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The Walking Dead sta diventando una serie noiosa?

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I circa 12 milioni di telespettatori americani che, lo scorso 1 dicembre, hanno guardato il mid-season finale della quarta stagione di The Walking Dead, sono solo l’ultima conferma del vasto – e crescente – successo di questa serie televisiva.

Al successo di pubblico, tuttavia, sembra non corrispondere una equivalente fortuna dal punto di vista critico: le opinioni dei commentatori sui limiti, o quantomeno sul “declino” nella qualità della serie, si fanno sempre più numerose e intense. Così si è espressa, ad esempio, il critico televisivo del New Yorker, Emily Nussbaum, che in un articolo apparso sul sito del celebre magazine pochi giorni fa – e intitolato “Utter Rot”, traducibile come “Totale putrefazione” – si è soffermata sulla progressiva perdita di qualità dello show della AMC.

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La Nussbaum, reduce dal binge-watching di tutte e quattro le stagioni, inizia il suo intervento lodando il serial tratto dal fumetto di Robert Kirkman, sottolineandone la cruda forza visiva:

“la serie è, a partire dal poderoso pilot in poi, un abbondante impasto di fango e sangue, bella in maniera perversa, una volta che ci si abitua ai crani sfracellati e agli intestini che si rovesciano fuori dalle pance. Gli effetti speciali sono di prima qualità, così come il trucco degli attori, e c’è una disgustosa magnificenza nella continua visione nel corso dello show di cadaveri tornati in vita che si contorcono […].”

I complimenti però finiscono qui, e nel prosieguo l’articolo presenta numerose critiche circostanziate. Le principali osservazioni critiche mosse dalla Nussbaum sono rivolte alle caratterizzazioni dei personaggi, a suo avviso sempre più incoerenti e frammentarie col progredire delle stagioni. Il risultato è una progressiva perdita della capacità di rendere empatico lo spettatore, in una sorta di mitridatizzazione nei confronti della morte mano a mano che si ammucchiano cadaveri. Prosegue il critico del New Yorker:

“Ma a partire dalla seconda stagione ogni pretesa di profondità si è sbriciolata e le promettenti tematiche riguardanti il dolore e la moralità hanno lasciato il passo a monologhi stantii sul significato della leadership. I personaggi, mai particolarmente profondi, hanno assunto un’annacquata artificiosità senza ossigeno, le loro motivazioni si accendono e spengono in base a quello che la trama impone. […] Mentre i cadaveri si ammassano, e i personaggi ancora in vita diventano sempre più incoerenti, ogni morte diventa solo un segno di spunta sulla lista delle cose da fare. […] Una volta diventata più spessa la corazza dello spettatore, tutta quella sofferenza si trasforma in una barzelletta.”

Il passaggio più duro, tra gli argomenti critici della Nussbaum, mette infine in luce il problema del punto di vista relativo alle tematiche offerte dal mondo di TWD. Se la storia è ormai sempre uguale a sé stessa, noiosa e la maggior parte delle volte illogica, dice la Nussbaum, perché non farne un mezzo per raccontare qualcos’altro?

“Una probabile risposta a questo sfogo sarebbe la stessa che di solito si sente nell’intero ambito della critica televisiva: chi se ne importa? È solamente una storia di zombie. Ma le storie riguardanti mostri e violenza e cataclismi su scala mondiale non solo non sono intrinsecamente vuote; per decenni sono state i salvatori non riconosciuti della televisione – un raro porto franco per alcune delle più ardite esplorazioni delle tematiche politiche o riguardanti l’identità sessuale che siano mai state fatte con questo medium. Questo vale per “Ai confini della realtà” negli anni ’60; vale per “X-Files” e “Buffy l’Ammazzavampiri” durante gli anni ’90. La sperimentazione non ortodossa con i “generi-spazzatura” è ciò che ha spinto lo storytelling della serialità televisiva oltre una pigra prosaicità e verso la costruzione del mito e l’originalità.”

Potete trovare l’intero articolo a questo link.

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