Dopo avere presentato una anteprima delle tavole di Nevermind, il nuovo graphic novel di Tuono Pettinato (Rizzoli Lizard) uscito in occasione del ventennale della scomparsa di Kurt Cobain (ovvero la scorsa settimana), ne pubblichiamo oggi la prefazione firmata da Davide Toffolo. Un testo che rivela la profonda connessione tra la vicenda di Cobain e la nascita dei Tre Allegri Ragazzi Morti, band nata proprio in quell’anno di svolta che fu il 1994.
Kurt lo sapeva. La fucilata con cui si è tolto la vita, quel suo ultimo gesto rilanciato da tutti i media del mondo occidentale, l’avrebbe proiettato diretto nell’Olimpo degli immortali assieme ai giganti del rock, assieme ai martiri del nostro tempo. I martiri della logica del consumo, uccisi dalla trasformazione dell’uomo in merce, dal peso di esistenze esemplari che durano lo spazio di pochi, luminosi anni: Janis Joplin, Jimi Hendrix, Brian Jones, John Lennon, Elvis Presley, Jan Curtis e, appunto, Kurt Cobain.
Nei giorni della sua morte tutti i quotidiani e i telegiornali ribadivano questo concetto: riportavano la notizia che il biondo cantante dei Nirvana stesse inseguendo proprio questo progetto e che quello fosse il motivo del suo suicidio. La sua esistenza era ormai campo fertile per il gossip più spudorato. La sua vita amorosa, le sue vicende familiari e la dipendenza dall’eroina venivano urlate dai media come prima di allora avevo visto già accadere solo per poche altre rock star conclamate e decadenti. Personalmente mi infastidiva.
Per me i Nirvana erano altro.
Esistenze fatte di adolescenze infinite, di difficoltà a riconoscersi e ad accettarsi, di famiglie disfunzionali, di promesse di rea- lizzazione mancate, di inclinazioni naturali represse, di impossibilità di immaginare il futuro, di maestri cattivi, di soldi a palate e di meccanismi osceni di speculazione sul talento.
E nella musica dei Nirvana tutto questo sembrava parte del racconto stesso, della poetica della band. Irriverente come l’essenza stessa del punk, calda come il blues americano, compromessa come tutta la musica commerciale ma vitale, aggregativa, genera- zionale, a suo modo rivoluzionaria.
L’atteggiamento esistenziale del gruppo, portato in tutte le case da MTV, offriva un modello nuovo ai ragazzi. Cancellava ciò che il rock era stato fino ad allora, ne trasformava l’immaginario in qualcosa di apparentemente estraneo al baraccone dell’industria discografica. Un’intera generazione, e forse più, si è rispecchiata negli atteggiamenti da antidivo di Kurt, nella sua inadeguatezza di fronte alle telecamere e nella violenza che trasudava dalla distorsione esasperata della sua chitarra.
Ma nel libro di Tuono Pettinato che state per leggere Kurt Cobain non è una star in cui sognare di identificarsi, nel bene o nel male. È una persona. È un bambino dolcissimo e sensibile, pieno di voglia di vivere, accompagnato ovunque dal suo più grande compagno, l’amico immaginario Boddah che nella vita del musicista è stato presente in modo più o meno intenso, ma sempre e comunque: compagno esclusivo delle prime scorribande nei boschi di Aberdeen e destinatario della lettera d’addio scritta prima del suicidio. Un amico immaginario eppure più vero di qualsiasi amico reale, che gli rimane accanto anche nei momenti peggiori; anche quando l’unico modo per Kurt di sfuggire alle delusioni, al dolore, alle ferite coincide con il tentativo di cercare una pace interiore – un Nirvana, appunto – attraverso la musica, e con lo stordimento dato dalla droga.
Sappiamo già com’è andata a finire questa ricerca, sappiamo già che la vicenda esistenziale di Cobain è stata segnata innanzitutto dalla solitudine cui è destinata qualsiasi anima votata all’arte quando nasce, sfortunata, in un mondo che le è ostile. E forse leggere del Kurt rievocato da Tuono è tanto bello proprio per questo motivo: perché ci permette di godere appieno della meravigliosa indole di un artista, di sentirlo realmente vicino, di provare a livelli profondissimi quell’empatia che lui stesso desiderava disperatamente sentire quando il suo cuore, già segnato dalle crepe di un’esistenza dolorosa, ha smesso di battere in un capanno degli attrezzi di Lake Washington. Resta l’amarezza di un sogno accarezzato e perduto, la tristezza per un amico al quale si è costretti a dire addio, ma anche la convinzione che dalla malinconia può germogliare il seme di una rivoluzione, che è né più né meno ciò che, anche grazie ai Nirvana, ci è successo in quegli anni Novanta.
A me capitava questo.
Dopo i Nirvana, dopo la fiamma accesa dalla loro musica e dalla vicenda di Cobain, ho immaginato di prendere posizioni precise rispetto alla trasformazione dell’uomo in merce. Per questo, proprio qualche mese dopo la sua morte, decisi che avrei escluso per sempre la mia faccia dal commercio dei miei talenti. Che l’avrei sostituita con una maschera da teschio.
Così immaginai i Tre Allegri ragazzi morti e oggi nella prefazione di questa biografia a fumetti che porta il nome del disco più conosciuto dei Nirvana, Nevermind, pago un debito contratto con la musica dei Nirvana e con l’ultima scelta di Kurt Cobain.
Quando arrivò, straziante, la terribile notizia del suo suicidio, scrissi questa canzone.
La malinconia è rivoluzionaria,
se il mondo mi fa schifo,
tutto il progresso salta in aria.
La malinconia, che è amica mia,
la malinconia, ha dentro un’utopia. Mondo naif, Mondo naif
Mondo di consumatori felici.
Mondo naif, Mondo naif,
a nord della morte, a ovest del niente. La malinconia è sintomatologia.
Se il mondo intorno muore,
io come faccio a starci.
La malinconia, che è amica mia,
la malinconia, ha dentro un’utopia. Mondo naif, Mondo naif
Mondo di consumatori felici. Mondo naif, Mondo naif,
a nord della morte, a ovest del niente.
Davide Toffolo, 1 marzo 2014, Cagliari