Live Freud Die Jung è il nuovo libro di Ciro Fanelli. Edito da G.I.U.D.A. Edizioni, il volumetto, a metà strada tra un diario onirico e un libro illustrato per bambini in acido, raccoglie i racconti serializzati su VICE nella rubrica, curata dallo stesso autore, Di Segni e di Sogni. Fanelli, classe 1980, vanta diverse collaborazioni con riviste internazionali (fra cui popper magazine, kick rude comix e Kovra), nonché con il gruppo Frigidaire. Dal 2011 collabora con Le Dernier Cri con cui ha pubblicato il suo Pinocchio.
Come è nato il progetto di una rubrica su VICE e perché ad un certo momento hai sentito l’esigenza di raccogliere tutto in un libro?
Inizialmente, proposi la cosa a VICE per due ragioni: la prima era fare un lavoro pagato con cadenza regolare, la seconda, invece, era uscire da una piccola nicchia cercando di arrivare a quante più persone possibili. Poi è diventato un libro per l’esigenza opposta: tornare a parlare a pochi , dimenticarsi l’obolo regolare. Cioè, un tentativo di socialismo fallito.
Perché proprio una rubrica sui sogni?
Parlare dei propri sogni è un po’ come il tema libero alle superiori: se sei bravo puoi parlare di quello che vuoi e cogliere l’occasione per dire cose che non ti verrebbero mai chieste, in più hai l’attenuante che non sei tu a dirle, ma il tuo inconscio. Sfuggi, così, all’autobiografico, cosa che nel fumetto, come nella narrazione in generale, ho sempre detestato. Infatti, credo che bisogni essere molto presuntuosi per ritenere la propria vita interessante. Con il sogno eviti tale derive, nonostante sia la parte più profonda di te a parlare. Tra l’altro ti da l’opportunità enorme di usare linguaggi narrativi folli, a volte totalmente fuori da qualsiasi schema logico.
Infatti, i tuoi sogni sembrano quasi rispecchiare le nevrosi collettive e trovare delle cause nella nostra recente storia nazionale. Espediente per parlare d’altro o la vittoria di Jung contro Freud?
Un espediente utile per parlare d’altro e che sancisce la vittoria di Jung. Del resto, quando viene analizzato un tuo comportamento citando Freud puoi sempre rispondere “bè , secondo Freud, non è universale”. Prova a controbattere la stessa cosa con Jung.
A proposito di immaginari collettivi: giochi parecchio con quello “infantile” e con la storia del fumetto, quasi un tentativo di sfogo. I tuoi inconscio sogna a fumetti?
Qui torna in parte Freud: è il gioco tra desiderio e soddisfazione del desiderio. Se da bambini tra le due cose non c’è nulla (hai fame ti danno da mangiare, hai sonno ti fanno dormire) da adulti (o almeno si presuppone questo) tra le due cose c’è uno spazio enorme: il lavoro come mezzo per il raggiungimento del desiderio. Le microstorie presenti nel libro, come spesso ho ribadito, sono frammenti di sogni, il ricordo che ne conservo al risveglio o singole immagini ipnagogiche che arrivano un attimo prima di addormentarsi.
Quando lavori con il disegno, quando ti svaghi con il disegno, quando ti arrabbi con il disegno, li sogni a fumetti o quando non lo fai direttamente usi gli archetipi del fumetto per tradurre in immagini il ricordo che hai dei sogni. Molte volte sono traduzioni dei miei sogni, vedi ad esempio Tintin che torna spesso. Vivo in Belgio e lo utilizzo come simbolo di questa terra: non è che io l’abbia mai sognato direttamente. Altro capitolo sono i Puffi.
Uno dei temi fondamentali dell’opera di Zerocalcare è per l’appunto la nostalgia dell’infanzia e dell’immaginario soprattutto nipponico e cartoonesco con cui la generazione degli anni ’80 è cresciuta. Nei tuoi racconti ci sono riferimenti, ma sono quasi sempre distorti e non venati di alcun elemento consolatorio. Come gestisci il tuo/nostro passato e perché anche nei tuoi fumetti c’è questa forte presenza?
