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La rabbia e la tristezza dell’uomo comune: Yoshihiro Tatsumi

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Occupato, uno dei racconti del mangaka Yoshihiro Tatsumi, narra di un giovane autore di manga convinto di aver perso la propria vena creativa. La sua serie non incontra il gusto dei giovani lettori, e l’editor gli propone di concluderla. Minato nel fisico dal peso dell’insuccesso, il protagonista è costretto a ricorrere spesso ai bagni pubblici, in preda a conati di vomito.

È proprio in questi luoghi, imbrattati da scritte e disegni osceni1, che il protagonista matura l’ossessione per un mondo adulto e sordido, in cui il sesso è quasi sempre visto come merce e i rapporti sono consumati in maniera illecita. Questa ossessione verrà assecondata dal caso, visto che subito dopo il licenziamento, Shimogawa verrà assunto per pubblicare racconti su Play Magazine, rivista decisamente per adulti.

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tatsumi

In questo racconto, per quanto breve, è evidente la presenza di un motivo autobiografico. Si tratta di frammenti di quelle esperienze che portarono il giovane Tatsumi, insieme ad un nutrito gruppo di autori, a fondare il movimento Gegika, che proponeva una drammatizzazione e una «adultizzazione» del fumetto giapponese.

Partendo dalla rivoluzione di Osamu Tezuka – che a sua volta, nei lavori più tardi, si avvicinerà ai temi del Gegika, pur mantenendo una visione critica verso quella produzione – il giovane Yoshihiro Tatsumi arrivò a teorizzare, a partire dal celebre “Gekiga Manifesto” del 1959, la necessità un fumetto che rispondesse ad esigenze diverse da quelle dell’intrattenimento umoristico e che eludesse le formule coniate sul modello statunitense. Un fumetto che proponesse di offrire una riflessione realista sia nel contenuto che nella forma, attingendo a modelli e ispirandosi a istanze provenienti non tanto dal manga quanto da teatro, cinema e Kamishibai. In sintesi, un manga che fosse in grado di mettere in scena la realtà senza ammiccamenti comici, ma nella sua scabrosa nudità e nei suoi aspetti persino più aberranti, maniacali, paranoici.

Così facendo Tatsumi mette a fuoco, nei suoi racconti, un nucleo tematico su tutti: la distanza fra individuo e società, e lo scollamento profondo tra uomo e mondo. Un filo rosso che si dipana nella rappresentazione di alcuni soggetti preferenziali come i perdenti, i sommersi, i deboli. A queste figure l’autore pare guardare senza alcuna compassione, ma forse con un po’ di empatia, visto il taglio violento e moralizzante che offre nel descrivere le loro peripezie in una società alienante e famelica, assetata di sesso e denaro.

Le tavole di Tatsumi oscillano tra la claustrofobia delle piccole stanze degli alloggi suburbani e degradati agli ampi spazi esterni in cui si muovono in completa solitudine i suoi anti-eroi, con un montaggio che strizza l’occhio al cinema. Il tutto intriso da una forte misoginia, in cui lo sguardo maschile diventa l’unico possibile. Le donne di Tatsumi, infatti, sono spesso donne facili, mogli fedifraghe e interessante solo ai soldi; oppure, nei racconti della maturità, esseri maltrattati, avviliti e schiacciati, privati della propria identità.

Le tre raccolte pubblicate dall’editore canadese D&W fotografano a pieno l’evoluzione del padre del Gegika, che per anni ha pubblicato le sue short stories su «Garo», rivista simbolo del nuovo genere e di capitale influenza (grazie ad autori come Sanpei Shirato, Yoshiharu Tsuge, Murasaki Yamada, Usamaru Furuya, Suehiro Maruo), e su riviste di ampia diffusione come «Big Comic» e «Playboy Japan», riscuotendo ampi consensi. In particolare le storie contenute in Good-bye, già pubblicato oltreoceano sul finire degli anni Ottanta, dall’editore Catalan Comunication, offrono una prospettiva fortemente politicizzata, toccando temi come quelli dell’olocausto nucleare e della presenza statunitense nel Giappone de-militarizzato. Tra questi, proprio Good-bye è una fotografia impietosa del ruolo della donna nella società post-bellica. In un’intervista rilasciata a Tomine, l’autore rivela la natura autobiografica del racconto:

Vedevo come i soldati americani abbracciavano e baciavano le giovani giapponesi in pubblico, ed ero scosso e rammaricato. Come potevano avere un atteggiamento così disinvolto e rude con le donne? Mi turbava la cecità degli adulti verso certi comportamenti. Prima e dopo la scuola, io e i miei amici spesso guardavamo i soldati americani consumare rapporti sessuali con donne giapponesi tra i cespugli. Sono sicuro che queste esperienze hanno influenzato la scrittura di Good-Bye. Nel racconto, il ragazzo che colpisce il padre di Mary sono io2.

