Il Francesco Guccini cantautore è un autore che non ha bisogno di alcuna spiegazione. Il Francesco Guccini romanziere è un po’ meno noto, ma i suoi libri scritti da solo o con Loriano Macchiavelli hanno sempre riscosso un buon successo. Il Francesco Guccini attore è noto a tutti quelli che hanno visto Radiofreccia o un altro dei numerosi film a cui ha partecipato. Ma quanti conoscono il Francesco Guccini fumettista?
Durante Lucca Comics & Games 2016, Guccini ha partecipato a un incontro con Milo Manara, in cui ha raccontato la sua antica passione per i fumetti. L’occasione è stata la pubblicazione di Vita e morte del brigante Federigo Bobini detto “Gnicche”, un fumetto scritto da lui per le matite di Francesco Rubino, e (ri)apparso come supplemento a Linus di novembre. La storia era stata proposta a Alter Linus negli anni Settanta e inizialmente approvata dalla redazione, ma fu poi pubblicata dalla casa editrice Lato Side, specializzata in libri musicali, rimontata in formato pocket.
Il breve fumetto (25 pagine) è ispirato alle ottave dei poeti contadini dell’Appennino Tosco-Emiliano (i «saggi ignoranti di montagna / che conoscevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia»), componimenti poetici improvvisati, spesso durante vere e proprie tenzoni. In particolare, Guccini si basò su Delitti, arresto e morte di Federico Bobini detto “Gnicche” di Gianni Fantoni, 1871. La sceneggiatura imita un racconto popolare a più voci, come se fosse una recita in una taverna o in una cascina dell’aretino, territorio di Gnicche, mettendo in scena Fantoni stesso che declama alcuni dei suoi versi.
La presenza di Guccini a Lucca è stata l’occasione per incontrarlo e fargli qualche domanda sul suo rapporto con i fumetti, sulle collaborazioni con diversi autori e sull’amicizia di lunga data con Bonvi.
Vorrei partire dall’inizio, dalle sue esperienze nell’animazione, con Salomone il pirata pacioccone. In due diverse occasioni ho sentito Guido De Maria raccontare una gag secondo la quale lei gli avrebbe proposto un jingle per Salomone che faceva «Son morto con altri cento / son morto che ero pirata».
Ma non è vero! È De Maria che delira!
Lo sospettavo! Ma lei ha collaborato ai Caroselli di De Maria anche con le musiche? Ha proposto dei jingle o ha scritto solo i testi dei cartoni?
No, assolutamente, solo i testi. La storia è complicata. Frequentavamo un localaccio di Bologna. Ci suonavo le canzoni, De Maria conosceva queste canzoni, venne a registrarmi e così abbiamo fatto amicizia, e dato che ero uno studente squattrinato mi offrì di lavorare con lui.
Anzi, no… a dir la verità avevo una morosa molto bella allora – che poi è diventata mia moglie, ma questo è un altro discorso – e si avvicinò a mia moglie per invitarla a fare delle cose per i Caroselli che faceva. Poi di conseguenza l’ho conosciuto io. E così abbiamo cominciato a collaborare assieme.
E Bonvi?
Bonvi lo chiamai io perché Guido mi aveva chiesto se conoscessi qualcuno che sapesse sceneggiare e anche disegnare, e dissi: «Ne conosco uno a Modena, però non voglio responsabilità». Allora abitavo a Bologna. E gli portai Bonvi, che arrivò molto fighetto, e disse una puttanata, che stava studiando non so se chimica o biologia perché pensava che ci fosse probabilità di culture idroponiche su Marte… De Maria non fece una piega e disse: «Ah, interessante questa cosa». Io replicai: «Conosco tutti e due, smettete di fare gli asini». De Maria l’aveva accolto in maniera tutta da ridere.
Bonvi lo conobbe in gioventù. Avevate già avuto qualche collaborazione fumettistica?
Sinceramente no. Quando Bonvi venne a Lucca fece un numero speciale per Lucca Comics, una storia ben disegnata, sembrava se non sbaglio Mort Drucker di Mad Magazine, e poi fece queste Sturmtruppen e mi chiese di collaborare. Fu nel ’69, se non sbaglio, che mi telefonò e mi disse: «Vieni a trovarmi a Modena, che ho delle idee». Una era le Storie dello spazio profondo e l’altra le prime Sturmtruppen, che dovevano essere elaborate per i giornali e quindi dovevano avere molte strisce. Collaborai con lui, tanto che otto battute delle prime Sturmtruppen sono mie.
Pagate?
Le battute no, ma per le Storie dello spazio profondo Bonvi onestamente divideva in parti, una a lui come disegnatore, una a me come sceneggiatore. Era onesto. [ride]
Come funzionava la lavorazione delle Storie dello spazio profondo?
