Lavoravo part-time per un cooperativa specializzata in cibo biologico. Si guidava parecchio per strade di campagna per andare in fattorie dove si prendeva roba da portare in altri posti. Quando mi è viene in mente un’idea di base – di solito tutto incomincia da un’immagine nel mio taccuino – sviluppo la storia in maniera molto imprecisa, per lasciarmi la libertà di includervi ogni sorta di immaginario selvaggio possa raccogliere e conservare. Nel nuovo libro, due persone fanno un safari in una strana landa, e tutto può accadere: ed infatti succede. Nei fumetti, può essere scoraggiante partire dalle idee e poi doverle disegnare, così cerco di lasciare che la storia abbia una certa fluidità, lasciandola libera di svilupparsi in maniera tale che sia divertente per me disegnarla, oppure tenderei a non finire nessun libro.
Jesse Jacobs, trentaduenne canadese, al suo secondo lavoro per Koyama Press – edito da noi dalla coraggiosa Eris Edizioni – svela così (al New Yorker) il modus operandi dietro gli stralunati racconti a cui ci ha abituato. In Safari Hooneymoon, Jacobs parte da un’idea minimale: una coppia fresca di nozze passa la loro luna di miele in una misteriosa giungla sotto l’attenta guida di un terzo personaggio. La permanenza apparentemente idilliaca in questo strano mondo viene subito compromessa dal brulicare nervoso delle singolari creature che lo abitano.
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Con un intrigante carrellata all’indietro a scoprire, Jacobs intreccia la vegetazione per creare un volto, mostrando suggestioni che provengono da lontano. Non è infatti difficile scorgere in queste intuizioni grafiche l’eco del grottesco e del surreale che nutriva gli scherzi dell’Arcimboldo, ma è forse lo stesso horror vacui che attraversa – con medesimo piglio – i bestiari alto-medievali e le frastornanti pagine di Jacovitti. All’estenuante formicolio delle miniature mozarabiche che riempivano le pagine dei codici e dei salteri, quasi una nevrosi gestuale Jacobs fonde il gusto per l’orrido che deforma la realtà di matrice fiamminga – Hieronymus Bosch fa capolino quì e lì.
Certo, quello che guida la mano di Jacobs è un gusto ironico più vicino all’arte che al fumetto tout court. Eppure, le processioni di figure antropomorfe, le costruzioni geometriche e i puzzle di carne aliena che Jacobs sfodera raccontano senza dire nulla, con un’ironia cartoonesca e quasi infantile, ma nel contempo perturbante e malata. Non è un caso che abbia lavorato a quel capolavoro che risponde al nome di Adventure Time.
Ma, Jesse Jacobs si insidia in una tendenza dei comics indipendenti contemporanei che sondano i limiti della gabbia muovendosi in un territorio ibrido in cui lo spirito weird e freak abusa dell’innocenza del fumetto novecentesco per tracciare traiettorie siderali: Box Brown, Johnny Ryan, Michael DeForge, Antoine Cossé, il primo Dash Shaw etc etc. Soprattutto, Ryan e DeForge sembrano delimitare lo spazio entro cui si muove Jacobs: da un lato attento ad una narrazione che trattenga il lettore costringendolo a girare la pagina, dall’altro interessato all’idea di pagina come totalità ritmica. Una prosa che spesso si libra verso territori poetici fatti di allitterazioni geometriche e psichedeliche: glassolalie grafiche.
Un modo nuovo e affascinante di concepire il fumetto: ibrido, bastardo e sfuggente come lo era all’inizio del secolo scorso.
Safari Hooneymoon
di Jesse Jacobs
Eris Edizioni
80 pagine, colore – 10€