Ed è proprio la dura esperienza esistenziale di Tatsumi a portare a galla un’esigenza diversa nella sua narrazione. In un volume pubblicato sul finire degli anni Sessanta, in cui si faceva il punto sul movimento Gegika, ne sintetizzava in questa maniera la missione:

I nostri predecessori ci avevano insegnato che il fumetto era comico e usava ellissi, deformazioni, amplificazioni delle espressioni o degli atteggiamenti, gag. Si trattava di dover far ridere il lettore. Noi però non volevamo più cose del genere… A noi interessa quindi la resa della realtà, che contenga nel suo stile l’espressione grafica, che sviluppi attraverso il disegno quello che vogliamo far capire, applicandola ai movimenti, piazzando sotto le luci, in primo piano, le teste dei personaggi da cui possiamo cogliere le emozioni del volto, cercando di riuscire a mostrare i loro stati psicologici. Noi ci rivolgiamo a lettori più maturi, in grado di comprendere3

Good-bye, Catalan Comunications, 1988

Una sintesi perfetta di quanto detto da Tatsumi sono le prime tavole di Golgo 13 di Takao Saito. Serializzato su «Big Comic», rivista antologica pubblicata dall’editore Shogakukan, l’opera di Saito affonda le radici nella mitologia del samurai riletta in chiave hard-boiled e iper-violenta. Non è un caso che che la sequenza al fulmicotone con cui si apre il primo volume riporti alla memoria il Frank Miller di Sin City.

Lontano dai lunghi cicli narrativi, Tatsumi lavora, invece, sui racconti brevi sino al 1984, maturando nello stile, ma restando fedele ad uno storytelling che spesso porterà la critica occidentale a paragonarne la scrittura ai maestri del minimalismo e del realismo americano, primo fra tutti Carver, anche se non è azzardato pensare ad autori come lo Yates di Eleven Kind of Lonliness o a certa Flannery O’Connor4, o ancora a Thom Jones e ai pugili, diabetici e falliti, che ne affollano le pagine.

Adrian Tomine, che ha legato i suoi esordi al racconto breve, introducendo la prima antologia americana dei racconti di Tatsumi riconosceva un forte debito nei confronti del mangaka. A dire il vero, davanti a racconti come Bomb Scare è impossibile non pensare anche a Daniel Clowes. Eppure l’estrema desolazione e solitudine dei tipi di Tomine – e una certa dose di misoginia – non possono non far pensare anche e soprattutto a Tatsumi. Leggendo Shortcomigs pare di trovare gli echi delle coppie protagoniste dei racconti di Tatsumi, sempre invischiate in un silenzio esplicito e carico di risentimento, dove la risoluzione – spesso violenta – non ha la forma di una redenzione, ma piuttosto di una dannazione.

La produzione narrativa di Tatsumi procede, come detto, sino al 1984, quando lentamente incomincia ad oscurarsi la sua fama. A metà anni Ottanta lavora alle matite per il noto mangaka Mizuki Shigeru, e nel frattempo apre un negozio di manga usati a Jinbochō. Shūeisha, l’editore di Shōnen Jump, gli affida le illustrazioni di alcuni volumi. Negli anni Novanta continua la sua attività di illustratore, dedicandosi principalmente a libri di tema religioso, come la serie dei «Buddhist Comics», pubblicata dall’editore per ragazzi Suzuki Shuppan. Nel frattempo, il suo intento è quello di portare a termine un’opera autobiografica. Gekiga hōryū, questo il titolo dell’opera edita nel 2008 in due volumi dall’editore Seirinkōgeisha, consta di 820 pagine, in cui Tatsumi narra, mischiando autobiografia, romanzo di formazione e kunstelleroman nella cornice del travagliato ma entusiasmante periodo post-bellico, le vicende che lo videro protagonista prima come giovane e poco talentuoso esordiente sui kashihon5 e in seguito come fautore della rivoluzione del Gegika.

