È notizia degli ultimi giorni: all’ultima premiazione degli Ignatz Awards – il principale riconoscimento americano per il mondo del fumetto indipendente – hanno trionfato le donne. Trionfo è dir poco, visto che le autrici hanno conquistato 9 categorie su 9. Un en plein mai accaduto prima.
Naturalmente, la crescente fortuna del fumetto “d’autore” – o quantomeno non-seriale – realizzato da donne non è una novità arrivata all’improvviso. Il ‘filotto’ femminile degli Ignatz non è che la conferma di una tendenza in corso ormai da qualche tempo. Vista in prospettiva storica, come ha spiegato in diverse occasioni Trina Robbins, autrice e storica del “fumetto al femminile” americano, la presenza di donne nell’editoria di comics è stata assai rara soprattutto dopo il Secondo dopoguerra, «quando gli uomini tornarono a casa dalle guerra e rivollero indietro i propri lavori, e le donne furono in generale – in qualsiasi settore – rispedite ai fornelli». A partire dagli anni Novanta, in pieno boom del fumetto indipendente, alcune autrici hanno iniziato ad emergere, sebbene ancora come eccezioni in un settore largamente dominato da uomini e dai loro immaginari. Fra i casi più noti basti pensare a Phoebe Gloeckner (tornata alla ribalta di recente, grazie all’adattamento cinematografico del suo Diary of a Teenage Girl), Julie Doucet (New York Diary) e, agli inizi del “fenomeno graphic novel”, ad Alison Bechdel (Fun Home e Tu sei Mia Madre, Dykes).
Oggi, invece, come sottolinea ormai da tempo la stessa Robbins, «ci sono sempre più donne che producono fumetti». E proprio in America, molti tra i fumetti più freschi e creativi provengono da autrici. Persino alcune produzioni più mainstream, negli ultimissimi anni, sembrano beneficiare della nuova energia che arriva dalle fumettiste. Basti pensare al pluripremiato Saga (co-immaginato e disegnato da Fiona Staples), ai lavori di Kelly Sue DeConnick (incensata da Fast Company), al successo di Sara Pichelli su Spider-Man, o alla “sorpresa” Ms. Marvel di G. Willow Wilson; mentre il fumetto per i più giovani ha visto il recente successo di Lumberjanes, con protagonista un gruppo di ragazzine, e opera di un gruppo di autrici (premiate agli Eisner Award 2015 come Migliore nuova serie).
Sul versante del graphic novel, l’anno scorso E la chiamano estate delle cugine Jillian e Mariko Tamaki è stato uno dei volumi più apprezzati dalla critica (non solo) americana, come ha testimoniato la vittoria ai Premi Eisner 2015 per il Miglior libro o i riconoscimenti meritati anche in ambienti esterni al fumetto, come il Caldecotto Honor. Una storia anch’essa tutta al femminile, nella cui coralità si mostrava l’estate come parentesi nelle vite sia di ragazzine che di donne mature.
Entrando nel merito di questa edizione 2015 dei premi Ignatz, a spiccare è soprattutto un nome. Prosegue infatti la corsa di Emily Carroll e il suo Throught the Woods: un webcomic creativo e originale, diventato un libro altrettanto interessante e riuscito. L’autrice canadese aveva già vinto appena due mesi fa ben due Eisner Awards, sia per la Miglior storia breve che per la Migliore ristampa di un’opera; agli Ignatz si è affermata, invece, come Miglior disegnatrice.
Ma al di là della Carroll, indiscutibile rising star del fumetto indipendente nordamericano, nelle altre categorie le donne hanno sbaragliato colleghi uomini affermati e di tutto rispetto, con i quali non era semplice fare i conti. In lizza per gli altri riconoscimenti c’erano infatti tutti i nomi che contano della scena indie, come Roman Muradov, Noah Van Sciver, Dash Shaw, John Porcellino. Insomma: la vittoria di queste autrici non è certo una coincidenza. E deve far riflettere su un mutamento culturale che, molto probabilmente, riserverà qualche sorpresa anche negli anni a venire.
E in Italia? A ben vedere, la situazione è diversa. Ma dire “peggiore” sarebbe ingeneroso. Le fumettiste non si aggiudicano ancora premi a mano bassa, ma la presenza delle loro produzioni in libreria e fumetteria non è affatto da sottovalutare. Anzi.
