Mike Deodato Jr., all’anagrafe Deodato Taumaturgo Borges Filho, è uno che l’arte ce l’ha nel sangue. Il padre, Deodato Senior, era un artista indipendente che ha ispirato il figlio a diventare disegnatore. Insieme, i due collaborarono sulla prima opera edita di Deodato Jr., Fallout 3000. Da allora, la carriera di Deodato si è sviluppata seguendo un percorso tortuoso e accidentato. Dallo stile Image degli anni novanta fino alla perdita di qualità dovuta ai troppi incarichi, Deodato è poi rinato negli anni duemila con un nuovo stile dalla forte gravitas autoriale e una nuova casa editrice, Marvel Comics, per cui ha firmato lunghi cicli su Hulk, Amazing Spider-Man e Avengers. Quest’anno, la Casa delle Idee gli ha assegnato il compito di illustrare Original Sin, un atipico crossover dal gusto neo-noir, sui testi di Jason Aaron.
Ospite al Lucca Comics & Games, l’autore brasiliano ci ha raccontato le particolarità del suo nuovo lavoro, i suoi alti e bassi professionali e, soprattutto, il suo amore per il fumetto Bonelli.
Qual è il tuo primo ricordo legato ai fumetti?
Penso fosse una raccolta Disney de Il libro della giungla. Ho letto molti classici Disney che mi comprava mio padre. Questo è il primo. Per quanto riguarda i supereroi, le storie di Superman e Capitan America.
Negli anni novanta hai avuto un tracollo qualitativo, hai dichiarato che all’epoca non ti interessava lo storytelling e ti preoccupavi solo di portare a casa lo stipendio. La tua carriera ha toccato il fondo. Come hai superato quel momento?
Sono diventato vecchio! [ride] È stato come accendere una luce e dire “Ora ci vedo!”. No, davvero, è una questione di tempo. Mi ricordo che negli anni novanta Bob Harras si era messo a insegnarmi però io non prestavo attenzione perché ero concentrato sullo stile Image. Si migliora col tempo e con l’esperienza, credo. Ho un sacco di insegnanti, persone da cui ho imparato molto, come Will Eisner. E lavorare con Bruce Jones su Hulk è stato un buon modo per imparare a migliorare il mio storytelling perché le sue sceneggiature erano calibrate alla perfezione e scriveva esattamente come doveva essere la scena e solo operando questo processo di traduzione da parola a immagine ho imparato molto. E il resto è tutta passione per il mio lavoro. Voglio migliorare e l’unico modo per farlo è imparare dagli altri. C’è così tanto da fare nel fumetto, in termini di obiettivi, di margini di miglioramento, di sperimentazione che si possono fare. Ovviamente devo rispettare l’editore per cui lavoro, la Marvel per esempio, loro mi danno molta libertà ma si aspettano un certo tipo di prodotto. Mi hanno assunto per quello. Ci sono dei limiti che non posso superare. È per questo che nel futuro mi piacerebbe fare qualcosa in Europa. Al momento sto facendo le strisce sul mio blog, Quadro, e sono un po’ il mio lavoro autoriale, perché faccio tutto io. Ma c’è tanto da vedere, nel fumetto. Ogni volta che mi imbatto in qualche nuovo artista rimango basito. Mi piace sempre menzionarlo, il disegnatore di 100 Bullets, di cui ora mi sfugge il nome…
Eduardo Risso.
Lui! Mamma mia, è bravissimo! Quante idee, quante soluzione grafiche nuove ha portato al fumetto. A un certo punto ho pensato “Basta, ci rinuncio”, perché non puoi competere con cose del genere. Ma c’è da imparare da tutti, perfino dai cattivi disegnatori. Da loro impari come non disegnare! Per cui, non so, a me piace tanto lavorare nei fumetti.
C’è un tuo marchio di fabbrica che mi ha sempre affascinato: manipoli a tal punto le vignette nella pagina che spesso, come fossero schiacciate dalla pressione, esplodono in frammenti.
Il mio retroterra è pubblicitario, ho lavorato per giornali e quotidiani, ho fatto il lettering e sono anche un fan di Steranko. Sono influenzato da un sacco di artisti che hanno innovato il layout e ora che lavorare al computer mi fa risparmiare molto tempo posso impiegare quel tempo a lavorare sui layout senza rovinare il resto. E mi piace molto fare cose diverse.
