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Stranger Things: rivivere l’immaginario degli anni ’80

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Stiamo vivendo un revival importante di tutto l’immaginario anni Ottanta che ha segnato una generazione. Lo si intuisce piuttosto facilmente dagli ambiti che questa contaminazione culturale sta abbracciando.

Nel 2010, un po’ in sordina, Ernest Cline pubblica per Random House Ready Player One, un romanzo fantascientifico di stampo distopico che è un vero e proprio tributo a tutto l’immaginario eighties (in Italia è uscito per ISBN edizioni). Non a caso il libro sta per essere trasposto in un lungometraggio diretto da Steven Spielberg.  Nel 2011 J.J. Abrams dirige Super 8, il suo personale omaggio alla cinematografia anni Ottanta targata Amblin (la casa di produzione cinematografica fondata da Spielberg e Kathleen Kennedy). Jeff Nichols, con il suo ultimo film Midnight Special, riflette sul concetto di famiglia e di crescita (ma anche di separazione) inserendolo in un contesto fortemente influenzato dal contesto eighties. È recente la notizia che Nintendo, incurante del perfezionismo grafico e visivo raggiunto dai concorrenti Playstation e Xbox, metterà in vendita una versione “mini” del Nintendo entertainment System (o NES), console che negli anni Ottanta era vera padrona del mercato videoludico.

In questi giorni, su Netflix, è stata resa disponibile Stranger Things dei fratelli Duffer. Serie tv che, più di qualsiasi altra operazione, è riuscita a trasmettere in maniera funzionale la vera atmosfera che si viveva nell’immaginario visivo (e non) degli anni Ottanta. Da subito Stranger Things ha scatenato la meraviglia del fandom più puro, imponendosi immediatamente per l’attenzione spasmodica nel tributare uno specifico periodo storico.

Non avrai altro dio all’infuori degli anni Ottanta

Lo ammetto: nel giudicare un prodotto come Stranger Things mi sento necessariamente condizionato da un fascino e un amore puro per un immaginario che è fortemente legato alla mia infanzia. Per una serie di cose quel periodo ha dato vita a opere di letteratura, cinematografiche e videoludiche uniche per chi imparava a conoscere il mondo o più semplicemente era bambino e si trovava a crescere. Nel tributare quell’immaginario è difficile riuscire a riproporre, oggi, le sensazioni e i drammi che sono in effetti i pilastri di quella cultura, ovvero l’amicizia, l’amore, il desiderio di avventura, la paura per l’ignoto, la consapevolezza di essere in procinto di fare un passo decisivo, da un’età a un’altra, il tutto trasposto in una dimensione fantastica e favolistica dal forte impatto visivo.

stranger things recensione netflix

Stranger Things, a oggi e a mio parere, è l’unica opera in grado di cogliere quello spirito senza stravolgerlo e, soprattutto, l’unica in grado di darci la sensazione fisica e mentale di ritrovarci di nuovo bambini, nel divano di casa a emozionarci di fronte a universi misteriosi.

Lo fa, ovviamente, partendo da un forte citazionismo. La colonna sonora sembra tratta da uno dei classici film di John Carpenter (che curava egli stesso la musica dei suoi film). Le tracce che compongono la diegesi della serie sono grandi classici della New Wave degli anni Ottanta o pezzi più commerciali ma altrettanto affascinanti: Joy Division, Echo & the Bunnymen, Toto, Modern English.

Da un punto di vista puramente metacinematografico, Stranger Things è un riassunto di quel sottogenere eighties che racchiude fantasy, horror, avventura, adolescenza. Qui la lista è lunga: E.T., Poltergeist, Nightmare, I Goonies, Stand by Me, La storia infinita, Explorers, Navigator solo per citarne alcuni. In senso più assoluto, Stephen King è il riferimento obbligato e quasi il collante concettuale di tutta la serie: emergono atmosfere e personaggi da opere come IT, L’ombra dello scorpione, L’incendiaria, Cose Preziose.

