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Guida al binge-reading di Gotham Central

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Dopo due binge-reading dedicati a cicli di storie Marvel (il Devil di Mark Waid e gli X-Men di Grant Morrison), ci spostiamo in casa DC per la guida a una serie dello scorso decennio diventata negli anni di culto tra i lettori – soprattutto tra i fan di Batman – e che è stata riscoperta di recente grazie a una quasi trasposizione televisiva: Gotham Central di Greg Rucka, Ed Brubaker e Michale Lark, pubblicata tra il 2002 e il 2006.

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Numero di albi: 40 (Gotham Central #1-40)

In Italia: La serie fu pubblicata per la prima volta in nove volumi, i primi sette editi da Play Press e gli ultimi due da Planeta DeAgostini. Le storie editi dalla Play furono poi ristampate da Planeta e RW Lion (in tre volumi). In occasione della trasmissione della serie TV Gotham, Lion ha invece ristampato la collana integralmente, in formato bonelliano e in bianco e nero.

Tempo richiesto: Un paio di pomeriggi (ideale per un uggioso weekend autunnale, quindi).

Miglior personaggio da seguire: Sicuramente Renee Montoya. La detective aveva esordito circa un decennio prima in una serie animata di Batman, per poi apparire nel giro di qualche mese anche nei fumetti, ma era rimasta poco più che un personaggio di contorno. Grazie al lavoro in particolare di Rucka – notoriamente bravo nel tratteggiare i personaggi femminili, dalla Carrie Stetko di Whiteout alla Tara Chace di Queen & Country, tanto per citare due sue ottime serie – in Gotham Central Renee iniziò ad acquisire spessore e riuscì a imporsi sul folto cast di personaggi della serie, con il suo essere umanamente spigolosa, a tratti dolce e comprensiva, pur usando modi rudi e violenti per darsi sicurezza. La sottotrama relativa alle sue vicende personali divenne anche la più appassionante, sul lungo termine. E non è un caso che la serie si chiudesse con la sua fuoriuscita dal G.C.P.D.

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Albi/Saghe che potete saltare: La qualità della serie era piuttosto costante, così è difficile trovare una saga più fiacca delle altre. Verrebbe da dire la penultima, intitolata Dead Robin, visto che sembrava inserire i personaggi in costume un po’ a caso, forse per risollevare le vendite, ma in realtà questa storia offriva un interessante e inedito punto di vista “dal basso” del ruolo del sidekick di Batman. Allora punterei più volentieri il dito contro il numero 11 della serie, una storia autoconclusiva incentrata su Stacy, la segretaria tuttofare del distretto, che in fin dei conti risultava molto ruffiana (e aveva una qualità grafica di molto inferiore rispetto alla media della serie).

Albi/Saghe che NON potete saltare: In questo caso, non ci sono invece dubbi, dato che la scelta deve ricadere necessariamente su Half a Life (Gotham Central #6-10). La storia – scritta dal solo Rucka – metteva al centro delle vicende per la prima volta Renee Montoya, svelandone l’omosessualità da lei tenuta fino ad allora nascosta e approfondendone i rapporti con Due Facce, a dimostrazione che Gotham Central non era solo un procedural, ma poteva contare su uno spiccato retrogusto drammatico. La storia ebbe grande risonanza e nel 2004 conquistò un premio Eisner, un Harvey e un Gaylactic Spectrum Award (premio relativo alla narrativa di carattere LGBT).

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Altra storia degna di menzione è Lights Out (Gotham Central #25), in cui veniva presa la decisione di spegnere per sempre il Bat-segnale, regalando una vera e propria pietra angolare per l’intera serie: mentre la polizia di Gotham cercava di scrollarsi di dosso l’ingombrante figura di Batman, per contrasto si poteva quasi percepire un sottotesto metanarrativo in cui gli autori mettevano in luce l’inevitabilità della presenza dell’Uomo Pipistrello, forse addirittura loro malgrado.

