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Preacher, la serie tv: la fedeltà del tradimento [Recensione]

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Preacher è una delle serie Vertigo più amate e apprezzate di sempre. Parliamo di un fumetto pubblicato per soli sei anni, dal 1995 al 2000, ma che ha fatto registrare record di vendita per la linea Vertigo di DC Comics e che ha lanciato Garth Ennis e Steve Dillon tra gli autori più importanti del mercato fumettistico di quegli anni. Senza contare i consensi raccolti, persino da insospettabili come Stephen King. Un po’ per questa sua sacralità, un po’ per la forte blasfemia dei suoi contenuti, Preacher è sempre stata considerata materiale “scottante” da parte di operatori di cinema e tv che avrebbero voluto adattarla in altri formati.

Alla fine, a prendere il coraggio tra le mani sono stati Seth Rogen ed Evan Goldberg – attori, sceneggiatori, registi, produttori e, soprattutto, nerd – che hanno offerto al network americano AMC (quella di The Walking Dead) l’idea per un serial televisivo, del quale domenica 22 maggio 2016 è andato in onda l’atteso pilot. E l’esito – lo sveliamo subito – è stato positivo.

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https://www.youtube.com/watch?v=2HEHVjRLEes

La forza del pilot di Preacher sta soprattutto nel riuscire a essere fedele all’originale, pur tradendolo. I personaggi sono quasi esattamente gli stessi della serie a fumetti: Jesse Custer è il predicatore tormentato di una piccola comunità del Texas, che beve, fuma e partecipa a risse da bar; Cassidy è un vampiro irlandese sanguinario e sboccato, che nasconde chissà quali misteri; Tulip O’Hare è una ragazza decisa e avvezza all’uso di armi da fuoco, lontana dallo stereotipo della “damsel in distress”; Arseface è un ragazzino deviato, le cui origini non sono ancora però chiare. Oltretutto, il lavoro di casting sembra essere stato svolto bene, per cui viene ancora più facile trovare credibili i singoli protagonisti. Questo vale soprattutto ne caso di Joe Gilgun/Cassidy, che sarà probabilmente destinato a rubare spesso la scena a Dominic Cooper/Jesse Custer.

E anche lo spirito della serie sembra essere immutato, senza edulcorazioni o patinature pacchiane. Gli autori hanno mantenuto le atmosfere da western decadente e non si sono fatti problemi a puntare sul forte impatto della violenza – a tratti volutamente stucchevole, alla Quentin Tarantino – e su un linguaggio sboccato. Per il momento la serie sembra presentarsi come meno volgare e blasfema (e ce lo si poteva aspettare), ma senza risultare annacquata. In fondo, il linguaggio usato da Ennis è solo uno degli elementi che hanno reso divertente una storia basata prima di tutto sullo svolgimento di una trama dagli elementi sovrannaturali e dalle tinte orrorifiche e sulla costruzione dei personaggi, profondamente umani pur nei loro eccessi.

Rogen e Goldberg sembrano essere partiti proprio da questo assunto. Il pilot dice ancora molto poco dei possibili sviluppi della trama, ma si concentra soprattutto sul mettere in scena tutte le parti in causa e presentarle agli spettatori. Per il resto, sono presenti alcuni accenni di trama che, senza fare spoiler, ci permettono di capire che probabilmente il serial non seguirà in maniera pedissequa la versione a fumetti, preferendo restarle fedele nello spirito e nei toni (oltreché nelle ambientazioni di frontiera, che richiamano in continuazione i disegni di Dillon), anziché nei dettagli e negli intrecci.

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Una scelta sensata, per aggirare gli ovvi paletti di una trasposizione simile, sfruttare al meglio il diverso tipo di linguaggio e offrire al tempo stesso un qualcosa di nuovo, che non risulti un inutile rimescolamento di quanto già noto e anzi, che quasi attinge più dal cinema che dal fumetto (i nomi sono quelli che sono già stati più volte fatti in varie occasioni: Sergio Leone, Quentin Tarantino, i fratelli Coen…). Cosa, quest’ultima, che altrimenti ci avrebbe portati inevitabilmente a rilevare che «il fumetto è meglio», da veri integralisti duri e puri. Magari sarà comunque così, ma intanto qualcosa di originale e in grado di intrattenerci senza farci strappare i capelli e gridare allo scandalo lo abbiamo trovato. Per ora, soprattutto, ci si diverte molto, con un po’ di azione mirata a farci capire che i personaggi non si limiteranno a parlare per ore e ore e qualche inserto comico ben riuscito (con protagonista Cassidy).

Quello che manca, almeno per il momento, è il sadico cinismo alla Ennis. Nel passaggio alla tv, si è persa forse quella sua sana tendenza a evitare ogni morale. Se nel fumetto – per esempio – Arseface è trattato come un “povero coglione” (tanto per non usare troppi giri di parole), qui invece diventa un personaggio quasi da commiserare. E i personaggi assumono un’aura più eroica delle loro controparti originali, se pensiamo al modo in cui viene introdotta Tulip, pur se all’interno di un quadretto di folle efferatezza, o al desiderio di redenzione di Jesse Custer.

Insomma, sembra esserci un moralismo di fondo atto ad attenuare la stramberia di alcune situazioni. Questo sarebbe fortemente contraddittorio nei confronti della poetica originaria di Ennis, ma potrebbe non trattarsi necessariamente di un male, soprattutto se la serie tv sarà più incentrata sull’azione, dovendo così smussare qualche spigolatura. Più che altro, sarà interessante capire, a lungo andare, se questa ricerca di equilibrio tra la follia originaria e la necessità di tonalità più mainstream reggerà o se produrrà degli effetti stranianti, privando i personaggi di originalità e spessore. Intanto, però, la voglia di proseguire con la visione, per capire dove Rogen e Goldberg stiano andando a parare, non si perde.

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