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L’arte di Vittorio Giardino secondo Oscar Cosulich

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La collana “Tomografie d’Arte Contemporanea”, della casa editrice romana Exòrma, si occupa, come esplicitamente dichiarato, di arte contemporanea. L’idea è quella di dare a un critico, ogni volta diverso, la possibilità di guardare e leggere la trama del quotidiano attraverso l’attività di un artista con il quale ha scambiato più volte pensieri e punti di vista sulla realtà che circonda entrambi.

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Ci sembra un bel segnale per il mondo del fumetto italiano, il fatto che dopo avere discusso l’opera di Baldo Diodato e Alfredo Jaar, l’ultima uscita della collana sia dedicata al lavoro di Vittorio Giardino, autore che viene solitamente annoverato all’interno della schiera dei fumettisti più che tra quella degli “artisti contemporanei”.

Curato dal critico Oscar Cosulich, il volume racconta la genesi delle opere di Giardino, il suo modo di lavorare e di realizzare le storie. Contiene illustrazioni di chine, matite, foto d’epoca, e parecchio materiale di preparazione alle tavole narrative.

Abbiamo selezionato alcune pagine relative a “No pasaràn” particolarmente interessanti dal punto di vista strettamente filologico, che mostrano con chiarezza il lavoro di ricerca visuale di Giardino.

Pubblichiamo di seguito un estratto dalla conversazione tra Oscar Cosulich e Vittorio Giardino pubblicata all’interno del volume.

O.C. – Come lavori sulla ricerca iconografica alla base dei tuoi fumetti e come inserisci la tua creatività in situazioni storiche definite? 

V.G. – L’iconografia si basa essenzialmente su ricerche d’archivio, attingendo alle fonti più diverse: dalle fotografie e i documenti d’epoca fino al cinema. Questo tipo di indagine, che in certi casi presenta anche qualche difficoltà, mi appassiona molto. Richiede tempo e fortuna, ma può dare grandi soddisfazioni. Per le trame e i personaggi, si tratta invece di invenzione, pur se inserita in una cornice storica determinata. Quindi l’influsso maggiore sull’ispirazione viene dalla letteratura, dalla saggistica storica ma anche, ancora una volta, dal cinema. […]

O.C.  Per rendere il noir hai scelto la linea chiara, curioso no?

V.G. – Come linea chiara è piuttosto scura, mi pare. Parlando sul serio, la grafica di Sam Pezzo doveva inoltre soddisfare la mia esigenza di raccontare: l’idea era di ricreare un mondo anche attraverso dettagli apparentemente “insignificanti”, perché sono i dettagli che lavorano sull’inconscio. Succede anche al cinema: la vicenda principale non ci fa badare consapevolmente ai dettagli, ma è proprio quando il film è ben fatto e non abborracciato, che quei dettagli gli danno forza. Se a Casablanca togliessi i dettagli e la meravigliosa messe di comprimari intorno ai protagonisti cosa rimarrebbe? La solita banale storia con lui/lei/l’altro.

O.C. – Nel fumetto, poi, il lettore può soffermarsi su una vignetta quanto vuole, studiarsela addirittura.

V.G. – È vero, anche il disegno è racconto. Per me, come autore e come lettore, il disegno dell’interno di una stanza deve farmi vedere mobili, libri, oggetti, che mi dicono molto sul personaggio che la abita. Per la precisione di segno necessaria a questo tipo di racconto serve la linea chiara. La linea chiara offre la possibilità di mostrare tutto ciò meglio di una raffigurazione giocata sui chiaroscuri, che forse ha un impatto emotivo più forte ma una minore ricchezza narrativa.

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