Quanto è difficile condensare in un’immagine, in un simbolo, in un logo, un’azienda intera? Quanto è difficile, nel tempo, cambiare quell’immagine e sperare di continuare a rimanere riconoscibili? E quanto è difficile cambiare il proprio simbolo al giorno d’oggi, in una società in cui non fai in tempo a mostrare il cambiamento che subito il pubblico ti propone delle modifiche?
DC Comics ne sa qualcosa. Ripensamenti editoriali, scombussolamenti nel settore cinematografico dopo il flop di Batman v Superman: Dawn of Justice e ora, in occasione dell’evento Rebirth, un nuovo logo.
In un settore in cui i marchi tendono raramente a cambiare (Image Comics e Dark Horse hanno lo stesso logo dalla nascita), DC Comics si è dimostrata l’etichetta più trasformista dell’industria. Questo è in parte dovuto al conglomerato di cui fa parte, la Warner Bros., compagnia immersa in un’ottica corporativista per la quale non è raro cambiare volto più spesso, anche solo con piccole modifiche. Per ogni Apple che con un colpo fermo di scalpello si ritrova in mano la Pietà vaticana (il suo logo è lo stesso dal 1977), c’è uno Starbucks che costruisce la propria immagine a colpi di lievi pennellate. L’obiettivo è lo stesso, per tutti quanti: impostare o cambiare la propria identità aziendale – la brand identity, l’insieme di elementi grafici e comunicativi che veicolano l’immagine di un marchio presso il pubblico.
Il primo logo DC apparve nell’aprile 1940 e presentava un cerchio contenente la frase «A DC Publication», in riferimento alle iniziali di Detective Comics, la testata più venduta, quella in cui debuttò Batman. L’anno successivo l’immagine venne aggiornata: raddoppiata nelle dimensioni con l’aggiunta del nome di Superman. Nel 1949 «National Comics», il nome originale della compagnia, sostituì la scritta. Divenne così responsabile della sindrome da acronimo ridonante, per cui dicendo DC Comics stiamo in realtà ripetendo una parola contenuta nell’acronimo.
Il logo rimase invariato fino agli anni Settanta, decennio in cui si susseguirono una serie di variazioni sul tema che ebbero il merito di introdurre – nel 1972 – il carattere tipografico che resterà in uso per oltre trent’anni. Nel 1974 si aggiunse la scritta «The Line of Super Stars», introducendo il tema delle “stelle” (All-Star Comics fu una delle prime serie della DC quando ancora non si chiamava così). La svolta avvenne nel tardo 1976, quando Jenette Kahn, giovane nome dell’editoria che aveva avuto successo con riviste per ragazzi come Kids e Dynamite, prese le redini della casa editrice. Kahn chiamò Milton Glaser, con il quale aveva già lavorato in precedenza, per realizzare un nuovo logo. Milton Glaser, per chi non lo conoscesse, è il designer responsabile, tra le tante, dell’iconico poster di Bob Dylan e I ❤ NY (ma pure quello della Sammontana).
Il risultato verrà soprannominato The Bullett (“la pallottola”, “il proiettile”), una rivisitazione del precedente logo che mantiene la tipografia dell’acronimo DC ma lo ruota di un quarto di giro, aumenta il contorno e lo riempie con quattro stelle. Dinamico, simile a un bollino, un marchio di garanzia, una certificazione di qualità. Debuttò nel febbraio 1977, subendo variazioni di colore ma restando intatto fino al 2005, a riprova della sua forza iconografica.
Nel luglio 1987 venne fatto un tentativo di rivoluzionare il logo, passando da “DC” a un tonante “SUPERMAN COMICS”, con tanto di Kal-El che vola dritto verso il lettore. Vennero prodotte delle edizioni alternative di alcune testate per valutare il responso del pubblico ma la soluzione venne accantonata.
