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La rivincita dei nerd. Il fenomeno Zerocalcare

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di Nicola Villa

Questo articolo è originariamente apparso sul numero di dicembre 2013 de Lo Straniero e qui ripubblicato per concessione della rivista.

Il titolo di questo articolo è lo stesso di una commedia demenziale americana degli anni ottanta nella quale un gruppo di studenti sfigati, non per forza secchioni ma esperti in cose elettroniche e videogiochi, si prendeva una rivincita sulle confraternite più popolari di un college, quelle formate da studenti campioni di football e che hanno come iniziali le lettere del greco antico. Il film è stato rifatto in varie forme per tutti gli anni novanta e ancora oggi ci sono cartoni animati, come l’ultimo della Pixar, che richiamano quello schema narrativo. “La rivincita dei nerd” può essere anche il titolo del successo di Zerocalcare, un fenomeno che non ha pari nella storia del fumetto e dell’editoria nel nostro paese: come il gruppo di studenti sfigati del film, alla fine, riusciva ad avere la meglio nei confronti degli studenti buzzurri e palestrati, così un fumettista trentenne romano pubblicato da una piccola casa editrice milanese, la Bao Publishing, si contende le classifiche dei best seller che sono da sempre terra di conquista dei grandi gruppi editoriali.

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L’ascesa di Zerocalcare, alias di Michele Rech romano del 1983, e insieme quella della Bao, non può non suscitare simpatia: quando esordisce all’inizio del 2012, dopo più di 10 anni passati nei centri sociali romani a disegnare locandine e ad autoprodursi, con l’albo La profezia dell’armadillo, il segnale precoce è che il titolo raggiunge rapidamente il primo posto nella classifica di vendite di Amazon.it, a testimonianza che i giovani non vanno più a comprare in libreria ma cercano i prezzi più bassi sul web. Le vendite schizzano in alto, probabilmente superano le 50mila (oltre la quinta ristampa). Verso la fine del 2012 Zerocalcare dà alle stampe quello che può essere definito il suo primo graphic novel, Un polpo alla gola, un romanzo di formazione che diventa il best-seller underground del natale 2012 in barba ai soliti titoli e ai soliti nomi nell’annus horribilis per l’editoria italiana che sente l’onda lunga della crisi economica. All’inizio di quest’anno il meglio del sito del fumettista, zerocalcare.it, che viene aggiornato con una breve storia una tantum ma sempre di lunedì (il giorno più sfigato e odiato della settimana), viene pubblicato nell’albo Ogni maledetto lunedì su due sempre dalla Bao ed è un successo annunciato perché le storie sul web sono state già dal novembre 2011 condivise sui social network da decine di migliaia di persone. Giornali e media tradizionali si sono già accorti di lui: fioccano interviste, una anche su “Rolling Stone”, recensioni, segnalazioni e aumentano le collaborazioni tra cui “Internazionale”. Nel settembre di quest’anno viene pubblicato Dodici, il secondo graphic novel ovviamente per la Bao, che appare anche nelle classifiche-scaffale delle librerie Feltrinelli e viene recensito da quasi tutti i giornali e riviste che si contendono le tavole in anteprima. All’ultimo Lucca Comics, di inizio novembre, il firma-copie di Zerocalcare è quello più ambito: sembra che ci siano state file di più di sei ore d’attesa, il che significa migliaia di persone, molte di più di quelle che in passato hanno accolto un ospite straniero come Art Spiegelman, per esempio.

