Eddie Campbell è il prolifico autore di vari racconti e graphic novel autobiografici (Alec, The Fate of the Artist), reso celebre dal successo di From Hell, il graphic novel di Alan Moore dedicato a Jack lo Squartatore, che Campbell ha illustrato.
La capacità del fumettista australiano di adattare registri visivi e narrativi estremamente diversi tra loro gli ha permesso esplorare forme tematiche diverse, dall’indagine nell’Io e nella quotidianità , fino alla ricerca storica, fino alle divagazioni astratte in forme di racconto estremamente free.
Campbell è stato ospite dell’ultima edizione del festival ravennate Komikazen – svoltosi nell’ottobre 2014 – dove si è prestato a discussioni che hanno indagato nel passato della sua carriera, mostrandosi come un’artista in continua evoluzione, ma sempre con i piedi per terra.
Abbiamo avuto modo di incontrarlo e, in una breve conversazione, abbiamo fatto un excursus della sua carriera, della sua visione del medium e non solo.
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Uno degli aspetti che colpisco nel tuo lavoro, in due opere molto diverse tra loro come Alec e From Hell, è il livello di tecnicismo combinato con un una forte emotività. Come riesci a equilibrare questi due fattori?
È vero, lo faccio. Ma mi riesce anche perché mi piace lavorare in modi completamente diversi tra loro. Come nel mio libro Fate of the Artist, in cui c’è una striscia buffa chiamata Honeybee, molto semplice e rudimentale. Praticamente, mi piacciono i fumetti in ogni loro sfaccettatura. Ci sono autori, come David Lloyd, che si concentrano su un unico stile; a me piace esplorare ogni possibilità del medium.
Il tuo appare come un lavoro molto fisico e tangibile. Come ti relazioni nei confronti del fumetto digitale?
Ne sono un grande fan. Se penso che tutto il mio lavoro può entrare qui dentro [estrae un hard disk portatile dalla sua borsa. NDR], e che questo mi ha permesso di preparare la mia presentazione di domani ieri sera, invece di fare tutto il lavoro giorni prima a casa, non posso che ritenerlo un vantaggio. Mi piace la possibilità di avere un’intera biblioteca sempre con me. E mi sento del tutto a mio agio a leggere su un monitor.
Per te è una sorta di compromesso più pratico che artistico?
Sì. Ma allo stesso tempo, ne traggo anche un piacere estetico. Pensa al Digital Comics Museum e ai fumetti che possiamo leggere grazie ad esso. Mi piace moltissimo vedere le scansioni dalle vecchie edizioni, che riproducono la carta ingiallita; anziché che leggere le nuove, ripulite, edizioni su carta.
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Tornando ai tuoi fumetti. Una degli aspetti narrativi spesso evidenti è la tua pratica di fare sequenze di vignette dove non cambia mai né l’inquadratura né la posizione del personaggio, come a lasciare spazio alle parole, in un certo senso, o alla teatralità dei volti?
Applico questi metodi perché per me, i cambi dell’angolazione dell’inquadratura fanno parte del linguaggio grafico del melodramma. È un linguaggio del cinema, e il cinema è questione di sensazionalismo e susseguirsi di emozioni.
C’è anche un aspetto puramente narrativo e letterario?
Sì. Quando ho realizzato Bacchus, volevo lavorare in grande, in modo molto teatrale e cinematografico, con ogni tipo di inquadratura. Volevo che quelle storie avessero tratti mitologici. Quindi usai varie tecniche. Mentre, realizzando le mie storie personali e autobiografiche, l’azione è limitata a spazi ristretti, quindi ho modo sia di concentrarmi sul linguaggio delle parole che sul linguaggio delle espressioni facciali e fisiche.
Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato durante la realizzazione di From Hell?
Lavorando a From Hell osservavo molto le riviste del Diciassettesimo e del Diciottesimo secolo; i vignettisti inglesi George du Maurier e Phil May, che lavoravano per la londinese Punch Magazine. Ovviamente, questo non perché volessi appropriarmi del loro stile; la mia intenzione era quella di acquisire una visione simile alla loro e studiare le loro tecniche, in quanto artisti della Londra del Diciottesimo secolo. Mi affascinava inoltre il fatto che in quel periodo la stampa delle immagini fosse eseguita con incisioni su legno. Volevo capire ed entrare nell’aspetto fisico di quell’arte, fingere e immedesimarmi nel modo in cui si lavorava a quell’epoca. Come se io e quegli artisti fossimo stati vicini di casa.
Come nasce una pagina dei tuoi lavori più personali? Cosa li distingue tecnicamente?
Un particolare è che non uso “carta buona”. Perché ti fa sentire intimidito. Non volendo sentirmi intimidito dalla pagina, per libri come Graffiti Kitchen e How to Be an Artist, ho semplicemente disegnato su carta da fotocopiatrice, un semplice A4, e quando ottengo la versione che preferisco, taglio le parti che mi interessano.
Riguardo al racconto autobiografico, perché il lettore è così interessato nella vita dell’artista?
Non credo che il lettore sia interessato nella vita dell’artista. Quella vita è semplicemente una fonte di storie. Ciò che conosciamo per esperienza diretta, ciò che vediamo e sentiamo, costituisce la nostra conoscenza primaria del mondo. Questo per me rappresenta un materiale prezioso. Può servire per creare qualcosa di grandioso, e può risultare convincente e appassionante anche per gli altri. È la vita normale a essere interessante, in generale, non la mia. Il trucco sta nel trovare qualcosa di universale nelle piccole cose, cercando anche di avere uno sguardo neutro, come quello dei bambini. Chi vede per la prima volta i miei libri a volte fa questo paragone, dicendo che la mia mente ragiona un po’ come quella di un bambino. Quindi io condivido delle esperienze, senza la presunzione che la gente debba interessarsi alla mia vita, nello specifico, ma alla vita in generale.
A cosa stai lavorando adesso?
Be’, sono due anni che ho divorziato e ho una nuova compagna, si chiama Audrey Niffenegger [autrice del romanzo La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo, che ha ispirato anche un lungometraggio. NDR]. È una scrittrice, e insieme stiamo lavorando a delle storie. Ora viviamo molto distanti, io ancora in Australia, ma presto mi trasferirò anche io in Inghilterra. Lei è anche disegnatrice, oltre che scrittrice. Per ora abbiamo realizzato due storie, ma abbiamo in mente un libro di storie brevi. Niente di ambizioso, stiamo semplicemente facendo qualcosa che ci diverte e piace.