Un’accusa che spesso viene mossa a Zerocalcare è quella di cavalcare le nostalgie di una certa generazione, nel mio caso non sarebbe un’accusa infondata: l’ho fatto e l’ho fatto volutamente. Considera che la cosa usciva su vice, quindi non un contenitore di settore, ma di informazione generalista con un pubblico ampio e variegato. Qualche piccola ruffianata andava spesa, l’importante poi e non far dir stupidaggini ai personaggi che usi. Erano dei trabocchetti, delle caramelle ripiene alla merda: te ne accorgi solo dopo averle mangiate ed è tardi per rimuoverne il gusto.
Ritornando ai “tuoi” Puffi vorrai dire: in un racconto – un rilettura di Uomini sulla Luna di Hergè – combattono, per l’appunto, contro Tintin.
I Puffi (quelli veri, non i miei) per me rappresentano il male. Pensaci: la loro esistenza come individui è riconosciuta e determinata attraverso il lavoro che fanno o attraverso una qualità negativa dell’essere umano (c’è il puffo inventore, il puffo pittore; c’è il puffo vanitoso o il puffo golosone etc etc). Come ad insegnare a te – bambino – che nella vita sarai riconosciuto per quello che sarà il tuo mestiere. Esistono mille dietrologie sui Puffi, tante da averne fatto un libro (n.d.r. ne ha parlato Andrea Tosti su Fumettologica qui), per me pero’ al contrario di queste teorie che ci vedono un messaggio marxista rappresentano la società capitalista e neoliberista in cui viviamo, tra l’altro sono identificati dal loro mestiere ma io li ho sempre visti puffare e basta e mai uno che lavorasse davvero per quella che era la sua qualifica.
Quando vedi Grande Puffo vestito di rosso e con la barba dovresti aspettarti che dica una cosa come “Né Dio, né Nazione, né classi, né padroni…solo ETICA AL POTERE…”, ma non lo fa. Dispensa solo consigli paternalistici. Allora ho immaginato nel racconto Apocalypse Bau, dei protopuffi, qualcosa di legato veramente alla natura e completamente agli antipodi delle nostre logiche sociali, una piccola società di cacciatori raccoglitori, ben prima di una società di allevatori agricoltori. Tintin è inimmaginabile fuori dalla nostra società: sopravviverebbe 5 minuti.
Lo scout perfetto
Esatto, ma uno scout ha bisogno di maestri.
Il tuo lavoro è anche e soprattutto una critica del fumetto attraverso il fumetto, e continua anche da sveglio. Dopo i Puffi, Tintin e Astro boy, ha dedicato un tuo post/racconto anche a Maus di Art Spiegelman. Da dove nasceva il tuo malcontento?
Maus me lo regalò mio padre alle superiori. Lo lessi tutto di fila, e non starò a fare il bastian contrario dicendoti che non mi piacque, lo apprezzai e nemmeno poco, ma da subito ci trovai questa enorme incongruenza tra il criticare il nazismo e farlo dividendo gli umani in razze. Poi ci trovai un enorme infelicità d’astrazione nel rappresentare buoni e cattivi come topi e gatti dando così una giustificazione naturale ai fatti.
Come tu e i vostri lettori ben saprete ci son casi editoriali ben più grandi su questa cosa, vedi Metakatz uscito per la 5c, tra l’altro editori di Bruxelles che ho conosciuto assieme all’autore non molto tempo fa. Secondo me Spiegelman ha proprio toppato involontariamente e anche il caso editoriale della causa con la 5c è solo un enorme rosicata, forse, per l’essersi reso conto che il suo capolavoro riconosciuto è basato su un errore di astrazione enorme.
Il mondo dei fumetti sembrerebbe esser fatto solo di cattivi? Si salva solo Fritz the cat?
