HomeFocusDaredevil Recap S01 E02: Più forte, più veloce

Daredevil Recap S01 E02: Più forte, più veloce

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Daredevil non è uno show che la tira tanto per le lunghe. Lo si era già capito con il primo episodio – non eccelso come i più hanno paventato ma di certo un prodotto che si staglia di netto in un panorama televisivo formato da crimini contro l’umanità come Arrow, Flash e Agents of S.H.I.E.L.D. – ma la seconda puntata, Cut Man, ci tiene a ribadire il concetto proponendo cinquanta minuti tosti, duri e veloci come un montante ben assestato.

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Episodio 2, stagione 1 – Cut Man (Spoiler)

Devil in un cassonetto, malconcio e agonizzante. Inizia così la seconda puntata di Daredevil, a fatti già avvenuti, per ellissi. Lo raccatta Claire Temple, un’infermeria che gli rattoppa le ferite e lo salva perfino dal collasso polmonare (perché sì, anche se non è mostrata, gli sceneggiatori non ci vanno leggeri con il livello di violenza).

Non passa molto dopo che i russi schiavisti già visti nel primo episodio, quelli che hanno ridotto così Matt, lo vengano a cercare. Ma Devil è pronto a ripagare lo scagnozzo mandato a cercarlo con la loro stessa moneta. Dopo averlo strapazzato un po’ (miglior uso dell’estintore dai tempi di Wall-E), lo appende in cima a un tetto e si fa dire dove hanno nascosto il bambino rapito alla fine di Into the Ring.

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Intanto, vengono poste le basi per il triangolo amoroso Matt-Foggy-Karen; Foggy invita la giovane a passare una notte di bisbocce nel suo bar di fiducia, da Josie (Josie!). Passano una bella serata ma Karen mostra ancora i segni del trauma subito per la morte del collega.

L’ultima linea narrativa è quella dell’infanzia di Matt: lo vediamo studiare, imparare il braille, ma veniamo a conoscenza altresì delle tribolazioni del padre. Gli offrono di perdere un combattimento contro Carl “Crusher” Creel (Carl “Crusher” Creel!), ma, invece di cadere al tappetto, vince il match e deposita (meglio, fa depositare da qualcuno – la madre?) la somma vinta scommettendo sulla propria vittoria su un conto intestato al figlio.

Pagherà l’affronto con la propria vita. Sono scene strazianti perché puntellate da piccoli momenti di amore paterno sparsi in tutta la puntata e che rendono il finale ancora più duro. È rinfrescante anche l’impianto che parcellizza la genesi del personaggio invece di appiopparlo in un solo troncone; vero è che Devil non è Batman e la storia delle sue origini è relativamente vergine – sì, sto parlando di Gotham.

I produttori hanno eliminato qualsiasi ‘fumettosità’ recondita, soprattutto nell’aspetto visivo e di resa dei poteri: non c’è nessuna visualizzazione grafica del senso radar, si limitano alle sfocature e quelli sonori, gestiti con sapienza, solo gli unici effetti speciali dello show. Oltre al sangue, che schizza (e schizzerà) copioso. Per questo sembra chiaro che Devil non incontrerà molto presto i colleghi Vendicatori. E non tanto perché Devil è, di base, un personaggio che funziona in solitario, quanto perché l’impostazione che è stata scelta stride con il taglio pop e sopra le righe delle produzioni cinematografiche (una dimostrazione palese).

Di fondo sembra che ci sia la paura del fumetto. È vero, non tutto funziona dal vivo e non bisogna per forza essere pedissequi nei confronti del materiale di partenza, però certe scelte celano una vergogna, un pudore nel puntare il dito e dire «Guardate, sono supereroi!» Di esempi ce ne sono tanti: i fatti di The Avengers vengono chiamati ‘L’incidente’, Claire, personaggio esistenze nell’universo Marvel ma associato a Luke Cage, è un ibrido che guarda all’Infermiera di notte ma si rifiuta di esplicitare gli elementi più fumettistici inerente al personaggio.

