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La ‘reunion’ dei Cinque allegri ragazzi morti. Intervista a Davide Toffolo

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A distanza di oltre quindici anni dalla prima pubblicazione (i primi episodi uscirono sul magazine Fandango nell’aprile 1999), Panini Comics ripropone le storie dei Cinque allegri ragazzi morti di Davide Toffolo, in una edizione riveduta e arricchita.

Il 19 marzo uscirà infatti un numero zero della serie, completamente inedito. Le avventure dei cinque giovani morti viventi saranno presentate in 12 albi con cover inedite che citano famose copertine della storia del rock, e le storie in essi contenute saranno colorate.

Abbiamo dunque colto l’occasione per sentire Davide Toffolo, col quale abbiamo parlato di ciò che sono stati per lui i suoi ragazzi morti a fumetti – una delle avventure più innovative per mondo del fumetto italiano degli ultimi anni – e cosa potranno di nuovo tornare a essere con questa “reunion”.

Sfoglia l’anteprima del numero zero di Cinque allegri ragazzi morti.


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Cosa hanno rappresentato i Cinque allegri ragazzi morti all’epoca? Sembravano una singolare via di mezzo tra produzione indipendente e pop con potenziale mainstream.

Quando sono nati i Cinque allegri ragazzi morti venivo dall’esperienza di due riviste, Dinamite e Mondo Naif, con le quali io e altri autori italiani cercavamo una nostra via. In quegli anni da una parte c’era il fumetto d’autore e dall’altra il fumetto popolare, dedicato completamente all’avventura. All’inizio degli anni ’90 con alcuni fumetti, come appunto Mondo Naif, Dinamite e Fandango in seguito segnammo una terza via. CARM usciva in edicola, per la Panini, quindi non si può considerare un fumetto autoprodotto. Ma dentro c’erano, come spero ci siano ancora, cose mai viste. Una via nuova. Trovo autori giovani che mi dicono che la lettura delle mie cose li ha segnati e che ha aperto loro nuove prospettive.

Sarebbero esistiti i CARM senza i Tre allegri ragazzi morti (o viceversa)?

A dire la verità è nato prima il fumetto del gruppo. La prima pubblicazione ufficiale risale al 1992, sulla rivista musicale Rumore. Nel numero zero della nuova serie puoi vedere quelle tavole. Certo che la sinergia fra musica e fumetto ha trasformato queste nove storie da uno dei fumetti degli anni novanta in un classico. Ha avuto innumerevoli ristampe e in un mondo come il nostro, dove il tempo è velocissimo e il materiale stampato infinito, ristampare vuol dire esistere. D’altra parte tutti i mie fumetti hanno avuto una vita da long-seller. E questo è dovuto forse ad alcune intuizioni che ho avuto, o al fatto che sono oggettivamente belli.

In quel periodo della tua produzione, come nascevano le storie che raccontavi nei fumetti e quelle che invece cantavi?

Le mie storie, come le mie canzoni, hanno spesso a che fare con il mio vissuto, che non vuol dire sistematicamente con la mia autobiografia, ma con quello che vedo intorno, con quello che mi capita e certo anche i Cinque allegri ragazzi morti hanno dentro molto di quello che in quel periodo mi è successo. Sono comunque la mia ipotesi di fumetto seriale. Avevo una metodologia precisa nella scrittura. Testi e disegni dovevano essere leggibili autonomamente. Cioè i dialoghi non dovevano avere bisogno delle immagini e viceversa. Volevo una lettura facile e solida, per un pubblico non particolarmente acculturato nella lettura dei fumetti. Nella traduzione teatrale, che vede praticamente l’uso anastatico dei testi, questa cosa si capisce e a me ancora stupisce. Le storie sono costruite in due tempi di 21 tavole l’uno. Parlano di una storia autoconclusiva, sulle quale si innestano alcune sottotrame. Le ho disegnate e scritte per circa due anni. Facevo tutto da solo. Disegni, testi, copertina, la posta e addirittura l’oroscopo. Poi il gruppo è partito per un tour che ancora non è finito, nel 2000 circa, e non ho più avuto tempo di disegnare 300-350 tavole all’anno.

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Cosa senti che continueranno a dire oggi?

