Quando ancora era un giornalista nel settore dei videogiochi, lo sceneggiatore Kieron Gillen recensì Star Wars: Knights of the Old Republic, uno dei migliori giochi relativi alla saga: «Ho letto un sacco di recensioni che parlavano bene di vari videogiochi solo perché c’era un effetto sonoro di Guerre stellari. Lo trovo un insulto. Star Wars non è bello perché è Star Wars. Star Wars è bello perché è bello. Un prodotto Star Wars che non è bello non merita di chiamarsi così».
Quello che Gillen cercava di dire è che non basta il marchio Guerre stellari per renderlo un oggetto meritevole di attenzioni. Perché si tratta di catturare su mezzi diversi una storia fatta a misura di cinema. Il primo arco narrativo di Darth Vader, la serie che presenta le avventure in solitaria del cattivo eponimo, ha l’ingrato compito di dimostrarsi all’altezza delle aspettative.
Dei fumetti di Star Wars targati Marvel ne avevo già parlato, blaterando su come le possibilità di raccontare storie in questa fase storica siano limitate. Sbagliavo, non di molto. Ci si è aperti al passato, ambientando alcuni fumetti nel periodo dei prequel, e al futuro, con titoli dedicati al periodo post-Ritorno dello Jedi. Ma bisogna comunque lavorare sugli interstizi, negli spazi angusti che concedono i film. Da qualsiasi parte la si voglia guardare, la gestione a fumetti di una property come Guerre stellari è più ingombrante di gestioni decennali di un supereroe, che ha il vantaggio di poter sempre muovere in avanti, invece che continuare a zigzagare entro i confini di quella che abbiamo scoperto essere una galassia tutt’altro che sterminata.
Ovviamente il pensiero della Marvel va in direzione opposta, e i risultati di vendita stanno avallando i ragionamenti della casa editrice. Nel “settore Star Wars“, Marvel Comics sta portando avanti il discorso che Evil Monkey ha descritto benissimo in questo pezzo: a leggere i fumetti ci sono tanti adulti e fan incalliti, che apprezzano i rimandi, le comparsate sullo sfondo di qualche vecchio personaggio di serie Z e la modalità da open world. Come molti prodotti Marvel, Darth Vader non sgarra alla regola e presenta tutti questi elementi. La sua trama è legata a quello che succede nella consorella Star Wars, diventando parte di un arazzo che mira a interconnettere tutte le produzioni del suo universo narrativo. Ogni tessera porta alla successiva in un infinito puzzle che la Casa delle Idee vorrebbe non farci completare mai.
Poi c’è il fan service. Un onanismo spudorato sin dalla scena d’apertura, nel palazzo di Jabba the Hutt. C’è anche tanto riutilizzo di oggetti e personaggi visti di sfuggita nei film. «Vivo solo per questi dettagli», ha scritto un recensore americano. Inutile negarlo: è divertente lasciarsi andare al gioco dei rimandi. Ma quella che spacciano per ‘simmetria tematica’ (Vader incontra Jabba per un negoziato, come farà il figlio), in realtà mina la grandiosità del contesto perché contrae l’universo, facendolo apparire come un posto popolato dai soliti quattro gatti.
«Ma vai al sodo, com’è ‘sto Darth Vader?». Eh, Darth Vader è la serie più rognosa del parco testate. Non serve essere Robert Mckee per scorgere le potenzialità di un fumetto con un villain come protagonista. Più difficile è capire come non sciupare un cattivo che vive sulla sottrazione degli elementi. Il volto ma anche quanto appare in scena. Lord Fener ci piace perché lo conosciamo poco e lo vediamo poco.
Ora invece va gestito come protagonista, gli vanno dati obiettivi e ostacoli, gli va costruita attorno un’impalcatura che permetta una narrazione seriale. E qui entra in campo Kieron Gillen, lo stesso che recensiva i videogiochi e che è passato a creare fumetti come Phonogram e The Wicked + The Divine. Gillen è abituato a sovraimporre strutture estranee alle storie su cui lavora: Young Avengers era una serie supereroistica con uno sviluppo alla Breakfast Club. Journey into Mystery satireggiava le mitologie con grande autoconsapevolezza. Sembra farlo anche qui: dove Star Wars (la serie Marvel) è avventurosa e aperta, negli spazi che solca – fisici e narrativi – Darth Vader è una commedia nera d’ufficio.