Facciamo qualche esempio. Durante i recenti premi Boscarato (consegnati al Treviso Comic Book Festival) la maggior parte dei riconoscimenti sono andati agli uomini, ma il premio come Miglior autore unico italiano è stato assegnato a Vanna Vinci. La scorsa primavera, a Napoli Comicon, il solo premio vinto da un’autrice italiana è stato il Nuove Strade (attribuito al miglior talento ’emergente’), andato nelle mani di Silvia Rocchi. L’anno prima lo stesso riconoscimento aveva premiato un’altra donna, Bianca Bagnarelli. Alla fumettista francese Chloé Cruchaudet, invece, è andato il premio per il Miglior graphic novel, grazie al suo appassionante Poco raccomandabile.
Se guardiamo strettamente alla produzione, quella delle fumettiste è peraltro una fetta di mercato molto ampia. E in costante aumento. Nell’ambito dei graphic novel, case editrici di primo piano come Bao Publishing e Rizzoli Lizard producono molti libri realizzati da donne. Il primo è editore di Vanna Vinci, della coppia Barbara Canepa e Anna Merli, e promuove il lavoro di giovani autrici come Teresa Radice (Il porto proibito insieme a Stefano Turconi, QUI la nostra recensione) e Marta Baroni (Al sole come i gatti, QUI la nostra recensione), o presto col primo graphic novel di Giulia Sagramola e la riedizione di Fish di Bianca Bagnarelli; oltre a pubblicare i già citati Saga e Lumberjanes (QUI una anteprima e QUI la recensione). Rizzoli quest’anno ha pubblicato i due graphic novel Il segreto di Majorana di Silvia Rocchi (con soggetto di Francesca Riccioni) ed Effetto Casimir di Claudia “Nuke” Razzoli (entrambe appena trentenni), oltre a portare avanti con successo la proposta delle opere della veterana Silvia Ziche.
Questi marchi sono solo due esempi, ma se al quadro generale aggiungiamo altri editori, lo scenario si arricchisce ulteriormente. Penso alle numerose donne pubblicate da Becco Giallo, Tunué, Shockdom o, altrove, al successo di autrici provenienti dal web come Lorenza Di Sepio col suo Simple & Madama o Mirka Andolfo con Sacro / Profano.
Il principale editore italiano, Bonelli, merita una riflessione a sé stante. Perché innanzitutto va constatato come nessuna delle sue serie, a oggi, veda delle donne come creatrici o scrittrici principali. E tra i collaboratori in generale, sono ancora davvero pochissime le sceneggiatrici, con la sola Paola Barbato a svolgere un lavoro costante per la scuderia milanese. Le disegnatrici ‘regolari’, tuttavia, sono sempre meno rare (soprattutto – non solo – nelle testate legate a Nathan Never, da Patrizia Mandanici a Lola Airaghi), ma anch’esse occupano uno spazio molto più ridotto rispetto ai colleghi maschi. Negli ultimi anni qualcosa sembra però muoversi anche dalle parti di via Buonarroti, con l’ingresso di Elisabetta Barletta, Alessia Fattore, Susanna Raule, Leila Leiz (in edicola in questi giorni con un episodio per la collana Le Storie), la scrittrice Barbara Baraldi, e coloriste come Annalisa Leoni, Giovanna Niro, Alessia Pastorello. Il pubblico dei prodotti di Bonelli Editore continua ad essere prevalentemente maschile, e questo – che piaccia o meno – è un fattore influente nella selezione dei talenti creativi. E nel rinnovamento che l’editore milanese sta provando a mettere in atto, non c’è dubbio che la “questione femminile” – sia come target privilegiato di un qualche prodotto, sia come autori – potrebbe diventare la più grande “sfida nella sfida” per i prossimi anni.
La notizia dell’en plein femminile ai premi Ignatz, allora, va intesa per quello che è: non tanto il segno di una “rivincita”, quanto il segnale di un vasto fenomeno in corso. Che probabilmente proseguirà. E di cui il fumetto – anche (soprattutto?) italiano – non potrà che beneficiare. La presenza femminile nel fumetto, oggi più che mai, non è dominio esclusivo dell’universo dei manga. Da parte nostra, possiamo solo sperare che continui ad aumentare.