Perché leggerlo in binge-reading: Perché Gotham Central fu tra i primi esperimenti (riusciti) pensati per avvicinare al fumetto gli appassionati di serie TV. Gotham Central infatti voleva essere una sorta di procedural alla NYPD – New York Police Department (senza dimenticare CSI, che aveva esordito solo due anni prima) a fumetti, con l’inserimento di supereroi e supercriminali, ma con un profondo realismo. Da lì quindi la scelta di un disegnatore dal tratto fotorealistico come Michael Lark, per esempio, o la volontà di dare il più possibile una prospettiva meno “pacchiana” ai criminali storici di Gotham, che alla fine sembrano quasi poter esistere nella vita di tutti i giorni. E poi c’era la suddivisione in cicli di storie ben definibili, cosa oggi molto comune, ma per l’epoca ancora tutta da sperimentare.

Grazie soprattutto alla raffinata qualità della scrittura di Rucka e Brubaker – in grado di uscire sulla distanza piuttosto che sul breve delle singole storie – la sfida fu vinta, tanto che Gotham Central faceva fatica nelle classifiche di vendita dei singoli albi, ma andava molto bene in quelle relative ai volumi. E il modello – strutturale e narrativo –  della serie si impose su tante altre successive, anche su quelle più mainstream. La sua influenza sul fumetto americano degli anni Zero è stata così importante che oggi è talmente tanto assimilata da essere poco evidente. E forse rende anche meno fresca la serie (che resta comunque sempre appassionante e meritevole di rilettura), a distanza di diversi anni.

Inoltre, non presentando personaggi di grosso rilievo nel proprio cast, la serie poteva permettersi di far ruotare i protagonisti e, soprattutto, di vederli morire in modo definitivo. A differenza delle collane mainstream, la morte era davvero dietro l’angolo, ma non era mai gratuita o a effetto, ma presentata dagli autori quasi come ovvia e “normale”, in un ambiente come quello di un distretto di polizia in una città popolata da criminali pazzi e agenti corrotti.

La cosa curiosa, è che paradossalmente il serial Gotham abbia preferito caratterizzarsi più come un brutto fumettaccio, nonostante avesse pronta una serie su cui basarsi in modo pedissequo, senza se e senza ma.

Miglior momento: Alla fine del #2, in conclusione del primo ciclo intitolato In the Line of Duty, il detective Marcus Driver, rimasto ferito a una mano durante un’indagine che riguardava Mister Freeze, mandava platealmente al diavolo Batman, facendo capire fin da subito il rapporto tra l’eroe e il distretto di polizia di Gotham, necessario ma non benvoluto. Questo divenne uno dei temi fondamentali della serie, con l’Uomo Pipistrello spesso presentato come deus ex machina non richiesto e in grado di spaccare platonicamente in due fazioni i detective del G.C.P.D., tra chi accettava di buon grado il suo aiuto (quasi sempre quelli che a Gotham ci sono cresciuti) e chi invece no.

Gotham Central dc comics fumetti

Miglior disegnatore: Sicuramente Michael Lark, in parte erede della scuola del David Mazzucchelli di Batman: Anno Uno, con un tratto prettamente realistico e caratterizzato da forti campiture di nero. Il disegnatore ideale, insomma, per una serie che ricercava un certo realismo ma che allo stesso tempo era ambientata in una città oscura e piena di ombre come Gotham. Tanto che Rucka e Brubaker aspettarono un intero anno prima di iniziare la lavorazione della serie, in attesa che Lark si liberasse da impegni pregressi.

Lark inoltre impose alla serie (e ai disegnatori che con lui si alternarono, in particolare Kano e l’italiano Stefano Gaudiano) una griglia a otto vignette su quattro strisce, che rendeva il ritmo ancora più costante nelle parti “investigative” e forniva al tutto un’atmosfera molto opprimente.

Miglior tavola: Forse quella che ho scelto non è la tavola migliore, ma è sicuramente una delle più rappresentative del lavoro di Rucka, Brubaker e Lark, con un Joker sottoposto a interrogatorio dai detective Allen e Montoya nella classica griglia a quattro strisce della serie, dal #15 (all’interno della saga Soft Targets).

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Miglior Cover: Pur avendo notevoli qualità narrative, Lark faticava un po’ con le copertine, per cui è difficile trovarne una che spicchi sulle altre. La più interessante dal punto di vista compositivo è probabilmente quella del #25, ma dato che l’ho già citato, mi butto su quella del #9, con protagonista Renee Montoya, dotata di una forte carica drammaturgica.

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