Tra i fumetti giapponesi che più hanno destato curiosità (e qualche scalpore) negli ultimi anni, c’è senz’altro Thermae Romae di Mari Yamazaki. Ambientato tra il Giappone moderno e l’antica Roma, narra le bizzarre vicende di Lucius Modestus, architetto alla corte dell’imperatore Adriano, che viaggia nel tempo suo malgrado e apprende i segreti delle moderne terme giapponesi, per poi riproporle nella Roma imperiale.
Il manga, pubblicato anche in Italia da Star Comics, si è concluso al sesto volume e ha generato due film live action a un anime in tre puntate. Il primo film, girato in gran parte a Cinecittà, è del 2012 e di recente è uscito anche nelle sale italiane, distribuito dalla Tucker Film di Udine (che già l’aveva presentato in anteprima mondiale al Far East Film Festival nel 2012). In Giappone ha riscosso un successo notevole, incassando l’equivalente di 44 milioni di euro.
Il regista del film è Hideki Takeuchi, specializzato in sceneggiati televisivi (quelli che in Giappone vengono chiamati drama) e già autore dei due film live tratti da un altro noto manga, Nodame Cantabile. La star è Hiroshi Abe, volto celebre del cinema e della tv giapponese, dai tratti somatici decisamente poco orientali, e proprio per questo particolarmente pertinente nelle vesti di antico romano.
L’idea alla base della storia è la passione che lega tanto il popolo giapponese quanto quello della Roma classica per i bagni pubblici, ovvero le terme. Lo svolgimento del film, tuttavia, è di una demenza che sfiora il surreale: spesso divertente ma a tratti imbarazzante, come talvolta succede negli adattamenti cinematografici dei manga. Per cercare il calco perfetto della resa su pagina, infatti, si può dire che sia stata (volutamente) trascurata la specificità e la sintesi richieste dal cinema, lasciando sul terreno due aspetti non da poco: il ritmo e la naturalezza del racconto.
Il protagonista Lucius, come nel manga, viene risucchiato in una vasca termale e finisce ‘magicamente’ nel Giappone dei giorni nostri. Durante i suoi numerosi e inaspettati viaggi nel tempo carpisce tutti i segreti dei bagni moderni (dalla carta igienica alla Jacuzzi) e li trapianta a Roma, diventando l’architetto favorito dell’imperatore. Il divertente spunto, ricco di gag che strappano più di una risata, in seguito si trasforma e lascia spazio alle imprese dell’imperatore, le faide interne a Roma, Lucius alle prese con un impero da salvare, ma perde la brillantezza della prima parte, dilungandosi troppo (e in modo macchinoso) sugli elementi politici, che ne escono ridotti a bozzetti né troppo utili né davvero divertenti.
Thermae Romae II (stavolta girato in Bulgaria) è un seguito di cui forse non si sentiva il bisogno: quasi un remake del primo film, che ne sfrutta le stesse potenzialità. La trovata è sempre quella: Lucius precipita in un gorgo e finisce in Giappone; ma tutta la prima parte è composta solo di episodi slegati, sviluppati per cercare la risata (Lucius che ricrea a Roma un parco acquatico, le poltrone per i massaggi manovrate dagli schiavi e gag del genere). Ritroviamo anche Mami, la ragazza giapponese di cui il protagonista si era invaghito nel primo film, aspirante mangaka e alter ego dell’autrice del fumetto Mari Yamazaki. Insieme a Mami (catapultata anche lei indietro nel tempo), Lucius salverà di nuovo l’Impero romano, e proprio grazie alle terme. Il messaggio ‘pigro-pacifista’ di fondo è riassunto in una frase pronunciata alla fine da un soldato: «la guerra sembra così stupida, quando sei a mollo».
Nonostante la ripetitività, sono sicuramente degni di nota la parodia del celebre fisiatra giapponese Tokujiro Namikoshi, maestro del moderno shiatsu e fondatore dell’omonima scuola, che viene portato nell’antica Roma per salvare l’erede al trono imperiale, e gli spassosi gladiatori alle prese con il sumo. Anche nel secondo film, inoltre, ai viaggi nel tempo coincide un’esibizione canora del tenore Walter Roberts, che crea (gustosi) intermezzi comici mentre Lucius sprofonda in acqua.
In fin dei conti, in entrambi i lungometraggi il tono da commedia è esasperato, compresso da tempi quasi televisivi che appiattiscono l’umorismo paradossale di situazioni ed equivoci “fuori contesto”. Ed è tra i dettagli che si nasconde, forse, l’aspetto più riuscito, ovvero l’uso della lingua. Gli antichi romani, infatti, tra loro parlano in giapponese, ma quando viaggiano nel tempo… passano al latino (!). Mami capisce il trick temporale e per poter parlare con Lucius si compra un vocabolario di latino, e impara a parlarlo. A un certo punto compare persino la scritta “bilingual”, e tutti parlano in giapponese, ma le didascalie sono in latino.
Il risultato sono trovate niente male (“aliquanto post” per “qualche tempo dopo”), che condiscono i paradossi temporali con patchwork linguistici – per noi occidentali – divertenti quanto basta per sorridere davanti a un blockbuster estivo, in versione asiatica.