Il graphic novel Marco Polo – dedicato alla figura dell’esploratore veneziano del Tredicesimo secolo – è stato una delle sorprese nel panorama delle pubblicazioni di quest’anno (QUI se ne può leggere un’anteprima). Il volume realizzato da Marco Tabilio ha visto un giovane autore proporre una storia classica elaborata con padronanza del mezzo e una visione moderna del fumetto, ricca di influenze che pescano sia nel passato dell’arte medievale che nelle ultime correnti che animano il fumetto.
Tabilio è tra gli ospiti della prossima edizione del festival bolognese BiBOlBul; lo abbiamo incontrato per conoscere meglio il progetto alla base del suo Marco Polo, e per sapere cosa aspettarsi dalla sua mostra in RAM Hotel (che inaugurerà sabato 21 alle 20:30).
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Perché hai scelto di raccontare la storia di Marco Polo?
Un po’ per caso. Ho cominciato a lavorarci nel 2012. Si era creata in quel momento la possibilità di fare una piccola mostra collettiva con altri fumettisti in un istituto italiano di cultura in Cina, a tema “Marco Polo”. Inoltre io avevo bisogno di presentare un progetto finale al corso di Illustrazione per l’Editoria dell’Accademia di Bologna, dove studiavo. Ho cominciato a disegnare tavole su tavole, senza sapere dove sarei andato a parare e senza aver prima scritto una sceneggiatura dettagliata. Così ha preso il via il libro. Dopo la laurea all’Accademia ho chiuso la graphic novel – incompleta e bisognosa di modifiche – nel cassetto. Il cassetto l’ho riaperto nel 2015, quando è iniziata la collaborazione con l’editore BeccoGiallo.
Cosa ti ha affascinato di più della sua figura?
Mi piacevano la storia, il medioevo e le leggende sull’Oriente che ossessionavano le persone di quell’epoca: mostri e meraviglie, città incredibili, eserciti e re. Mi pareva, che nella storia di Marco Polo ci fossero delle potenzialità narrative che valeva la pena di esplorare.
Che tipo di ricerche hai condotto per il tuo lavoro?
Mi sono documentato parecchio. Su Marco Polo e su tutto il suo contesto. Mi premeva conoscere i dettagli della vita del suo contesto storico, politico, sociale e mentale. Date queste premesse, sapevo cosa potevo far fare ai miei personaggi e anche quali “tradimenti” avrei potuto concedermi. (Ce ne sono di tradimenti. D’altronde la scrittura sta proprio in questo).
Essendo la mia prima graphic novel, molte cose le ho imparate facendole. Per esempio mi sono reso conto che in un romanzo storico è necessario informarsi su ogni dettaglio dell’epoca. E parlando di un romanzo a fumetti, è necessaria una doppia documentazione: bisogna non solo scoprire cosa c’era, ma anche come è fatta quella cosa, per poterla disegnare.
Come hai lavorato agli elementi di fiction del racconto? Immagino necessari trattandosi di una storia così lontana e avvolta nel mito.
Ho cercato di esplorare gli snodi di potenziale narrativo che vedevo nella Storia. D’altra parte avevo ben chiaro che non volevo raccontare la Storia. Volevo che i miei personaggi vivessero emozioni vive e presenti. Non volevo fare Il Milione a fumetti, tantomeno scrivere un saggio storico. Perciò ho sviluppato personaggi e le loro vicende secondo la mia sensibilità, imparando a conoscere i primi e “liberando” le seconde via via che scrivevo e disegnavo.
Le tue tavole mostrano una composizione piuttosto elaborata, dal forte impatto grafico. Come sei giunto a queste soluzioni? Si tratta di una ricerca stilistica personale o anche di una scelta finalizzata a questo specifico racconto?
Entrambe le cose. Come accennavo, il libro non è nato secondo il classico processo sceneggiatura-storyboard-disegni. Ho scritto e disegnato in parallelo. Questo, oltre a crearmi qualche problema, mi ha permesso di aggiustare il tiro progressivamente e ha fatto in modo che maturassi uno stile di disegno adatto alla storia. Il problema di questo modo di lavorare è che capita di dovere tornare sulle tavole già fatte, perché nel frattempo la storia ha preso una direzione imprevista. Perciò ho dovuto inserire, riscrivere e ridisegnare pagine in corso d’opera.
In parte il tuo segno appare influenzato dall’arte medievale o dalla iconografia mediorientale (con un segno sottile e prospettive piatte, ardite). Cosa ti ha ispirato?
L’arte medievale delle miniature e degli affreschi, la cartografia medievale, la pittura cinese. Mi sono divertito a osservare a lungo molte di queste fonti, che sono anche delle miniere d’oro per documentarsi sia storicamente che visivamente.
Per citare qualche esempio: le miniature del Livre de merveilles, una versione francese quattrocentesca del Milione; la Mappa Mundi di Hereford; il meraviglioso rotolo dipinto cinese dal nome Along the River During the Qingming Festival di Zhang Zeduana [XI secolo].
Personalmente, mi piace pensare che il mistero e il mito intorno a Marco Polo siano una parte molto rilevante di Polo anche come figura storica, e dubito quasi di certe sue “conquiste”. Tu che idea ti sei fatto in proposito?
Ovviamente la storiografia e le sue vulgate trasformano gli eventi e personaggi a proprio gusto e vantaggio. Non c’è dubbio che il viaggiatore per antomasia sia diventato un personaggio dell’immaginario pop: innumerevoli agenzie viaggi, aeroporti, canali televisivi, marche di abbigliamento e addirittura produttori di sottaceti si chiamano Marco Polo. Ciascuna di queste proiezioni è con ogni probabilità ben lontana dall’originale. D’altra parte, pensandoci, ci sono anche io in questa tradizione di riletture!
Per quanto riguarda le “conquiste” di Marco Polo, non posso che essere un tifoso sfegatato. Sì, ci sono le prove, ci è andato davvero in tutti quei posti, puoi giurarci!