L’8 maggio 2005 i boss della compagnia svelarono il nuovo simbolo che avrebbe dovuto rappresentare la DC in tutte le sue ramificazioni, specialmente quella cinematografica. Rinominato The Spin (“il giro”) è una rivisitazione sotto steroidi degli elementi messi insiemi da Glaser. Merito di Richard Bruning e Josh Beatman, lo stesso team che aveva ideato il logo del Comic-Con di San Diego nel 1995. I due non ci devono aver messo lo stesso impegno visto che, mentre il logo del Comic-Con è ancora in uso, quello DC è durato solo sette anni. Dylan Todd, designer per Marvel e Image, riassunse i problemi dell’immagine: «È una versione del XXI secolo del Bullett di Milton Glaser, ma, ragazzi, è figlio dei propri tempi. Appuntito, colorato a gradiente, molto elaborato».
Per quanto d’effetto, il logo invecchiò in fretta e nel 2012 si rese necessario un aggiornamento. Se ne occupò Landor Associates – studio blasonato che ha nel proprio portfolio il marchio della FedEx. Gli elementi di Glaser vennero abbandonati e ne uscì un monogramma in cui la D si solleva per rivelare sotto di sé la C. Come e più del precedente logo, il simbolo venne pensato in una prospettiva più ampia, avrebbe dovuto rappresentare la DC al cinema, in tv, nei videogiochi e soprattutto nell’interattività dello smartphone. Si sarebbe dovuto distinguere e svettare tra tutte le altre app. Parlando al Los Angeles Times, Nicolas Aparicio, Executive Creative Director della Landor, disse che l’idea di base era veicolare la dualità dei supereroi portando avanti un’idea di interattività, pulizia e multifunzionalità.
Il logo raccolse qualche fan (l’illustratore Chris Malbon scrisse che «il “voltapagina” sarà anche un’idea vecchia ma funziona. La rivelazione, gli alter ego, la pagina del fumetto. Se funziona perché non usarlo? E va bene per tutti i dipartimenti della DC»), ma l’opinione generale bollò l’escamotage grafico come una pustola o un preservativo strappato. Un cerotto, alla meglio. Brand New, sito che si occupa di design e recensisce loghi provenienti da tutto il mondo, organizzò gli sproloqui dei fan in un’analisi puntuale, condivisa da molti addetti ai lavori: per la testata l’idea del “voltapagina” «è qualcosa che molti di noi hanno disegnato di getto nella fase di ideazione, ma, diamine, non abbiamo mai osato presentarla a un cliente. Sembra che si siano fermati prima di concludere il progetto. Sarà per via di come si chiude goffamente quella “C”. Certo, è più visibile ma pochissime “C” nella tipografia comune si chiudono così, di solito finiscono con un angolo piacevole, non certo a 180°. E la scritta sotto il monogramma sembra sia stata appiccicata all’ultimo».
Il problema della scritta, realizzata nel carattere Gotham, peggiora quando si passa alla versione «DC Entertainment», che finisce un fuso orario dopo rispetto al monogramma. Per quanto elegante, viene da pensare che il Gotham sia stato usato solo come inside joke per gli appassionati di tipografia.
Dopo appena quattro anni, DC ha svelato il nuovo simbolo che accompagnerà il rilancio proprio universo narrativo a partire da giugno. Il nuovo logo è stato ideato in collaborazione con Pentagram, uno degli studi di design più importanti del settore (tra i loro clienti: Windows, Tiffany, il Saturday Night Live e il MoMA). Secondo Jim Lee, gli spigoli del design dovrebbero ricordare le iniziali di Wonder Woman, l’effige di Superman e quella di Batman.
Geoff Johns ha detto che il logo «si fonda sul passato guardando al futuro. Non vedo l’ora che la gente lo veda sulle copertine dei fumetti». In effetti la Pentagram ha recuperato l’idea di Glaser, mettendoci dentro la mentalità da grande azienda. I caratteri squadrati (un po più tagliuzzati), il colore blu, la linea circolare di contorno e l’assenza di fronzoli fanno pensare a un marchio d’abbigliamento, a una franchigia sportiva, a un simboletto che possa andare potenzialmente su qualsiasi oggetto vendibile. Tranne forse che sulla copertina di un fumetto. Per ora i pareri sono discordanti, quantomeno non si percepisce l’astio che ha travolto il precedente design. Quello che invece emerge dalla cronistoria del logo DC è il periodo di incertezza che sta vivendo un colosso che ha nel proprio catalogo alcuni tra i più inossidabili simboli americani ma che da un po’ di anni non sembra in grado di gestirne il peso iconografico.