Come ti sei approcciato a Original Sin, hai cambiato qualcosa rispetto agli altri tuoi lavori?
Ho dato una sterzata allo stile con cui rendo la pagina. Ho pensato a un puzzle, perché la storia è, in pratica, un giallo. E io volevo rendere quel senso di mistero con la metafora del puzzle, così ho strutturato le tavole di conseguenza. Come in un grande puzzle, il lettore scopre le cose un po’ per volta, in maniera non lineare. Lo volevo rendere unico. Usare quello stile ha richiesto molto più tempo del solito, quindi dubito che lo adopererò ancora in futuro. Ora sono tornato a uno stile classico, certo potrei usare altri tipi di layout, ma quello che ho creato per il crossover resta un caso a parte. Questo perché mi piace sperimentare e ogni volta cerco di fare le cose in maniera diversa. Quello di Original Sin è un approccio radicale rispetto alle altre pubblicazioni Marvel. È stata una bella esperienza, se dovessi rifarla penso che produrrei qualcosa di completamente diverso, perché non sono mai soddisfatto. Certo, non è davvero così originale; se guardi a Steranko, a Risso… Risso lo fa benissimo. Molti lo hanno fatto. Fernando Fernandez su Vampirella, ma anche Toppi. Tutta questa gente mi ha ispirato per l’uso dello spazio negativo. Credo ce dovrei migliorare sulla gestione dello spazio negativo all’interno della vignetta, perché mi hanno sempre insegnato che le figure vanno disegnate al centro. Poi però quando vedo Eduardo Risso giocare con la marginalità delle figure… Impazzisco, perché per me è difficile farlo.
Durante i tuoi anni alla Marvel hai modificato di netto il tuo stile rispetto al passato. Specie quando hai cominciato a disegnare per l’Uomo Ragno, nel 2004.
Questo perché, come dicevo, cerco sempre di fare le cose in maniera diversa. Straczynski in quel ciclo si è focalizzato molto sulle emozioni dei personaggi, quasi fosse un dramma teatrale, e mi ha costretto a sviscerarle attraverso i gesti e il linguaggio del corpo. Cerco sempre di aderire il più possibile a quello che lo sceneggiatore ha in mente per la storia. Penso che il punto di svolta sia stato un po’ prima, quando ho disegnato X-Men Unlimited 32, una storia di Nightcrawler in cui ho rivoluzionato il mio stile, lasciandomi alle spalle gli anni novanta. Lì ho cambiato anche la mia mentalità. Dovevo farlo, dovevo tornare ad amare i fumetti perché lo stavo facendo solo per i soldi ed è allora che ho pensato «D’accordo, lavorerò meno, farò meno soldi, ma sarò felice di quello che faccio.» Ho fatto la scelta ovvia, prima la felicità, poi i soldi. È il pensiero alla base della mia nuova carriera. Ho rifiutato molte offerte di altri editori, ma preferisco restare alla Marvel perché sono felice di quello che sto facendo.
Disegnare le strisce a fumetti o i lavori di supereroi è un po’ come allenare gruppi muscolari diversi o per te rientrano nello stesso settore?
No è diverso. In realtà ogni volta è diverso, è diversa l’esperienza. Quella cosa delle vignette la faccio con più scioltezza, senza stare tanto a preoccuparmi, non ho editor, non ho nessuno che mi giudica, a parte il sottoscritto. Lo faccio per me e basta. Quando invece sono alla Marvel, sì, disegno sempre per piacere personale, ma anche per la compagnia, perché non sono i miei personaggi e io sono assunto per fare un lavoro. Io per primo devo essere contento del risultato, poi ci sono i lettori e l’editore.
Quindi sei uno che sta attento al giudizio degli altri?
Sì, sto molto attento ai giudizi esterni, perché spesso ci si focalizza su una cosa e si perde di vista il percorso o la meta che si vuole raggiungere. Cerco sempre di accogliere i giudizi degli altri. Devo essere attento a che piega sta prendendo il mio lavoro. Ho letto da qualche parte che dopo i quaranta si diventa più consapevoli di quello che si è e di cosa si sta facendo. Credo stia succedendo la stessa cosa a me. So che ogni decisione presa si rifletterà sui miei disegni, è tutto collegato.