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Se è vero che tutto questo impianto citazionista ha chiaramente un ruolo un po’ ruffiano e furbetto, finalizzato anche a compiacere i nostalgici che (come me) non aspettano altro per sciogliersi in brodo di giuggiole, sono altrettanto vere due cose che nobilitano ulteriormente Stranger Things, distaccandolo dalla semplice e vuota ‘operazione nostalgia’. La prima riguarda, come si diceva, lo spirito con cui l’immaginario eighties è proposto allo spettatore. Tutto, dalla fotografia alle scelte dei movimenti di macchina, passando per la caratterizzazione dei personaggi o dei gruppi di personaggi, concorre a omaggiare ma anche a riproporre con assoluta onestà di intenti proprio quell’atmosfera come mai nessun titolo era riuscito. Il secondo fattore, che ci porta a giudicare Stranger Things come una delle migliori serie di questa stagione televisiva, ha a che fare con l’impianto narrativo. Perché puoi citare e omaggiare quanto vuoi ma senza una storia non vai da nessuna parte.

Un ragazzo scompare. In molti lo cercano. Tutti fanno i conti con se stessi.

1983. Tutto inizia con la scomparsa del giovane Will, nella tranquilla cittadina di Hawkings, nell’Indiana. Questo evento, di per sé sconvolgente per una comunità in cui la cosa più grave successa è l’attacco di un gufo che aveva scambiato i capelli di una signora per un nido, porterà una serie di personaggi a immergersi in una storia fatta di realtà alternative, creature mostruose, poteri ESP.

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Come sempre, nel caso di prodotti Netflix, la serie è pensata come un unico, lungo film. La lunghezza, strutturata in otto episodi intesi come capitoli di un libro con tanto di titoli, agevola la tipologia di storia narrata, non troppo breve come potrebbe essere una miniserie (Sherlock, Black mirror) né troppo lunga (i classici 10-13 episodi come Il trono di spade, Daredevil o Orange is the New black).

Assorbita la fascinazione per la dimensione eighties, Stranger Things dimostra di poter competere con le migliori serie del momento. Come? Nonostante le premesse fantastiche, la paura e il coinvolgimento sono reali e la sospensione della realtà da parte dello spettatore diventa un processo così naturale da sembrare normale. I personaggi, coadiuvati dall’impressionante bravura interpretativa di tutto il cast attoriale, sono credibili, umani, veri. Le loro storie, che spaziano dalla tragica perdita di un figlio al quotidiano bullismo a scuola, sono le nostre storie e sono trattate con un’empatia tale da immergerci nella vicenda a partire da un punto di vista emozionale.

Di solito, per questo genere di prodotti, il timore più grande rimane il finale ma (fatta eccezione per un’apertura necessaria a un’eventuale seconda stagione) anche in questo caso ci troviamo di fronte a una coerenza del percorso narratologico, nonché di crescita dei personaggi, che di per sé rappresenta un valore aggiunto. Il fatto che Stranger Things abbia entusiasmato anche chi non è avvezzo all’immaginario degli anni Ottanta (generazioni antecedenti o addirittura più giovani) conferma la qualità assoluta della serie.

Per quanto mi riguarda, credo che se quando finisci di vedere una serie, di leggere un libro o un fumetto e provi nostalgia nel dover abbandonare i personaggi che ti hanno accompagnato in quest’avventura allora il medium ha raggiunto il suo scopo. La narrazione in tutte le sue forme dovrebbe puntare proprio a questo: sospendere per un attimo la grigia e triste realtà per immergerci in una dimensione inesistente, fantastica, irreale eppure concreta, almeno nel nostro cuore. Piangiamo con i personaggi, ridiamo con loro, ci spaventiamo assieme. Stranger Things è una serie che è riuscita soprattutto in questo. E non è cosa da poco.

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