Il mondo dei fumetti d’infanzia è fatto di cattivi esempi, perché deve insegnare una morale ai bambini, cattivi esempi che per me corrispondo al “cattivo” poiché utili a costruire una certa identità del bambini. L’altro mondo dei fumetti è fatto dai buoni: Fritz è un buono, ma se la gioca con Joe Galaxy nella classifica del mio immaginario.
Mattioli, per l’appunto. Che tipo di rapporto hai con la “scena” (se di scena di può parlare) italiana? Vivendo da tempo all’estero, qual è l’idea del fumetto italiano?
Non è da tanto che vivo all’estero, poco meno di due anni, quel tanto che è stato sufficiente a perdere ogni contatto superfluo e mantenere quelli buoni.
Dei gloriosi anni del fumetto italiano amo su tutti Mattioli e Tamburini, non tanto per l’estetica ma per le scelte narrative incredibili, voglio dire: Tamburini non era un gran disegnatore (non a caso il suo personaggio più famoso lo fece disegnare al Michelangelo del loro gruppo di lavoro) e che ti si inventa? Snake agent, completamente fatto rielaborando fotocopie di altri fumetti, e non puoi dirmi che per esempio uno come Gianluigi Toccafondo non abbia visto quel fumetto visto che erano gli anni della sua formazione e non puoi fare a meno di notare quanto ci sia di Snake agent in quello che fa.
Tra i contemporanei, invece, che stimo molto ci sono: Ratigher, uno che sa fare davvero i fumetti; Tuono Pettinato, forse uno dei fumettisti più colti in Italia; Giacomo Nanni, pure lui esule all’estero (n.d.r. a Parigi, per la precisione) e Marco Corona, che considero il più grande disegnatore che abbiamo in Italia, nonché schizofrenico del disegno visto che passa da uno stile ad un altro con una facilità a dir poco imbarazzante. Poi ci sono tantissimi bravi giovani e meno giovani che frequentano il sottobosco.
Una cosa che non mi piace è che se un tempo nascevano cose in Italia, adesso sembra più che sia un pigro scopiazzare da cose estere, complice internet che da a tutti accesso ad un sacco di immagini senza la ben che minima possibilità di rielaborazione critica. Una volta dovevi farti un giro all’estero per vedere certe cose. Solo così avevi modo di farle diventare tue, adesso manca questa cosa e si nota in molti lavori.
Hai pubblicato il tuo Pinocchio con l’editore francese Le Dernier Cri, una specie di collettivo molto attento al fumetto come oggetto. Vuoi parlarci della tua esperienza?
Sì, con loro è stata un avventura particolare, conobbi Pakito al Crack e gli mostrai un progetto che avevo e che pensavo adatto a loro, la cosa non lo convinse ma per sbaglio in mezzo alle tavole c’era finito un disegno su pinocchio che avevo fatto poco prima, si innamorò di quel disegno e gli dissi – mentendo – che avevo fatto un intero libro su pinocchio. Lui colse la palla al balzo e mi chiese di mandargli il materiale perché intenzionatissimo a farne un libro. Tornai a casa e lavorai a quel libro. Le occasioni vanno prese al volo.
In seguito ho fatto diverse cose per loro all’interno di progetti collettivi , e uscirà a breve per loro un altro mio libro, cioè il progetto che gli proposi inizialmente: una biografia illustrata di Van Gogh. In realtà, ha poco a che fare con il vecchio progetto che gli proposi, visto che l’ho completamente rifatta l’anno scorso: per la terza volta. I testi saranno in francese, però. Fin ora mi son trovato molto bene con loro, hanno un enorme rispetto per gli autori e per il lavoro che fanno ed mostrano una disponibilità ormai rara.
Progetti per il futuro?
In questo momento son un po’ fermo, sto cercando di fare cose nuove. Ho una storia lunga già scritta e un’idea per volume di storie brevi. Poi dovrò fare una serie di illustrazioni ad accompagnamento di un romanzo breve, che uscirà sempre in Francia.Al momento aspetto riscontri da questo libro e da quello che uscirà per Le Dernier cri, poi vediamo, mi piacerebbe fare altre cose in Italia, ma per il momento non c’è nulla in cantiere.