Jack Cole è un’autentica leggenda del fumetto americano: disegnatore autodidatta, illustratore di lattine, viaggiatore in bicicletta dalla costa Est a Los Angeles, amico personale di Hugh Hefner e, infine, suicida (per ragioni mai chiarite).
Il suo nome è abitualmente associato a Plastic Man. Non un fumetto qualsiasi, bensì, secondo Art Spiegelman: «l’incarnazione stessa del fumetto supereroistico: con la sua esuberante energia, l’elasticità, la sua eterna fanciullezza e la sua, in parte sublimata, sessualità». Ma nel corso della sua carriera, Jack Cole espresse il proprio talento in almeno altri due importanti ambiti, oltre quello del comic book, ovvero le vignette per riviste e periodici, e le strip sindacate. La sua stessa ultima e incompiuta fatica fu proprio la deliziosa striscia Betsy and Me, che disegnò sino ai giorni della sua tragica scomparsa.
Gli esordi
La carriera di Jack Cole come autore professionista di fumetti e vignette si può dire che incomincia nel 1937 quando, dopo essersi trasferito a New York nel Greenwich Village, viene assunto per occuparsi della rifinitura finale delle tavole da Harry “A” Chesler, ex pubblicitario proprietario di uno studio che forniva fumetti inediti agli editori. All’epoca la produzione dei fumetti era in gran parte organizzata come una sorta di catena di montaggio, utile a sostenere l’alta richiesta con una suddivisione parcellizzata del lavoro. Cole, comunque, sovrintendeva totalmente ai propri lavori, per lo più di stampo umoristico, dall’ideazione sino alle chine, mostrando uno stile già personale, ma con un forte debito verso fumettisti come Bill Holman e Dr. Seuss.
Nonostante i tentativi di ottenere l’assegnazione di una strip personale, il giovane Jack Cole non riesce nell’intento e la rivista della United Feature Syndicate su cui pubblicava la sua Peewee Throttle, Circus Comics chiude dopo solo tre numeri. Di lì a breve, il mercato del fumetto americano sarebbe stato invaso da un nuovo genere – quello supereroistico, grazie all’avvento dell’ “Uomo di ferro”, conoscendo il suo periodo più fertile e creativo, e gli editori avrebbero deciso di puntare su storie inedite. In questo turbine di novità, Cole incomincia a dedicarsi alle cosiddette crime stories, racconti di genere poliziesco, criminale e “nero” che declina, tuttavia, quasi sempre con uno sguardo ai suoi pimpanti screwball comics.
La sua prima storia lunga in questo filone è Little Dynamite, apparsa su Keen Detective Comics #6 del Febbraio 1939, ristampata in Fantoman #2 dell’Agosto 1940. Jack Cole sin da subito intuisce le potenzialità del nuovo formato e, a differenza di tanti suoi colleghi, che continuavano a trattare la tavola come niente di più che un insieme di strisce, introduce alcuni espedienti che “rompono” la tradizionale scansione lineare. Non solo la cura quasi xilografica del disegno, con continui e arditi cambi di inquadratura, ma anche l’enfatizzazione grafica dei balloon sono fra le tecniche utilizzate da Cole per raggiungere effetto drammatico ancora più incisivi.
Molto spesso, visto i tempi molto stretti di produzione, il metodo utilizzato da Cole è quello del write-as-you drawn, cioè un processo in cui scrittura e disegno procedevano di pari passo, senza seguire uno script iniziale. Inoltre, proprio quel racconto si rivelerà quanto mai emblematico, introducendo l’ossessione di Cole per i cambi di identità e i mutaforma: un tema che, negli anni a venire, esplorerà continuamente e sotto diverse prospettive.
Jack Cole continua a destreggiarsi in quegli anni tra diverse case editrici, ma alla fine del 1940 la sua collaborazione con la Quality diventa esclusiva. È in questa occasione che Everett M. “Busy” Arnold gli chiede di creare un personaggio in costume che dovesse servire come sostituto dello Spirit di Will Eisner, visto che quest’ultimo ne deteneva i diritti. Nasce così Midnight, un sosia perfetto dell’eroe dell’autore di Contratto con Dio. Sin dal debutto su Smash Comics #18, Cole mostra la particolare visione del mezzo con una gestione funambolica della tavola e con una serie di trovate che recupererà più avanti nel suo Plastic Man.
