Roman Muradov è un illustratore e fumettista di origini russe, che vive e lavora in USA. Ha realizzato illustrazioni per riviste illustri come il New Yorker, per copertine di libri (come la nuova edizione di Dubliners di James Joyce), oltre ad aver realizzato fumetti per alcune delle migliori case editrici indipendenti, come l’americana Retrofit Comics e la britannica Nobrow Press, e aver autoprodotto i propri lavori.
Muradov sarà uno degli ospiti principali della prossima edizione del festival BilBOlBul. Abbiamo, quindi, scambiato alcune parole con lui, per farvi conoscere meglio uno dei migliori talenti dell’attuale scene fumettistica mondiale.
Sei nato a Mosca ma ti sei trasferito nei Stati Uniti. Qual è il motivo di questa scelta?
Perlopiù per noia e depressione. È stata l’unica decisione spontanea della mia vita e, in quanto tale, piuttosto radicale: ho cambiato il luogo dove vivevo, il lavoro che facevo e diverse altre cose, nel giro di poche settimane.
Da quando te ne sei andato dalla Russia, cosa è cambiato nella tua visione del fumetto e dell’arte?
Praticamente tutto. Finché non ho iniziato a espolare la Biblioteca di San Francisco, ero del tutto estraneo al mondo del fumetto indipendente, per non parlare poi del fatto che, prima di arrivare in America, praticamente nemmeno disegnavo.
Ritrovi elementi della cultura russa nella tua arte, sia graficamente che dal punto di vista narrativo?
Solo leggermente. Non da un punto di vista della cultura oggettiva e delle azioni, ma più nel senso di una manifestazione visiva di varie rimembranze della mia infanzia e giovinezza, che creano una Russia esistente nella mia mente, ovunque io sia, completamente diversa da quella vera.
Anche adesso che il tuo lavoro è conosciuto e apprezzato, lavori ancora per piccole case editrici indipendenti. Parlaci di questa scelta.
Non è proprio una scelta. Lavoro con chiunque mi assuma, e la maggior parte dei miei clienti sono realtà piccole. Credo ci sia un certo fraintendimento, riguardo al ricevere premi e buone recensioni. Dal punto di vista lavorativo, significa poco, almeno nel mio caso.
Perché hai scelto la strada del crowdfunding con Yellow Zine?
È un modo facile per ottenere una lista di persone a cui inviare le copie, anziché contattare negozie e fare promozione online. Il mio crowdfunding è stato relativamente di piccola scala. Ho raccolto 2-3 mila dollari, il che è solo ciò che serviva per stampare gli albi e spedirli al mio piccolo pubblico sparso per il mondo.
I tuoi fumetti mostrano la presenza elementi letterari. Raccontaci di questa tua passione.
Mi sento influenzato soprattutto da artisti che non hanno a che fare col mio medium, quindi la letteratura è sia una distrazione dal mio lavoro fatto di immagini che una diretta influenza sul mi processo di disegno. La forte stratificazione e la chiara concentrazione sullo stile e sul processo creativo sono rilevanti nella tradizione modernista, e a me piace considerare il mio approccio al disegno come una forma di scrittura, e seguo quindi gli stessi principi di composizione. Allo stesso modo, penso a certi elementi del mio lavoro in termini musicali, quindi, di conseguenza, cerco di trascrivere suoni e ritmi nelle linee e nei colori.
Nel breve graphic novel Picnic Ruined porti nel fumetto lo stile letterario del ‘flusso di coscienza’. Perché, e come ci sei riuscito?
Molte (se non tutte) le mie storie hanno a che fare con la percezione, quindi mi è parso appropriato avere una voce prettamente interna per raccontare quello che praticamente era una passeggiata ubriaca, priva di particolari eventi di rilievo. Inoltre, stavo cercando di catturare la sensazione di apatia e disperazione giovanile che provavo quattro o cinque anni fa, in un momento di insicurezza e disagio che stavo vivendo in quel momento. Così facendo, la tecnica fallisce dall’inizio, e si conclude con ulteriore delusione, perfettamente in linea con la mia visione pessimistica. Sapevo sin dall’inizio che sarebbe stato un tentativo infruttuoso.
