Churubusco, graphic novel a firma Andrea Ferraris da poco dato alle stampe da Coconino Press (QUI la nostra anteprima), è un libro che racconta un frammento di storia del Messico, indagandolo da un punto di vista umano, morale e mistico. Tra le pagine di Ferraris, l’atto di conquista della terra si scontra con la ricerca di una integrità interiore e di un bene superiore.
Le matite del disegnatore genovese – con esperienza pluriennale in casa Disney (di lui avevamo già ospitato una intervista sulle nostre pagine) – mostrano con la stessa efficacia e capacità suggestiva la violenza della guerra o la dimensione effimera del sogno.
Dove nasce questa storia, che è ispirata a un fatto storico?
Tutto inizia dall’ascolto di un disco di Ry Cooder con i Chieftains (intitolato San Patricio, QUI un brano. NDR). Una miscela di musica folk messicana ed irlandese. Nel cd era contenuto un libricino che raccontava, a grandi linee, la guerra del 1846 tra Messico e Stati Uniti di cui conoscevo pochissimo. Si diceva, tra l’altro, che gli Stati Uniti cercarono in più occasioni di comprare la California, allora territorio messicano. Non riuscendoci provocarono un incidente in territorio texano che permise loro di dichiarare guerra al Messico ed invaderlo. Nel giro di due anni, il conflitto terminò, con la vittoria americana e con la perdita da parte del Messico di più del 50% dei suoi territori.
Interessandomi più approfonditamente, scoprii che erano molti gli europei che combatterono in quella guerra. Immigrati in cerca di fortuna e dignità si trovarono assoldati nell’esercito americano che invadeva il Messico.
Un gruppo d’irlandesi, conosciuti come il battaglione di San Patricios, ad un certo punto del conflitto, disertò, e comincia a combattere a fianco ai messicani. Altri europei li raggiunsero. E si racconta che tra loro ci fossero anche tre italiani.
Cerco documenti ufficiali della presenza degli italiani ma inizialmente non ne trovo. Decido allora di raccontare la storia di un italiano d’invenzione. Penso al protagonista come a un siciliano, lo chiamo Rizzo e lo immagino della provincia di Trapani.
Scrivo quindi tutta la storia e la disegno. Solo a quel punto trovo un documento ufficiale. Una lista di nomi di soldati del plotone San Patricios, a fianco, l’età, la provenienza e la data di morte. Tra di loro un certo Garrettson Roberts (nome italiano americanizzato), nato a Messina ed impiccato all’età di 22 anni.
Sono stato fortunato, sbagliando solo la provincia.
Cosa rende attuale questo racconto?
È una storia di migrazioni che si ripete anche ai giorni nostri, con protagonisti differenti ma con modalità simili. Anche allora ci si muoveva su navi, dove uomini, donne e bambini stipati come animali, spesso non riuscivano a sopravvivere alla traversata. La ricerca di una dignità che il nuovo mondo gli prometteva. Una promessa che, oggi come allora, veniva disattesa, tradita.
Alcuni di loro, spagnoli, polacchi, scozzesi, italiani, irlandesi, i San Patricios, appunto, disertando da quella falsa promessa si ripresero la loro dignità. Una scelta forte, che gli è costata il futuro. Per la quale hanno perso la vita.
Storicamente i motivi per cui disertano sono religiosi; sono cattolici, mentre gli statunitensi erano protestanti.
Secondo me, però, ci sono altre ragioni. Il mio libro è costruito intorno all’indagine di queste altre possibili motivazioni di ribellione. Per esempio, il protagonista italiano, ha un incubo ricorrente che risale alla sua infanzia siciliana.
Ho rappresentato l’incubo con un tono di acquarello al caffé, anziché a matita come il resto del libro. Questo sogno all’inizio incomprensibile, accompagna costantemente il protagonista e sarà uno dei motivi della sua scelta di disertare.
Accennavi al disegno. Ciò che mi ha colpito è l’aspetto materico del tuo lavoro. Come nasce una tua tavola?
Inizialmente ho fatto molte prove, poi ho sentito che questo metodo a carboncino così materico sarebbe stato l’ideale, per il senso di polvere e calore che riusciva a far passare. Anche grazie alla gradazione che si può tenere con la matita, da un nero pieno al grigio, potevo giocare coi toni, come si trattasse di più colori. Sono soddisfatto del risultato.
Riesci a essere anche molto dinamico con le tue figure.
Questo credo venga dalla mia esperienza disneyana, dove è necessario un disegno dei personaggi molto dinamico.
Credo anche che il montaggio del racconto sia molto filmico. Non è però solo una storia di avventura, nel senso più classico del termine. Mi sono concentrato sulla presa di coscienza del protagonista, utilizzando il resto, paesaggio e azione, per simboleggiare questo passaggio.
Che punti di riferimento hai avuto, esterni al fumetto, oltre ai brani musicali che citavi?
Naturalmente, il cinema di genere; il western di John Ford e Howard Hawks, ma anche gli ultimi due film di Tommy Lee Jones, che hanno uno sguardo molto duro sulla vita in quelle zone. Poi tutta la produzione del fumetto italiano classico, Pratt, Toppi, Battaglia, Micheluzzi, con cui questo lavoro ha senz’altro un debito. Anche le incisioni di Goya, sono state grande fonte d’ispirazione.
Riassumendo, senti che raccontare la Storia possa essere anche un’indagine nel presente, non solo sociale ma anche personale?
Solo una piccola parte degli uomini che ha partecipato a quella guerra ha disertato. Mi sono chiesto più volte, durante la lavorazione del libro se, trovandomi in quella situazione, sarei stato capace di fare altrettanto, di trovare quella determinazione, quel coraggio. Ripercorrere quell’ avvenimento mi è servito per capire qualcosa di me, del mio presente.