di Paperinik. Viene coinvolto nel progetto già in fase di progettazione. La sua inventiva viene notata in tre storie di fantascienza di metà anni Novanta scritte da Rudy Salvagnini (Paperino e il pianeta impossibile, Zio Paperone e il planetoide misterioso, Paperino e la nube cosmica) e gli viene chiesto di collaborare all’ideazione dell’universo del nuovo Paperinik.
«Il materiale prodotto (poco) all’epoca del mio accostamento a PK era ispirato ai soliti moduli estetici: bello, bellissimo, ma già visto. Pensai, perché fare una rivista nuova ma già vecchia? Già vista? Che senso ha? Pensai, di mia iniziativa, d’ignorare il fumetto e mescolare proposte e spunti preesistenti a territori diversi. Spiazzare, rischiare, evitare il pensiero comune del lettore. All’epoca sbavavo per Bellmer, Giger, Kubin, Oelze, Tanguy, Ernst… mondi lontani, artisti utopici, amati e odiati, ma soprattutto diversamente estetici. Gli Evroniani nascono da questo ambiente. Controcorrente. Un pensiero dove l’“ingegneria” del fumetto tradizionale non c’è. Poco da aggiungere. Tutti i characters – Evro, Camera 9, Xadhoom – nascono “sporchi”. Nascono da matrici diverse. All’epoca nulla fu scartato. Schizzacci, vero, ma con la polvere da sparo giusta.» [da una conversazione via email con l’autore]
È appunto così che nascono gli Evroniani. Lavoradori, nella sua ricerca grafica, ribalta la struttura del papero Disney in ogni sua caratteristica. Dove Paperino ha il corpo a forma di pera, morbido, stretto di spalle e largo di sedere, gli Evroniani sono disegnati a triangolo rovesciato e spigolossimi; discorso analogo per le articolazioni di gomiti e ginocchia. La testa di Paperino è tonda e ben separata dal collo, con grandi occhi rotondi; quella degli Evroniani è oblunga (come un Alien, chiarissima influenza di H.R. Giger) e unita al collo, gli occhi stretti a fessura.
Il Lavoradori di mezzo e il silenzio disneyano
Alla metà degli anni Novanta lo stile di Lavoradori ha già subito una prima evoluzione, staccandosi dal modello di Cavazzano. Inizia infatti a stilizzare sempre più i personaggi di contorno, con linee rigide e spigolose. Un ottimo esempio è la Lyla Lay proprio di PKNA #0, molto molto diversa dalla papera sexy che è destinata a diventare nelle mani di Claudio Sciarrone e Alessandro Barbucci.
I personaggi principali invece sono ancora disegnati con uno stile più classico. O meglio, mantengono soprattutto nei volti un disegno canonico. Soltanto in alcuni casi qualche particolare viene deformato nei suoi tratti tipici, per mostrare un’emozione o un effetto comico particolare, secondo una strada già aperta da maestri del passato – uno fra tutti: Luciano Bottaro – e quindi comunemente accettata da lettori e redattori di Topolino.
Dopo il 1996 la collaborazione di Lavoradori con Disney Italia si dirada. Quattro storie nel 1997, una nel 1998, due nel 1999, una nel 2003. Poi silenzio fino al 2012. In questi anni si dedica all’arte e continua a sperimentare con progetti personali. In particolare pubblica due lavori di fantascienza, Gommo (2010) e Stirpi (2012), in cui si sbizzarisce con il world-building. Non si tratta di veri e propri fumetti, ma di opere a metà tra fumetto, libro illustrato, romanzo, manuale tecnico e guida turistica. Le avventure dei protagonisti sono intervallate da schemi tecnici di astronavi o piante dei luoghi in cui si stanno muovendo, costruendo così opere molto frammentarie come stile, come diari di missione o fascicoli di un’indagine, costituiti raccogliendo documenti variegati. Ma è soprattutto il disegno a essere sperimentale. I personaggi di Gommo e Stirpi sembrano disegnati con squadra e righello. Le linee curve sembrano essere bandite. I mondi alieni sono composti da scenari assurdi, quasi astratti, di rombi, triangoli, quadrati. È questo stile che Lavoradori porta con sé al ritorno sulle pagine di Topolino.
Il ritorno in Disney
L’unione tra il nuovo stile geometrico e i personaggi Disney è traumatico. Non solo i comprimari, ma adesso anche gli sfondi, gli oggetti e addirittura i protagonisti delle storie vengono deformati. Ovviamente sulle pagine di Topolino Lavoradori non può osare quanto nei suoi progetti personali, e i paperi conservano buona parte delle loro fisionomie. Sono però molto meno tondeggianti di quando provengono dalla matita di qualsiasi altro autore. Il segno è squadrato e pesante, molto nero. Appiattimenti e stilizzazioni sono all’ordine del giorno. Tutto questo a favore però di un grande dinamismo. I paperi di Lavoradori, potendosi deformare, stretchare, schiacciare, allungare, hanno movimenti più netti del solito, dinamici e buffi al tempo stesso. Un ottimo esempio è dato dalla storia Paperinik e l’indistruttibile lista (in Topolino n. 3088, 2015).