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Zerocalcare è, in poche parole a effetto, il primo fenomeno di cultura giovanile italiana degli anni dieci del nuovo millenio. Poco importa che sia molto romano e che il suo linguaggio sia uno slang giovanile romanesco post-dialettale, reso dominante proprio dalla televisione. Un fenomeno su cui è importante riflettere al di là della “rivincita” di vendite e di pubblico, perché rappresenta una fedele fotografia della pessima, terribile e deprimente condizione giovanile in cui i lettori si immedesimano totalmente. Il suo successo non è determinato dalla bravura tecnica e dall’originalità del tratto: in questo senso Zerocalcare non fa parte della nuova onda di narratori grafici italiani alla ricerca di un disegno distintivo che lavorano molto sulla tecnica, sulla trama e raggiungono anche un notevole successo internazionale (si pensi a Manuele Fior), ma è più un fumettista tradizionale all’italiana anche nel rapporto di filiazione col pubblico, che difficilmente si estenderà oltre confine. Chi elogia il suo disegno mette l’accento sulle influenze straniere, soprattutto giapponesi, che gli amanti di fumetti  definiscono il suo tratto “mangoso”, ma pochi prendono in considerazione i precedenti del nostro fumetto. Zerocalcare è, a pensarci bene, un diretto figlio di Silvia Ziche e di Silver, forse in crescita, migliore di loro ma ancora molto grossolano e non ai livelli di Andrea Pazienza. In un certo senso i suoi personaggi sono un avanzamento di Lupo Alberto ma non così tanto da arrivare a Zanardi. Anche per quanto riguarda la trama, la costruzione di un plot, non si può parlare di originalità: i suoi libri più deboli sono proprio i più ambiziosi come Un polpo alla gola, un romanzo di formazione sul senso di colpa, e l’ultimo Dodici, un racconto di fantascienza del quotidiano in cui il quartiere di Rebibbia, periferia di residenza da dove viene il fumettista romano, viene invaso dagli zombie.

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L’elemento di originalità e di successo di Zerocalcare è tutto nei due albi più irregolari, La profezia dell’armadillo e Ogni maledetto lunedì, ed è rappresentato dall’invenzione delle molteplici coscienze del protagonista. La struttura delle storie che compongono questi libri è sempre uguale e ricorda un po’ il modello fisso dei Simpson, la ventennale serie a cartoni americana: una premessa A che apparentemente deve portare a una conseguenza B, si trasforma in una imprevedibile conseguenza R, S, T, Z perché il quotidiano sfugge completamente al nostro controllo, perché le regole della nostra post-modernità non hanno più logica. La sua abilità è saper raccontare questa quotidianità, quasi sempre storie che hanno luogo nel privato dell’appartamento e davanti al computer, con un’ironia che sembrava scomparsa, soppiantata da un cinismo generalizzato: Makkox, una sorta di fratello maggiore e scopritore, definisce Zerocalcare un natural, nell’introduzione a La profezia dell’armadillo, capace di volare con leggerezza senza neppure rendersene conto. Nelle storie di Zerocalcare è rappresentata la quotidianità di un trentenne di oggi, disoccupato, cinico e abulico, che è messo alla prova e fallisce regolarmente affidandosi a una coscienza bislacca e comica. Una coscienza che assume, di volta in volta, l’aspetto di un personaggio rassicurante e nostalgico pescato da un retroterra di cultura pop. Zerocalcare è sostanzialmente un fenomeno postmoderno di riproposizione di una sottocultura pop giovanile formativa, quella rappresentata dalla televisione privata negli anni novanta, interiorizzata, metabolizzata e riproposta come elemento aggregante. Chi ama e si identifica nei suoi fumetti è cresciuto guardando tutti i film animati della Disney, guardando in tv gli statici cartoni animati giapponesi (i cosidetti anime), giocando ore e ore ai videogiochi e comprando i manga in fumetteria. Chi ama e si identifica nei suoi fumetti ha una vita molto simile a quelle del suo protagonista, le stesse nevrosi e paranoie. Ne condivide anche le serie televisive che creano dipendenza, scaricate da internet e viste la notte nella solitudine della camera da letto in un appartamento di periferia del quale si riesce a pagare faticosamente l’affitto a fine mese. Chi ama e si identifica nei suoi fumetti, preferisce delegare alla propria responsabilità, non reagendo e affidandosi a un universo pop rassicurante e adolescenziale.

