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DKIII – The Master Race #3: In bianco e nero

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Dopo un inatteso mese di pausa, questa settimana è tornato nelle fumetterie americane The Dark Knight III: The Master Race, con il terzo albo. Nel frattempo, è stata annunciata anche l’edizione italiana della serie, a partire da maggio – quindi con uno scarto molto ridotto rispetto all’originale – e con il titolo di Il Cavaliere Oscuro III – La razza suprema.

Se non ricordate più com’erano i primi due albi di questa nuova miniserie in otto numeri ambientata nell’universo del Cavaliere Oscuro di Frank Miller, vi invito a rileggere i precedenti recap.

Sfoglia qui l’anteprima dell’albo

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Episodio III:

Già dalla copertina sembra chiara la tendenza della storia a virare verso un bianco e nero piuttosto netto, non tanto a livello grafico quanto narrativo. Nel numero precedente abbiamo fatto la conoscenza della “razza suprema” protagonista della storia, una sorta di culto religioso kryptoniano proveniente da Kandor. Con le loro feroci azioni sempre più in evidenza nelle pagine del terzo numero, ci ritroviamo davanti a una situazione piuttosto netta: i cattivi sono davvero cattivi e i buoni sono davvero buoni, senza alcuna sfumatura di grigio e con un conseguente riflusso di retorica anti-terroristica.

A parte l’efficace – ancora una volta – cliffhanger finale, ci troviamo quindi davanti a una trentina scarsa di pagine che servono per ribadire questo status quo piuttosto netto, in cui si incastonano però molto bene dei piccoli momenti dotati di una forte carica emotiva, capaci di modellare i personaggi con pochi tratti.

Questo terzo numero in effetti si caratterizza per una forte carica espressiva più a livello di immagini che di testo. Probabilmente, si potrebbe leggerlo e capirlo anche se fosse muto. Merito della sceneggiatura, certo, ma anche dei disegni di Andy Kubert e Klaus Janson, che prendono sempre più le misure della serie e ne diventano forse il principale punto di forza. Anche se con molte reminiscenze di Il ritorno del Cavaliere Oscuro – dovute principalmente all’inchiostrazione di Janson – dalle tavole emerge sempre più la forte personalità dei disegnatori.

A questo proposito, è curioso rimarcare due dichiarazioni rilasciate dagli autori pochi giorni fa al magazine americano Newsarama, all’interno della stessa intervista, in cui hanno rivelato due approcci quasi in antitesi tra loro. Kubert ha infatti rivelato di volersi distanziare dal modello originario: «Prima di iniziare il lavoro sulla serie, ho pensato molto a come approcciare i disegni. Ho fatto molti sketch, ho cercato molto di capire come ottenere l’atmosfera da Cavaliere Oscuro senza in realtà copiare Frank. Volevo fare una cosa tutta mia». La continuità con il passato, quindi, l’ha fornita più che altro Janson, anche se in modo inconscio e naturale, attraverso il semplice utilizzo di determinata attrezzatura tecnica: «Mi sono assicurato di usare gli stessi strumenti – gli stessi pennelli e pennini – usati quando feci Il ritorno del Cavaliere Oscuro, che non ho cambiato così tanto, se consideriamo gli strumenti che uso di solito.»

All’opposto, c’è da sottolineare gli sciatti e raffazzonati disegni del minicomic abbinato a questo numero – incentrato su Lanterna Verde – realizzati da Frank Miller su layout di John Romita Jr., per un connubio che non funziona per nulla bene (anche se, ancora una volta, a livello narrativo la storia risulta molto efficace).

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Annotazioni sparse:

– In questa storia, viene fornita qualche ulteriore spiegazione sulla condizione di Superman, che deriva dal finale di Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora ed è stata autoinflitta dallo stesso Uomo d’Acciaio, anche se non si fa ancora menzione delle reali motivazioni. Nell’avvicinarsi alla sua Fortezza della Solitudine, Bruce e Carrie hanno uno scambio di battute sull’enorme chiave che fin dalla prima apparizione di questo luogo (nel 1958) ha la funzione di aprirne la porta. Questo scambio ha un forte connotato nerd e fa un po’ da pietra angolare per la nuova serie, che ha un’impostazione narrativa a tratti post-moderna, in linea con le tendenze del fumetto degli ultimi anni.

– Come da tradizione, anche in questa nuova serie appaiono i volti di veri politici americani, anche senza essere nominati. Tra di essi, si possono scorgere le figure piuttosto iconiche del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e del candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump, con la sua capigliatura posticcia. Le loro apparizioni contribuiscono a ingrossare la vuota retorica alla quale si faceva accenno.

– The Master Race si va sempre più caratterizzando come una storia di incontri e scontri generazionali. Da una parte il duo composto da Bruce e Carrie, legati da un legame non di sangue, ma allo stesso tempo molto forte; dall’altro quello formato da Kal-El e sua figlia (biologica, in questo caso) Lara, che invece sembra caratterizzato da un freddo distacco. Se da una parte può sembrare quasi un capovolgimento della natura originaria dei personaggi, dall’altra pare proprio la naturale conseguenza del loro vissuto: Batman ha sempre lanciato nella mischia senza troppi ripensamenti i propri pupilli come fossero suoi pari, e le perdite passate l’hanno portato a sviluppare un legame più affettuoso nei loro confronti, quasi da nonno. Al contrario, la tendenza iperprotettiva di Superman, che è arrivato al punto di riporre i propri cari sotto una (spesso letterale) campana di vetro per proteggerli, non può che aver portato a un moto di ribellione da parte della sua prole. E’ psicologia spicciola, ma funziona.

– A proposito dell’umanità rivelata di Bruce, il momento forse più alto dell’albo si ha nella pagina che segue, in cui la sua mano carica di vissuto diventa uno strumento di profonda gentilezza.

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– Nel minicomic, scopriamo un metodo piuttosto semplice – e che dovrebbe essere inedito – per fermare il protagonista della storia, un Lanterna Verde asceso a livelli quasi divini, senza ucciderlo. Niente spoiler, solo uno… ZAK!

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