«Quando ho saputo che questa storia l’avrebbe disegnata Alberto Lavoradori sono stato molto contento, mi piace un sacco il suo stile schizzato (nel senso buono), e soprattutto funziona molto bene con l’azione e il movimento. Poi l’ho incontrato a Lucca un giorno e anche lui mi ha detto di essersi molto divertito a disegnarla», così lo sceneggiatore Jacopo Cirillo ha commentato il suo primo sodalizio con Lavoradori.
In effetti analizzando la sceneggiatura si nota come la storia, già divertente nella trama, viene valorizzata dai disegni, diventando più rapida e spassosa. Già dalla prima pagina, dove la sceneggiatura prevedeva due vignette per presentare la situazione – una con i Bassotti che guardavano minacciosi in camera, la seconda che allargava l’inquadratura mostrando Paperinik e Paperone – Lavoradori interviene pesantemente sulle indicazioni, mettendoci un ‘guizzo’ per movimentare la scena. Le vignette restano due, ma compongo in realtà un’unica scena in cui i Bassotti avanzano minacciosi contro l’eroe. Il lettore è subito trascinato nell’azione, i personaggi sono già in movimento, dando ritmo alla storia sin dalla primissima vignetta.
Ancora, a tavola 9 della storia una scena onirica che avrebbe dovuto occupare le due vignette centrali della pagina diventa una strana vignetta tripla. Paperino, in fuga dalla mostruosa lista dei debiti, si ritrova a fuggire in verticale. È la sensazione di una fuga inevitabile, che non finirà mai, una continua discesa verso il basso. Paperino non potrà mai smettere di correre/cadere, né potrà scartare di lato, evitare l’incubo, se non con un rapido risveglio. La forma della vignetta, la linea del suo bordo, completamente fuori dagli standard disneyani, la freccia con scritto “Nightmare List”, contribuiscono a rendere ancora più surreale la scena. Allo stesso modo le due vignettine affiancate in basso a destra – altro espediente atipico su Topolino – rafforzano la zoomata e le battute della sceneggiatura di Cirillo.
L’ultima storia di Lavoradori, a oggi, è una breve avventura della P.I.A. uscita su Topolino n. 3189 (lo stesso di Metopolis) e scritta da Matteo Venerus. Anche qui i disegni “schizzati” si sposano perfettamente con il ritmo concitato della vicenda, una storia comica di spie, panificatori e disastri di Paperino e Paperoga. Le teste dei paperi sono sempre meno tondeggianti e le loro espressioni esasperate e stilizzate al tempo stesso. La geometrizzazione del segno ha fatto ancora un passo avanti.
Un maestro senza scuola?
Qual futuro attende, dunque, un contributo creativo poco ‘canonico’, senza dubbio, ma altrettanto certamente personale e unico? Formulo una prima ipotesi: è difficile che in futuro lo stile di Alberto Lavoradori faccia scuola. Troppo eccentrico per dare vita a un nuovo modello, i giovani autori si ispireranno piuttosto ai suoi colleghi della stessa generazione: Mastantuono, Mottura, Celoni, Sciarrone, Freccero… Il suo destino, forse, si preannuncia analogo a quello che ha segnato la carriera di Sergio Asteriti, un autore storico (disegna Topolino dal 1963) dallo stile indubbiamente personale, che ha sempre diviso il pubblico tra chi lo ama e chi lo odia, e che non ha mai avuto imitatori.
Allo stesso modo, presumo che Lavoradori molto difficilmente avrà degli allievi che riprenderanno il suo approccio stilizzato al disegno umoristico. Da una parte perché si tratta di un segno davvero “poco disneyano”, difficilissimo da portare – e con lo stesso, instabile equilibrio – su Topolino. Dall’altra, però, c’è anche la sua continua evoluzione stilistica, che fa sospettare un percorso fluido, ancora aperto: se non si “normalizzerà”, il suo stile non potrà certo essere imitato o ripreso. In fondo allo stesso Cavazzano è accaduto, in passato, qualcosa di simile. Il suo periodo sperimentale degli anni Settanta e Ottanta, in cui mischiò disegno disneyano, disegno in stile “scuola di Marcinelle” (André Franquin su tutti) e disegno realistico, per quanto apprezzato oggi – e allora – da molti autori e lettori, non è mai stato “di ispirazione”. Tanti disegnatori successivi, invece, hanno preferito rifarsi allo stile del Cavazzano maturo, che ha ‘epurato’ molte eccentricità extra-Disney e che, ai nostri tempi, è diventato il più evidente – e talvolta ingombrante – “canone disneyano” per i fumettisti italiani.
Tuttavia, mi pare poco probabile che Lavoradori si “fermi”. Il fumetto, per questo autore tanto interessante quanto ancora poco ‘studiato’, è un mezzo davvero congeniale. Il suo stile non smetterà di evolvere, e suppongo che di lui continueremo a scrivere.