HomeFocusProfiliL’arte del complotto: il nuovo graphic novel di Elfo

L’arte del complotto: il nuovo graphic novel di Elfo [Intervista]

-

Se da un lato è facile rimpiangere il clima culturale degli anni ’60, associando a quell’epoca “d’oro” una sensazione di grande libertà intellettuale, è d’altra parte più difficile affrontare la realtà con fredda lucidità e domandarsi da cosa abbia avuto origine una tale energia creativa. Se poi a questa domanda aggiungete la consapevolezza che le due superpotenze in guerra all’epoca, Stati Uniti e Unione Sovietica, abbiano di fatto influenzato in maniera significativa l’evoluzione dell’arte contemporanea, della retorica politica e dei comportamenti sociali in Occidente, è inevitabile che i favolosi anni ’60 comincino a trasformarsi in qualcosa di un po’ meno poetico e un po’ più prosaico.

L’operazione messa in atto da Elfo con il suo L’arte del complotto (qui un’anteprima), il quarto graphic novel dopo la raccolta Love Stores, il biografico Tutta colpa del ‘68 e il saggio illustrato Sarà una bella società, assomiglia molto a una esegesi storica filtrata attraverso l’intreccio di storie– a metà tra il noir e la fantascienza – di alcuni bizzarri personaggi nella New York in bianco e nero dell’epoca di Kennedy e Bob Dylan. Una trama intricata, sebbene addolcita da una buona dose di humor, che lascia intravedere, sullo sfondo, l’ancor più complessa rete di scambi e informazioni tra due mondi contrapposti. Una storia che, proprio come gli anni ’60, si può leggere attraverso due diverse  prospettive.

elfoc0

Iniziamo dal titolo: “L’arte del complotto”, ma anche – potremmo dire – “il complotto dell’arte”. Da un lato, un richiamo esplicito alle atmosfere dello spionaggio, dall’altro lo svelamento delle trame politiche dietro il boom della pop art e dell’espressionismo astratto.

Il libro viaggia su vari livelli. C’è una trama assolutamente irreale a base di viaggi nel tempo, mafiosi, cosmonauti russi, ballerine e cantanti folk, in cui si inserisce un episodio reale: il sostegno ad alcune correnti dell’arte moderna da parte della CIA. Chiarisco subito che non credo alle teorie del complotto: servono solo a compattare l’opinione pubblica attorno al potere dominante, che addita qualche gruppo o minoranza come fonte di ogni male. Una sorte che è toccata a templari, catari, gesuiti, massoni, ebrei, zingari, omosessuali, comunisti, immigrati, ecc. Quanto poi al fatto che l’espressionismo astratto e la pop art siano stati usati dagli americani come arma contro il realismo socialista propugnato dall’URSS, la cosa non mi stupisce. Nulla di nuovo sotto il sole: almeno dai tempi dei faraoni l’arte è anche instrumentum regni, spesso vive grazie a mecenati e canta le lodi del potente di turno.

I primi anni ’60 sono per gli Stati Uniti anni cruciali, attraversati da eventi che hanno modificato in maniera irreversibile la cultura popolare e gli ingranaggi politici. La storia che racconti si intreccia così con la Storia con la s maiuscola. E la scelta di ambientare tutto nel 1963 non è casuale.

Il 1963 è un momento di snodo politico e culturale che molto ha influito sugli anni seguenti e il nostro presente, un anno in cui si concentra una serie incredibile di eventi. Il discorso di Kennedy nella Berlino divisa in cui dichiara” io sono berlinese”, la marcia su Washington di Martin Luther King con la prima esibizione importante di Bob Dylan, la morte di Giovanni XXIII, l’assassinio di Kennedy. Ma è anche l’anno in cui in America il potere passa di mano: il nuovo presidente Johnson non ha un gran feeling con la cultura e darà un taglio agli investimenti della CIA volti a finanziare mostre, riviste e convegni in tutto il mondo. Poi arriverà Nixon e i giochi si faranno sempre più rozzi e duri.

elfoc1

Come definire il genere di appartenenza della storia? Noir o fantascienza? Spy story o romanzo storico? In Agente Lemmy Caution: missione Alphaville Godard fa qualcosa di simile, mischiando questi elementi. Quali sono stati i modelli letterari e cinematografici più influenti, durante la stesura della sceneggiatura?

Il primo Godard è un buon riferimento, il modo in cui mescolava fantascienza, noir e impegno politico resta per me un modello. Di certo ho attinto alle passioni letterarie e visive che mi hanno attraversato dall’adolescenza in poi: la narrativa di anticipazione, l’hard boiled, Brecht, i beat americani, Kubrick, Pynchon, Billy Wilder, i fratelli Coen. A proposito dei Coen, quando stavo finendo L’arte del complotto ho visto il loro A proposito di Davis ambientato negli anni e nei luoghi su cui ho lavorato per questo libro, New York e il Greenwich Village nei Ssixties. Mi ha molto divertito scoprire nelle loro immagini le stesse fonti iconografiche a cui avevo attinto io (internet rules), con la differenza che i Coen avevano lavorato soprattutto in studio mentre io mi ero potuto sbizzarrire negli esterni. Sono le piccole rivincite del fumetto rispetto al cinema, non si spende nulla di più disegnando una veduta aerea piuttosto che un angolo di strada.