Me lo diranno i nuovi lettori. Io credo dentro ci siano buoni motivi per farsi leggere. Disegno fresco, ritmo come nelle canzoni ed emozioni, che non sempre si trovano nei fumetti. E poi il prezzo. 3,50 euro a numero. Meno di un gelato.

Raccontare esistenze ai margini vuol dire anche stare ai margini del mercato editoriale o la longevità dei CARM afferma il contrario?

Ho sempre ritenuto la mia una scelta esistenziale. Io faccio fumetti a prescindere dal mercato. Lo faccio da più di venti anni. Il rapporto con gli editori è importante quando ti eccita e diventa creativo. Lo è stato la prima volta che ho incontrato la Panini su questa idea, nel 1999, e lo è stato oggi che ci siamo ritrovati per l’edizione definitiva dei CARM. Nessun editore oggi avrebbe potuto farlo con l’entusiasmo e la forza del colosso di Modena. Ma io ribadisco la mia libertà.

Ho lavorato con tanti editori italiani. Ho fatto le riviste negli anni ’90, sono stato uno dei primi autori a fare graphic novel quando ancora non esistevano editori disposti a pubblicarle, parlo di Carnera e Pasolini, ripubblicate poi da Coconino. Ho pubblicato la mia autobiografia a fumetti con Rizzoli Lizard (intitolata Graphic novel is dead). Non mi sono mai sentito un marginale. Anzi, mi sono sempre sentito un titano. Sarà che ho letto troppi fumetti?

Nell’immaginario dei CARM ci dev’essere anche molto cinema. Cosa, oltre ai classici del cinema zombie?

No, niente cinema. C’è principalmente fumetto. Dentro ai CARM ci sono i miei amori di bambino e di ragazzo. È un fumetto di gruppo, come i Fantastici Quattro e il Gruppo TNT di Magnus. Ci sono le regole dei fumetti horror. I miei zombi non sono di origine virale come quelli che si trovano oggi in giro, bensì di origine magica. Hanno a che fare con il voodoo, come il grande personaggio Marvel di Simon Garth, al quale tutto il lavoro è dedicato. Poi ci sono dentro le mie letture adolescenziali. Pazienza su tutti, che con Zanardi è stato il primo a mostrarmi la via di un fumetto ambientato in Italia e di ambientazione scolastica (il numero 1 è un omaggio esplicito a Zanardi), come avrei poi trovato in alcuni fumetti giapponesi, circa dieci anni dopo. Così dentro ci trovi Go Nagai e alcune cose dell’immaginario giapponese, con il quale la mia generazione di autori italiani è stata la prima ad aver avuto un rapporto diretto. Il cinema mi ha sempre fatto paura. A me piacciono i fumetti.

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Musicalmente, qual era la colonna sonora di quelle storie (oltre alla tua di musica)?

La vera colonna sonora è il mio primo disco, quello del 1994, intitolato Mondo Naif, dal quale la rivista bolognese prese poi il nome. In questa nuova edizione c’è però una storia nella storia, che ci porta proprio alle copertine della nuova collana. Tutti omaggi a dischi e artisti importanti, che diventano anche le colonne sonore degli episodi.

Si comincia con i Ramones, e il loro omonimo primo album. Poi David Bowie, con Diamond Dogs, e ancora AC/DC e Highway to Hell, poi i Beatles, i Blur e i Kraftwerk. Ma mi fermo qui. Ho ben 13 suggerimenti musicali da mettere in moto e non voglio svelarli tutti.

Cosa c’è da aspettarsi dalle nuove storie dei CARM?

Aspettatevi un disegnatore enorme (lo dico per quelli che non hanno digerito troppo la sintesi dei mie lavori ultimi. Poveracci, lo capiranno fra qualche anno), e prometto emozioni robuste, risate e ritmo, che sono le cose che caratterizzano anche le storie precedenti. E poi colori. Colori come non ne avete mai visti. Questo è il ritorno dei Ragazzi Morti… così, per autocitarmi.

Se Pazienza diceva di sé: «Andrea Pazienza, un disegnatore che è praticamente una rock star», io potrei dire di me: «Davide Toffolo, una rock star che è un disegnatore di fumetti». Vi benedico. Grazie.

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