Ora nelle tue scelte c’è un certo grado di progettualità?
Sì, sono successe delle cose di recente che mi hanno dato una spinta: ora è il momento, mi sono detto. Mi sono messo a scrivere e disegnare la mia striscia a fumetti, che metto sul blog ed è gratis. Ogni tanto ci ricavo delle raccolte, ma è una cosa che voglio fare solo per il gusto di farla.
E leggi le recensioni?
Tutte quante! Certo, quando leggo qualche strana critica cerco di migliorare ma alcuni scrivono delle corbellerie. C’era una recensione di un tizio che diceva che i miei erano buoni lavori, ma che non capiva il perché di tutti quegli spazi vuoti. «Sarebbe meglio che usasse tutto lo spazio per avere più immagine.» Non capiva che quello era spazio negativo che aveva la stessa dignità dei disegni! L’ho trovata una critica talmente buffa che l’ho postata sul mio sito, perché meritava. Altre invece le prendo sul serio. Capita che mi scrivano «Questa è una pessima espressione» o «Qui la postura comunica un messaggio sbagliato.» Lo accetto e mi riprometto di migliorare quell’aspetto. Alcune cose proprio non le posso cambiare perché non ne ho le capacità, ma mi sforzo sempre di farlo.
Credi che Original Sin sia il tuo lavoro migliore?
Sì. Però penso di poter fare ancora meglio, se solo mi dessero un anno di tempo! Ho avuto una tabella di marcia molto serrata, per l’ultimo numero ho dovuto produrre una pagina al giorno. Si sono accumulati dei ritardi… Non per colpa mia! [ride] No, io e Aaron siamo una squadra, però ho dovuto rimediare disegnando più veloce. E questo a volte mi aiuta, perché non devo pensare troppo al layout e va tutto a istinto. Ma se avessi, non so, due mesi per un disegnare un numero la qualità del prodotto finale sarebbe superiore.
Original Sin è davvero un fumetto che osa sul versante grafico, è molto scuro e in generale il tuo stile si apprezza maggiormente quando è in bianco e nero. Che rapporto hai coi colori?
Amo il colorista, Frank Martin Jr., è un grande professionista. Fa apparire i miei lavori così diversi, in senso buono.
Però in questo caso si sono perse molte ombreggiature.
Sì, è vero, ma mi piace che la versione a colori sia un’esperienza nuova e diversa per i lettori rispetto al bianco e nero… Detto questo, io penso ai miei disegni in bianco e nero. Ho visto l’edizione speciale di Original Sin senza colori e la preferisco. Vorrei sempre fare così, cioè che tutto quello che facessi venisse pubblicato in bianco e nero e poi a colori in un’edizione speciale. Per me l’arte dei fumetti è un’arte che va apprezzata in bianco e nero. Io ho imparato a leggerli così.
Leggevi i Bonelli, vero?
Sì, quanto mi piacevano!
E faresti mai un Texone?
Certo, spero che la Bonelli lo venga a sapere. In realtà domani [il 31 ottobre] devo incontrarmi con Mauro Boselli. Quindi magari faremo qualcosa in futuro. A me, più di tutto, piacerebbe disegnare Ken Parker, però ormai non lo pubblicano più. Però anche Tex non sarebbe male!
Fai un po’ di tutto, hai disegnato perfino la mascotte dei Brooklyn Nets.
Be’, a me piace fare un po’ di tutto, di recente ho disegnato la copertina dell’album di un band brasiliana, gli O Rappa, ma alla fine la mia passione sono i fumetti. Non dico che non mi piacerebbe fare degli storyboard per i film, però…
Su che film vorresti lavorare?
Oh, non saprei. Forse l’adattamento di… Spirit. La versione bella però. Il fumetto era meraviglioso, ma il film di Frank Miller era pessimo. La sceneggiatura non era buona. E quel fumetto si merita un film più bello. Credo che sarei in grado di disegnare dei buoni storyboard per quel film.
Una volta ha raccontato che disegnare alle convention ti metteva a disagio. Credi che l’arte sia un’esperienza privata?
Sì, per me lo è. Mi sento più a mio agio nella mia stanza, da solo. È un lavoro solitario ed è per questo che mi piace. Non mi fraintendere, mi piace stare in mezzo alla gente durante le convention, ma per creare preferisco stare da solo.