La tecnica di disegno che hai usato è anch’essa ambivalente, a metà tra acquerello tradizionale e grafica computerizzata. Anche la scelta di non usare il colore è indicativa della percezione dell’epoca in cui si svolge la storia.

Tutto è nato trovando su YouTube  una serie tv americana fantascientifica di quegli anni inedita in italia, The outer limits, da cui ho ripreso alcuni personaggi vestiti con buffe tutine. Erano episodi  autoconclusivi sul tipo di Ai confini della realtà, ma più virati sull’horror e avvolti in un bianco e nero molto espressionista. Ho provato a ricreare quelle atmosfere su carta da acquerello usando la  china diluita e il risultato non era male. Poi ho scoperto che, caricando i neri con il computer, apparivano delle strane texture e tutto si compattava, insomma riuscivo a mettere in scena in modo efficace il mondo che volevo raccontare. Il 1963 in fondo è l’ultimo anno che possiamo ancora immaginare in bianco e nero, nel 1964 esplode la beatlemania e da lì in poi sarà un turbinio di colori psichedelici.

Non si contano i riferimenti disseminati tra le tavole a eventi e personaggi reali. Per esempio, citi il disegnatore Tony Abruzzo, da cui Roy Lichtenstein “rubò” ampiamente per comporre i suoi quadri. Una storia purtroppo dimenticata, che vale la pena ricordare.

Diciamo che Lichtenstein si è molto ispirato ad alcune vignette di fumetti popolari della sua epoca, soprattutto storie d’amore e guerra. Tony Abruzzo è probabilmente il disegnatore da cui ha attinto di più, e lo si può ben vedere sul sito Decostructing Roy Lichtenstein dove i quadri sono confrontati con i comic. Certo, Lichtenstein ha portato i fumetti nel mondo dell’arte e, come dice Art Spiegelman, ha fatto per i comic più o meno quello che Warhol ha fatto per la zuppa Campbell. Ma lo ha fatto spesso senza riconoscere alcun credito agli autori di cui riprendeva i disegni.

elfoc7

Come scrive Oliviero Ponte di Pino in prefazione, nelle pagine dell’Arte del complotto non si combatte solo la Guerra Fredda, ma anche quella «tra le immagini e le parole, un confronto che ha una storia lunghissima, che affonda le sue radici nella sfera del sacro». Una riflessione quanto mai attuale, dopo i fatti di Parigi.

I fumetti sono una forma di narrazione in cui parole e immagini si scontrano e confrontano costantemente, e ciò forse spiega anche la nuova fortuna di cui godono negli ultimi tempi. Io credo che la rivoluzione digitale abbia creato effetti collaterali con cui non abbiamo ancora imparato a far i conti: oggi si può dire che gli scritti volano e le immagini restano. Se pensiamo alle paginate di post che scorriamo ogni giorno sui social network, possiamo notare che in poco tempo spariscono dalla nostra attenzione e dalla memoria. Le immagini invece rimangono in circolazione e apparentemente non necessitano di essere tradotte. Invece, da quando il web ha di colpo spalancato tutte le finestre del pianeta, può accadere che un’icona in un luogo venga vista come una divertente provocazione, mentre in un altro è letta come un’offesa mortale. Questo purtroppo dimostra  l’attacco a Charlie Hebdo, che ha fatto tornare drammaticamente attuale la guerra delle immagini.

Nel libro dico che le notizie sono pietre che rotolano, possono colpire qualcuno o finire in un tombino: oggi lo stesso vale per le immagini, è difficile prevedere gli effetti che produrranno. Perciò temo che ci aspetti un periodo in cui l’autocensura diverrà una specie di pilota automatico per molti che lavorano nella satira e nei fumetti. A Charlie è stata decapitata una generazione di autori cresciuta in un periodo di libertà e speranze forse irripetibile.

In chiusura, troviamo la copertina di un bizzarro saggio intitolato Communism, Hypnotism and The Beatles di David A. Noebel. Un’altra teoria del complotto nata negli anni ’60, tanto affascinante quanto surreale.

Quello è il minitrailer per un eventuale seguito delle avventure di Rumpelstiltskin Marx (il protagonista di L’arte del complotto detto “il prete”). Nel caso, prevedo che andrà a sbattere contro la tesi che i Beatles siano parte di un piano comunista per corrompere i giovani con musiche ipnotiche. Quel libello che lo sostiene è del 1965 e può fornire un plot ricco e divertente. Non a caso, in inglese plot significa sia intreccio narrativo che complotto.

Questo articolo ti è piaciuto?

Su Fumettologica puoi leggerne molti altri, e magari scoprire qualche fumetto che diventerà il tuo preferito. Se ti piace quello che facciamo e ti interessa sostenerci puoi scegliere di abbonarti. Facendolo non solo ci aiuterai a creare quello che stai leggendo, ma avrai accesso anche a diversi contenuti esclusivi.

Ultimi articoli