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L’immagine-metafora più riuscita, che è come un sottotesto in Ogni maledetto lunedì, è quella di un naufragio (la società è la nave e i giovani sono in terza classe). I superstiti, tutti coetanei trentenni, sono ognuno singolarmente aggrappato a tavole di legno per non andare a fondo, tutti soli e contemporaneamente nelle stesse condizioni, non hanno altra alternativa che tenersi a galla, mentre alcuni riescono anche a costruirsi una zattera (un misero impiego alle Poste), qualcuno rimedia addirittura un motoscafo (i privilegi di classe sociale) e altri non ce la fanno più a reggersi e vanno a fondo “quasi sempre in silenzio o forse sei tu che sei troppo impegnato a stare a galla per accorgertene”. L’assenza di speranza per un presente che sta colando a picco è totale ed è notevole in proposito l’incipit di Dodici nel quale non c’è alcun stupore che “fuori” siano tutti “morti”. La società è già morta prima di esserlo davvero, già popolata di morti che camminano. Nonostante il pessimismo, Zerocalcare individua una reazione collettiva, una lucina in fondo al tunnel, nell’antagonismo giovanile. Ma questa risposta è una comoda e particolare forma di snobismo che afferma l’appartenenza a una tribù urbana, l’orgoglio di far parte di una minoranza che ha liberato piccole zone cittadine dalle regole dello Stato e dei privati, dove giocare al gioco del purismo e del massimalismo senza voler cambiare veramente ciò che è fuori, accontentandosi del laboratorio sociale permanente e ininfluente: il centro sociale come contenitore autoreferenziale di esperimenti e eventi giovanili.

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Peraltro, al di là del male sociale, Zerocalcare tocca un pessimismo interiore più profondo, riuscendo a svelare una crepa esistenziale più grave della sua generazione. È il caso del trait d’union di La profezia dell’armadillo, il tentativo di elaborazione del lutto di un’amica d’infanzia. La visione che ne esce è anche peggiore di quella della nave-società, perché non solo non è possibile “superare” la scomparsa di un coetaneo, cioè capirne i motivi, ma è impossibile, ripensando alla vita insieme, all’amicizia, individuarne qualsiasi possibilità comunicativa: è talmente grave il livello di “imbozzolamento” nel proprio basso cinismo che la relazione è un’utopia. L’unica strada possibile è la sospensione temporanea delle proprie paure e narcisismi: la parte più bella del fumetto è proprio quando solo per una sera il protagonista Zerocalcare e la sua amica riescono a “lasciare fuori” dalla stanza le loro rispettive coscienze e a parlare per la prima volta in maniera aperta e sincera. È un momento di inconsueto pudore a cui il lettore non è ammesso, ma si vede l’armadillo (“Grillo parlante” prediletto e non a caso originale e non frammento di cultura pop) fuori dalla porta, seduto accanto un mostro scuro, enorme e silenzioso, rappresentazione della depressione dell’amica.

Zerocalcare ci parla di una condizione realistica e drammatica, una generazione esclusa dal mondo del lavoro, una generazione di vite-fotocopia quella dei nerd, nutriti a cultura pop e merendine, non dei natural, in fin dei conti, ma dei normal. Sui social non appena viene pubblicata una nuova storia tra i commenti che l’accompagnano il più diffuso è “geniale”; le recensioni che si leggono sono piene di “geniale”; anche Makkox nella già citata introduzione, una finta ammissione di invidia, gli attribuisce un bel “geniale”. Verrebbe da dire la genialità dei normali! L’impressione, infatti, è che non ci sia nulla di geniale, ma anzi che l’effetto del fenomeno Zerocalcare sia più quello di un riconoscimento generazionale e, immediatamente dopo, di una consolazione collettiva. “Siamo tutti Zerocalcare” si legge nelle bacheche di Facebook o nei tweet dei trentenni, ed è come se si compisse la rivincita definitiva dei nerd: tutti uguali, tutti con gli stessi riferimenti di massa culturali senza alcuna  vergogna, perché anche l’estetica nerd, quella dello sfigato di successo è stata fagocitata e risputata dal mercato: non sono infatti nerd i programmatori di computer? gli hipster creativi con gli occhialoni che popolano i festival di musica indie? non hanno tutti gli stessi piercing e gli stessi tatuaggi? Una generazione di accettanti e consapevoli che il consumo culturale è l’unica strada dalla culla alla tomba: essere sfigati sì, ma finalmente normali e unici, come tutti.

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UPDATE: Il commento di Zerocalcare all’articolo

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