Il tuo mix di illustrazione vecchio stile e influenze letterarie ricorda particolarmente le vecchie pagine dominicali delle strisce americane. Quali sono gli artisti del passato che ammiri e quali del presente?
Marcel Duchamp, Paul Klee, Tove Jannson, George Grosz, Jason, Seth, Kerascoet e Saul Steinberg. Mi piace Krazy Kat, ma a parte questo, non mi sento particolarmente influenzato dai fumettisti americani del passato.
Hai mai preso in considerazione di fare un adattamento a fumetti di un romanzo? Se sì, quale romanzo sarebbe, e perché?
No, non ne vedo il motivo di un’operazione del genere. Nel mio lavoro cerco di allontanarmi dal fumetto restando verosimilmente un fumettista, quindi, un buon romanzo senza immagini è già una soluzione perfetta, secondo me. Detto ciò, credo che Locus Solus di Raymond Roussel potrebbe ispirare un’ottima interpretazione per immagini.
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ENGLISH VERSION:
You were born in Moscow and then moved to the US. Why did you make this choice?
Mainly out of boredom and depression. This was the only spontaneous decision in my life and as such it was a fairly radical one: I changed my location, career, language and a few other things in a span of a few weeks.
What has changed in your vision of comics and art since you moved away from Russia?
Pretty much everything. I was completely oblivious to the world of independent comics until I started exploring the San Francisco library, not to mention that I was barely drawing myself when I came to the U.S.
Do you find elements of Russian culture in your art, both graphically and in storytelling?
Very subtly. It has nothing to do with the objective culture and acts more like a visual manifestation of various misrememberances from my childhood and youth, creating a Russia that’s completely separate from the actual country, existing independently in my psyche wherever I am.
You are still working for really small publishing companies, even now that your work is well-known and admired. Tell us about this choice.
It’s not really a choice, I work with whoever hires me, and most of my clients are small. I think there’s a bit of misconception about receiving awards and good reviews–work-wise it means very little, at least in my case.
Why did you choose to crowdfund Yellow Zine?
It’s an easy way to get a list of people to send copies to instead of contacting shops and promoting it online. My crowdfunding is relatively small-scale, I usually raise around 2-3 thousand dollars, which is just enough to get my zines printed and mailed to my small audience around the world.
Your comics show a strong presence of literary elements. Tell us about this fascination.
I’m mainly inspired by artists outside my medium, so literature is both a distraction from my daily work with images and a direct influence on the process of drawing. The heavy layering and the sharp focus on style and process are prominent in the modernist tradition, and I like to consider my approach to drawing as a form of writing, following the same principles of composition. Similarly, I think of certain elements of my work in musical terms, so I try to transcribe sounds and rhythms into lines and colors accordingly.
In the short graphic novel Picnic Ruined you bring in comics the literary style of ‘stream of consciousness’. Why, and how did you manage to do that?
A lot (if not all) of my stories deal with perception, so it seemed appropriate to have an almost exclusively internal voice for an uneventful account of what is essentially a long drunken walk. What’s more, I was trying to capture the feeling of youthful languor and hopelessness that I’d felt 4-5 years ago as I was stumbling around and failing to capture it at the time. As such, the device fails from the start and ends in further disappointment which fits perfectly into my pessimistic outlook. I knew from the start it was a futile endeavor.
Your mix of old styled illustration and literary influences is particularly reminiscent of the old sunday pages. Which artists from the past do you admire, and which contemporaries?
Marcel Duchamp, Paul Klee, Tove Jannson, George Grosz, Jason, Seth, Kerascoet and Saul Steinberg. I like Krazy Kat, but other that I’m not particularly influenced by any old-timey cartoonists.
Have you ever taken in consideration the idea of adapting a novel into comics? If so, which one would be, and why?
No, I don’t see any point in doing anything of the kind. In my work I try to get as far from cartooning while ostensibly remaining a cartoonist, so a good novel without pictures is already perfect the way it was published. That said, I imagine Raymond Roussel’s Locus Solus could inspire an interesting visual interpretation.