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Ben inteso, un atteggiamento del genere comporta pure dei vantaggi. C’è un livello visivo interessante a tal proposito perché si gioca molto sulla consistenza delle superfici. Il granito – sporco di sangue, manco a dirlo – all’inizio dell’episodio, è la prima inquadratura, ci sono innumerevoli dettagli delle ferite sul corpo di Matt o del padre. Sono espedienti brillanti perché 1) servono a immedesimarci in Matt e nel suo mondo tattile e 2) rientra nell’ottica della de-fumettizzazione e favorisce la credibilità. Ci stanno dicendo che è tutto vero, che non è come nei fumetti, qui possiamo quasi toccare le ferite, sentirne il gusto ferroso in bocca e il suono stagnante nelle orecchie. Insomma, almeno in quanto a resa dei quattro sensi, il lavoro svolto è di fino.

E poi arriva la scena finale, i cinque minuti interrotti in cui Devil affronta i russi e libera il bambino di cui tutti hanno parlato e su cui si sono spese analisi, commenti e saggi breve in tempo record:

https://www.youtube.com/watch?v=W7fYIMEQ1Xw

Il piano sequenza (la produzione giura che è davvero una ripresa unica ma ci sono almeno uno o due passaggi molto sospetti che sembrano incollati in digitale) è la dimostrazione di due cose: che il regista le scene d’azioni con più di due tagli non le sa girare e che per una volta la disequazione ‘stile > sostanza’ è erronea; all’interno della narrazione funziona bene, perché trasmette lo stesso effetto di carica incessante che Devil prova nel vedere avventarsi su di lui i nemici e alla fine della scena sei esausto come lo è il Cornetto.

Di sicuro Oldboy è stato uno degli spunti, perché gli elementi sono gli stessi. Uno contro mille, la macchina da presa dai movimenti (quasi) binari. Bello l’uso dei colori (che per il resto del tempo è una frenesia di filtri gialli): tutto il corridoio è a tinte verdi mentre la stanza dove è nascosto il bambino è pittata del suo complementare rosso (e lì se volete ci sono tutte le metafore simboliche – il cuore, il nucleo – che farebbero contento Leo Spitzer).

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Solitamente i primi episodi di una serie non sono mai le prove migliori da parte degli sceneggiatori. Vanno introdotti i personaggi, sviluppate le personalità e presentate le dinamiche, insomma c’è tanto lavoro sporco da fare. Se questo era vero per Into the Ring, Cut Man si sottrae alla regola, confacendosi come un buon passo in avanti.

Qualche osservazione sparsa:

– La sigla d’apertura, più che di True Detective, m’è sembrata ispirata dai titoli di testa di Uomini che odiano le donne di David Fincher. C’è la stessa idea di base (simbologie narrative che emergono da un liquido con riferimenti diretti ai temi della serie), con una esecuzione più semplificata. E mi ha stupito il ‘Created by Drew Goddard’: in casi del genere – adattamenti o remake – la prassi vorrebbe un più modesto ‘Developed by’.

– Gli accompagnamenti musicali sono moscetti. Peccato perché il lavoro sul compartimento sonoro è altrimenti da applausi.

– Non conoscendo la sua reale identità, Claire affibia a Matt il nome fittizio di Mike. «Come uno che ho frequentato, molto bravo a tenere i segreti.» Mike è in effetti l’identità che Devil ha assunto per un periodo negli anni Sessanta, quando la sua identità segreta era a rischio e fu costretto a creare un terzo alter ego, il fratello gemello Mike Murdock (di cui poi inscenò la morte, anche a causa di un proto-disturbo di personalità multipla). Ovviamente gli autori potrebbero aver buttato un nome a caso, ma la presenza di un’addetta all’inserimento di easter egg «talmente oscure che nemmeno io le ho colte tutte», a detta dello showrunner Steven DeKnight, potrebbe suggerire altrimenti.

– Ammetto di non aver visto l’intera filmografia di Rosario Dawson (ma credo trarrete tutti beneficio nel guardarla nel film di Danny Boyle In trance), ma qui è convincente e mai stonata. Di sicuro è anni luce da questo.

– Quando Matt è sul tetto con Claire c’è una soggettiva del russo che li guarda e vediamo due sagome sfocate, un uomo in nero (Devil) e una donna in bianco (Claire). Io li ho scambiati per Cloak e Dagger.

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