L’idea iniziale era tutta mia. Io inventavo una storia, poi facevo la sceneggiatura, che Bonvi non rispettava assolutamente e faceva sempre come voleva lui. Poi io andai negli Stati Uniti per un mese e lui dovette continuare a lavorare, perché le stavamo pubblicando su una rivista [Psyco, NdR]. Così due storie furono di Bonvi, copiate brutalmente pari pari da qualche FS. E, in ultimo, esiste una sceneggiatura che scrissi a metà, perché Psyco cessò le pubblicazioni. Era l’ultima storia da me ideata, ma non fu mai pubblicata.
Bonvi rappresentava se stesso come Bonvi e lei come il robot. Era una cosa concordata o fu una “bonvata”?
Si era pensato di fare un personaggio umano e un robot. Ovviamente Bonvi si tenne la parte più bella e a me lasciò la parte del robot, che però tutto sommato mi piaceva, perché era più ironico.
Quindi lei adattò le storie al fatto che Bonvi si fosse reso protagonista?
Nessuno ha mai voluto capire che queste storie erano un gioco fra Bonvi e me sul gergo e i personaggi della nostra adolescenza a Modena. Ci sono molte cose che ricalcano dei personaggi e, ripeto, anche un gergo che usavamo a Modena negli anni Cinquanta, e quindi questo lo capivamo solo noi: il pirulazio, lo sgalbegro, questo Core Backely, che è un certo Corrado Bacchelli, che è stato impresario anche dei Nomadi. Quindi erano tutta una serie di battute tra di noi.
Però inseriti in un mondo dall’ispirazione fortemente fantascientifica. Perché eravamo tutti e due lettori di fantascienza. Ad esempio Flash Gordon, che leggevo quando potevo perché mio padre mi aveva proibito di leggere i fumetti. Poi affinai subito i miei gusti. Leggevo Corto Maltese, tutto tutto tutto tutto, dal fumetto ad altre cose. Purtroppo ora ho una malattia agli occhi e non riesco più a leggere se non con fatica con degli appositi apparecchi, e per il fumetto, che va letto dalla vignetta alla tavola intera, mi toccherebbe passare in continuazione da una dimensione a quell’altra. E mi dispiace molto.
C’è un’altro fumetto di Bonvi “da un’idea di Francesco Guccini”, che è quello del tram per Offside.
L’idea era mia. Quello che dirottava un tram per andare a Cuba. Anche Buzzelli ha fatto un fumetto su una storia mia, L’uomo che reggeva il cielo [pubblicato in Francia, NdR], da cui poi ho tratto un racconto. E anche Scòzzari ha disegnato un altro mio racconto, che ha chiamato Barbùn versus realtà.
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E Magnus, come l’ha conosciuto?
A Bologna. Era un frequentatore delle notti bolognesi di quei tempi. Ebbe l’idea di creare questo personaggio, lo Sconosciuto, e io scrissi buona parte della prima sceneggiatura. Poi volle continuare da solo, perché era molto geloso delle sue storie, e anche del fatto che avrebbe dovuto darmi una parte del compenso. Ricordo una delle prime scene, in cui uno parla arabo. All’epoca insegnavo italiano agli americani dell’università, c’era uno studente arabo e gli feci scrivere una battuta in arabo da dare a Roberto.
L’ultima volta lo vidi quando andai in quel posto sull’Appennino dove era andato a fare il famoso Texone, Castel del Rio. Lì era stato anche Bonvi.
Bonvi morì perché Roberto era ammalato. Bonvi voleva raggranellare dei soldi per aiutarlo, vendere delle tavole portandole da Red Ronnie in televisione. Solo che lui non prendeva mai la macchina. Quella sera la prese. C’era una gran nebbia. Si fermò a chiedere la strada perché si era perso. Tornando indietro, una macchina lo segò. Fra l’altro era un ubriaco.
Arriviamo a Gnicche, che Linus ha ripubblicato. Quando avete realizzato la storia, lei e Francesco Rubino?
Siamo tra il ’76 e il ’78. Questa storia andò molto per le lunghe. Io pensavo a una serie di sceneggiature, infatti ne iniziai un’altra sui banditi modenesi – banditi, non briganti, degli anni Quaranta. L’idea era una serie di storie sui briganti italiani.
La storia era stata pensata per Linus?
Macché. Per noi! La direttrice di Linus dell’epoca non l’aveva voluta.
È mai stato corteggiato da qualche editore per scrivere fumetti o sono stati tutti episodi di gioventù?
No, mai. Non mi dispiacerebbe sceneggiare. Imparai a sceneggiare con Salomone, a dividere i fogli in due, video e audio insomma, quindi quello che si vedeva e quello che era il testo, i balloon. Ero sempre stato un grande lettore di fumetti, quindi mi risultò facile.
Li cita anche spesso nelle canzoni. È forse l’unico dei cantautori che mostra questa anima più pop.
Ma no, anche Vecchioni è un grande fan del Paperino di Barks. Il Paperino di Barks avrebbe meritato il Nobel… Bisognerebbe leggerlo in inglese, perché il testo inglese molto spesso è diverso da quello italiano. L’italiano è più semplificato, a partire dal fatto che, in originale, Paperino a volte parla in maniera shakespeariana quando declama.