Plastic Man e la fine della Golden Age
Nell’Agosto del 1941, la Quality inaugura due nuovi titoli, ai quali Cole contribuisce con due creazioni. Sulle pagine di Military Comics pubblica Death Patrol, un contraltare umoristico e dai toni demenziali dei Blackhawks di Eisner. In Police Comics, invece, incomincia a serializzare la sua creazione più importante: Plastic Man.
Il protagonista si chiama Eel O’Brian, e la sua rinascita “super umana” è tra le più classiche. Durante un furto in un’industria di prodotti chimici cade in una vasca di acidi perdendo i sensi. Al risveglio, scopre di aver acquisito la capacità di allungarsi a piacimento in ogni direzione ed illimitatamente, dedicandosi così alla lotta al crimine.
Il fumetto di Cole, quindi, sembrerebbe non schiodarsi dalle innumerevoli e coloratissime genesi che in maniera esuberante tracimavano dalla pagine dagli economici albi a fumetti. Ma l’intento dell’autore è chiaramente parodistico, come si può intuire a partire dallo stravagante potere scelto per O’Brian.
Infatti, il fumetto di Cole si caratterizza per un approccio ibrido: da un lato c’è una raffigurazione del crimine in linea con quello rappresentato nei fumetti dell’epoca – e che tanto scalpore susciterà di lì a poco in America, sino a produrre una vera e propria fobia culminante nei roghi pubblici e nelle inchieste parlamentari degli anni della comics scare – dall’altro c’è questa vena umoristica e demenziale che Cole non abbandona mai e che affonda nella sua passione per gli screwball comics e le strip domenicali. Basterebbe guardare i lavori di Milt Gross come Count Screwloose o i lavori filo-cubisti di Cliff Sterett.
Non è un caso, poi, che Cole introduca da subito un personaggio umoristico come Woozy Winks, l’archetipo dell’inettitudine. Dal numero 13 di Police Comics del Novembre 1942, quindi Cole incrementa le gag da film slapstick facendo interagire nelle pagine di “Plas” i due personaggi. Essenzialmente, mette a frutto tutto ciò che ha sperimentato nei racconti brevi apparsi in varie riviste negli anni precedenti: basti pensare a lavori come Wu Cloo. Non a caso anche a livello di scelte cromatiche e decorative, Cole ritorna su elementi simili riempiendo le tavole di maniacali trovate sia grafiche che narrative.
Plastic Man non è un solo un fumetto comico. Infatti, nonostante i criminali siano inseriti in un contesto grottesco, questo non fa che enfatizzare e accrescere la sguardo critico di Cole: solo una sottile vena di pazzia può condurre l’uomo sulla via del crimine. È un metodo che Cole sperimenta anche in Midnight che, sorprendentemente, riscuote un buon successo, per terminare la sua corsa in Smash Comics #38. Siamo nel Dicembre del 1942 e Plas, ormai, assorbe interamente Cole, che incomincia a creare storie destinate anche alla pubblicazione in albi monografici dedicati all’eroe.
La carriera di Jack Cole è ormai lanciata: nonostante i pressanti impegni per Plastic Man, trova il tempo per sfogare la sua creatività in vari “riempitivi” umoristici come Burp the Twerp, Dan Tootin, Windy Breeze etc etc. A questi già onerosi impegni, sopraggiunge un importante impegno quotidiano: sostituire Will Eisner per la striscia quotidiana di The Spirit, visto che il suo creatore era stato chiamato sotto le armi. Nel 1946 ritorna nuovamente su Midnight continuando a disegnarlo sino alla chiusura di Smash Comics nel 1949. Nel frattempo, Cole si diletta nella creazione di fumetti dell’orrore o del crimine.