Non è davvero così, Vader non va in giro a dire «That’s what she said». Però guardate la trama: il fu Anakin Skywalker deve fare i conti con il proprio superiore, l’imperatore Palpatine, che lo ha retrocesso dopo la distruzione della Morte Nera. Oltre a doversi litigare il posto nella gerarchia lavorativa con il generale Taggi, ha intrapreso una ricerca personale per scovare il pilota responsabile della vittoria ribelle. Gillen, che in un’intervista ha definito Vader come un esperto di micromanagement, lo ritrae come un burocrate sempre chiuso negli androni delle navi, in scafandri e celle. Avvertiamo il suo disincanto, la rabbia, persino la sua noia nell’essere convocato a rapporto da imperiali che potrebbe sventrare con un colpo di spada laser.
D’accordo, il fumetto si legge come un comune buon prodotto d’intrattenimento. Ma Gillen ha dichiarato di aver odiato in passato la serie di Lucas e certe volte i toni sono da commedia nera bella e buona (e i fan di ferro potrebbero arrabbiarsi per alcuni aggiustamenti di continuity). Forse involontariamente, ma ci sono due momenti inequivocabili: un montaggio che scorre velocissimo mostrando le uccisioni commesse da Vader e uno scambio di battute che è praticamente ricalcato da questa roba qua. E quando non è il Nostro, a far sorridere ci sono Triplo-Zero e BT-1, una coppia di droidi protocollari che Vader usa come strumenti di tortura. Un’idea derivativa – il corrispettivo malvagio di C3-PO e R2D2 – caricata a palla, con Triplo-Zero che è un sadico senza remore e regala i momenti migliori della storia.
Gli altri passaggi ironici sono poi esempi di studio di come l’autore giochi con i limiti del progetto e li usi a favore dello stesso. Il protagonista è un tizio nero, senza volto o mimica e le cui caratteristiche peculiari, la voce e il respiro asmatico, sono irriproducibili in un fumetto, non importa quante onomatopee con scritto “Kooo… Hissss!” ci si photoshoppi sopra. Le risposte senza volto di Vader sono giustapposte per comunicare più di quanto una qualsiasi smorfia avrebbe potuto fare (a volte anche in senso tragico). Specie se i volti te li disegna Salvador Larroca, che a me gasava all’epoca di X-Treme X-Men, quando lo studio Liquid! colorava direttamente le sue matite, e che è l’artista dei broncioni. Quando non ricalca fotogrammi o foto di scena (la referenzialità è abbacinante), i suoi personaggi recitano tutti di muso e di mento. Pure bravo con astronavi e tecnologie varie, Larroca va di pilota automatico e disegna quasi tutte le pagine come vignette di storyboard impilate l’una sull’altra. L’effetto è, come dicono molti, cinematico, ma non particolarmente inventivo.
D’altronde, il compito di questi fumetti è quello di non essere affatto dei fumetti, ma di restituire un’atmosfera altra. Mentre Gillen non sembra prendere sul serio il compito, il resto del team ci crede a manovella. Soprattutto il colorista Edgar Delgado, grazie a una colorazione mimetica nei confronti della fotografia de L’Impero colpisce ancora che è luminosa giocoforza, in un fumetto ambientato nel cosmo. Guardate come scolpisce l’armatura di Vader riempendola di riflessi e facendo credere che esista nello spazio. Magari non è realistica (da dove arrivano tutte quelle fonti di luce?) ma è emotivamente e visivamente credibile.
Gli elementi superficiali (nomi di richiamo di autori e personaggi) sono un filo sottile su cui camminare, e non so quanto equilibrio abbia Darth Vader, ma per ora il suo gusto eversivo è un disimpegno efficace contro la marcatura stretta del monolitico Star Wars.
Darth Vader Vol. 1
di Kieron Gillen e Salvador Larroca
Panini Comics, 2016
152 pagine, 12,00 €