Una_vita_tra_i_margini

Lo scorso anno, dopo svariati premi e diverse edizioni, Gekiga hōryū è stato pubblicato anche in Italia da Bao Publishing con il titolo Una vita tra i margini6La biografia-fiume di Tatsumi copre un arco limitato di tempo, ma soprattutto è una storia culturale dei manga e del Giappone post-bellico, narrata da un punto di vista eccentrico. Sono quei margini in cui è intrappolato l’uomo comune – il soggetto preferito di Tatsumi – il luogo da cui la storia del Giappone viene raccontata osservata: una parabola che parte dall’ostinata volontà di rifuggire la spettacolarizzazione del manga come intrattenimento per farsi, piuttosto, ritratto di quella rabbia e di quella disperazione che ribolliva all’ombra del boom economico. In un’intervista recente, durante il Toronto Comic Arts Festival, Tatsumi parlava in questi termini del Giappone:

A quel tempo il paese stava crescendo e le cose andavano molto bene, ma intorno a me c’era solo gente povera. Il Giappone si stava arricchendo, ma per la gente che mi stava intorno nulla cambiava. A causa dei cattivi politici, e dalla situazione generale del mondo politico, nulla sembrava accadere, niente cambiava. Così ho voluto scrivere dei racconti che esprimessero la rabbia e la tristezza dell’uomo comune.7

Una vita tra margini narra della parabola umana di (K)atsumi – questo il nome scelto per il protagonista – e della voglia di raccontare la sporca realtà di un Giappone messo, per l’appunto, ai margini, composto di persone ormai prive di identità, ferite nell’animo e nel corpo. «Invece di eroi e cattivi monodimensionali, c’erano le persone: i volti nella folla, apparentemente colti a caso e poi approfonditi nei loro momenti privati più sordidi ed oscuri».8

Ma, come accennato, il libro di Tatsumi è anche e soprattutto una risorsa indispensabile per ricostruire la storia editoriale e culturale di un paese, soffermandosi sugli attori principali dei kashihon. Nonostante la mole di informazioni, molti episodi sono romanzati, come nel caso di Black Blizzard, un lavoro importantissimo nell’evoluzione di Tatsumi, e di cui passa in secondo piano il fatto che fosse l’adattamento di un racconto di Shimada Kazuo. Non mancano, inoltre, alcuni anacronismi legati all’influenza dei fumetti americani. Ma soprattutto è interessante vedere come l’atteggiamento di Tatsumi fosse critico e come lavorasse per colmare quelle che a lui sembravano delle lacune. La logorrea dei crime comics americani, per esempio: Tatsumi, preferiva, infatti, ridurre all’osso i dialoghi, creando personaggi quanto mai taciturni, al limite del mutismo. Il medesimo atteggiamento si raffina sino a toccare l’apice nei racconti della maturità. Ad esempio potremo prendere Il bivio, datato febbraio 1970, presente anche in Lampi, primo volume dell’incompiuta edizione dei racconti di Tatsumi da parte di Coconino Press. Le tavole di Tatsumi alternano un potente realismo degli ambienti esterni, utilizzati in maniera simbolica, con l’angustia degli interni, in cui l’autore confonde continuamente i piani temporali, scavando l’inconscio del protagonista.

Tutti questi elementi sono assenti in Una vita tra margini, che è finalizzata all’essenziale anche attraverso la scelta di un disegno scarno e privo di orpelli. Eppure, questo romanzo fiume ha avuto una risposta entusiasmante, che ha strappato definitivamente Tatsumi dal limbo in cui era caduto, consegnandoci un autore potente e innovativo, amato non solo in patria, ma anche in Occidente. Italia inclusa, ci auguriamo.


1 Un tema, quello dei graffiti a sfondo erotico-pornografico, che ritorna ne Il Proiezionista – racconto incluso nella prima raccolta di storie brevi di Tatsumi, pubblicata da Drawn & Quarterly e curata da Adrian Tomine, Pushman and other stories

Q&A with Yoshihiro Tatsumi, a cura di Adrian Tomine, in Tatsumi, Y., Good-bye, Drawn&Quarterly Publications, Montreal 2008, p. 211.

3 Tatsumi, Y., Lampi, Coconino Press, Bologna 2004, p. 148.

4 Si veda ad esempio La schiena di Parker

5 Erano riviste stampate in bassa tiratura per i negozi in cui si potevano noleggiare o leggere fumetti per pochi yen.

6 Al lavoro di Tatsumi è stato dedicato un lungometraggio animato, dall’eloquente titolo Tatsumi, nel 2011: un lavoro ispirato a Una vita tra i margini e non solo, diretto dal regista ed ex fumettista Eric Khoo.

http://manga.about.com/od/mangaartistinterviews/a/YTatsumi.htm

8 Tatsumi, Y., Pushman and other stories, Drawn & Quarterly Publications, Montreal 2005, p.5.

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