Nel 1947 l’antologico Police Comics diviene True Crime Comics e Plas continua la sua corsa sulla testata omonima. Ed è proprio sulle pagine di True Crime Comics, per l’esattezza sul secondo numero (Maggio 1947), che Cole pubblica un’immagine di quelle che hanno fatto la storia del fumetto americano. Si tratta di un close up dell’occhio di una donna, prossimo ad essere trafitto dall’ago di una siringa ipodermica.
Il racconto è il famosissimo “Murder, Morphine and Me”. Jack Cole scrive un racconto in linea con il gusto del periodo per le storie forti e che stava portando l’EC Comics verso territori che, di lì a poco, avrebbero causato il tracollo dell’industria fumettistica americana.
Infatti, nel 1953, poco prima della pubblicazione del suo Seduction of Innocent, lo psichiatra Fredric Wertham decise di riprendere proprio questa immagine – insieme ad altre – in un articolo apparso sul numero di novembre del magazine Ladies’ Home Journal, con un intento critico e denigratorio verso i comic book.
Accanto ad articoli dai titoli (improbabili) come «Rivoluzione in naftalina» e «È possibile salvare il proprio matrimonio?», figuravano i risultati di sette lunghi anni di ricerca condotti sul campo, che cercavano di dimostrare un nesso causale tra «la lettura di albi sul crimine e le forme più serie di delinquenza giovanile». Anche se le conclusioni di Wertham non si limitavano a quella grossolana tesi, l’accostamento tra i suoi argomenti più critici e quella potente immagine contribuì a sancire una pervasiva influenza negativa del fumetto sulla giovani menti.
Dopo anni di lavoro incessante e di successi, nonché di un continuo esercizio di raffinamento e ricerca sul fumetto come espressione artistica e comunicativa, Jack Cole si vide additato come uno dei profanatori della gioventù e dell’infanzia americana. Nell’articolo Cole non è menzionato, ma nella seconda pagina appare la famigerata vignetta, che a causa della sua efferatezza diventerà uno dei simboli della lotta contro gli editori di fumetti del crimine e del terrore. La stessa immagine, d’altro canto, era stata già precedentemente utilizzata dallo psichiatra in un altro articolo, apparso su The Saturday Review of Literature del Maggio 1948.
Le udienze del Senato volute dal senatore Robert C. Hendrickson sui risultati delle indagini condotte dalla sua commissione sulla correlazione tra albi a fumetti e delinquenza giovanile, e la crescente importanza mediatica dell’austero e propagandistico titolo di Wertham, contribuiranno a creare quel clima di stigmatizzazione che portò tanti autori di fumetti a una crisi professionale (o addirittura sul lastrico).
Tra questi, i titoli crime di Cole furono tra i primi a sparire, e il suo Plastic Man fu etichettato come “objectionable”. Nel 1954, Jack Cole, come altri suoi colleghi, lascerà il mondo dei comic book per volgersi ad altro.
È indubbio che la crociata contro la “piaga da dieci centesimi” (come ha ben raccontato David Hajdu nel suo indispensabile The Ten-Cents Plague – Maledetti fumetti!, Tunué, 2010) influì su tutti gli artisti del settore, costretti a re-inventarsi dopo anni di prolifico e interessante lavoro. Pesava senza dubbio sulle loro coscienze il discredito che era stato gettato sul loro lavoro, per non dire dell’immagine che era passata nelle udienze televisive: quella di gente costretta a disegnare, priva di potere decisionale e – peraltro – senza alcun merito artistico.
Molti di questi autori non lessero mai completamente le oltre trecento pagine del libro di Wertham, così come non seguirono le consultazioni e le udienze, ma subirono le conseguenze devastanti del concretizzarsi dell’idea che la depravazione poteva essere venduta con facilità ai bambini per solo dieci centesimi.
Non esistono documenti o testimonianze inerenti a quanto tutto ciò influì sulla scelta di Jack Cole di lasciare il mondo dei comics. Molto probabilmente, nonostante la crociata avesse gettato una luce denigratoria sul suo lavoro, furono ragioni di ordine economico a portarlo a collaborare con le riviste per adulti come Humorama – su cui prese a pubblicare le sue prime succose pin up – e successivamente con Hugh Hefner e la sua nascente Playboy.