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Economia per young adult: In Real Life di Cory Doctorow e Jen Wang

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Una delle caratteristiche più apprezzabili di In Real Life è la naturalezza con cui considera un sacco di meccaniche videoludiche come scontate e chiare a tutti. Un aspetto decisamente positivo, indicatore di quanto la storia raccontata sia indirizzata a una categoria di persone ben precisa, ma che forse in fase di recensione necessita di qualche nota. Sebbene a qualcuno possa risultare strano a pensarsi, non tutti – io per primo – hanno passato centinaia di ore a scorrazzare per lande digitali brandendo asce o fucili al plasma. Uno degli aspetti da chiarire assolutamente prima di metterci a parlare del libro è la tattica del farming, definito da Wikipedia come «uno stile di gioco nel quale il giocatore si ferma a lungo in una zona circoscritta dell’ambientazione di gioco, dedicando il proprio tempo ad azioni ripetitive che però garantiscono l’acquisizione regolare di qualche tipo di risorsa o beneficio». In altre parole, un mezzo sicuro – è meno pericoloso ma ugualmente conveniente uccidere 100 mostri di basso livello che uno solo di alto lignaggio – per alzare il proprio livello di guerriero, mago o chissà che altro.

Chiarita questa cosa risulterà facile capire come una delle pratiche illegali legate al gioco di ruolo online più comuni sia la vendita da parte di farmer professionisti – umani o bot che siano – di punti esperienza/oro/oggetti rari in cambio di denaro reale. Se volessimo traslarlo in ambito economico – e non lo faccio a caso – si potrebbe parlare di una specie di commodity videoludica da delocalizzare dove il lavoro costa di meno. Spiegata questa cosa e represso l’inevitabile pippone retrovideoludico sui bei tempi andati – quando l’unica valuta disponibile era la propria disponibilità a bruciare i pomeriggi cercando di colpire quel maledetto boss sempre nello stesso punto – possiamo partire con la recensione vera e propria.

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Anda è una ragazzina leggermente rotondetta e appassionata di giochi di ruolo. Invitata a prendere parte a una gilda composta solo da videogiocatrici, decide di iscriversi al gdr online Coarsegold. Qui scoprirà presto che forzando le meccaniche di questo mondo fittizio e facendo piazza pulita di anonimi avatar impegnati a farmare si possono guadagnare soldi veri. Galvanizzata dal progressivo gonfiarsi del proprio conto PayPal decide di intraprendere una rapida carriera di guerriera inarrestabile. O almeno questo penserà di essere fino al giorno in cui scoprirà che uno dei goldfarmer falciati nel corso di uno dei suoi spietati raid non è un bot, ma un ragazzo cinese pagato per giocare 12 ore al giorno.
Lo ammetto, dopo aver letto la sinossi qui sopra dovrebbero essere almeno due i campanelli d’allarme pronti a strillarvi nelle orecchie. Il primo dovrebbe essersi attivato alle parole “solo da videogiocatrici”, il secondo a “cinese – 12 ore al giorno”. Alzi la mano chi non ha pensato subito al furbo gancio nerd-femminista – autentica ossessione dei nostri tempi – nel primo caso e a un parossistico terzomondismo applicato alla principale potenza economica mondiale nel secondo. Per fortuna lo scrittore Cory Doctorow non è certo l’ultimo arrivato, e ben sa come miscelare un sacco di stratificazioni di significato in un lavoro indirizzato a un pubblico compreso tra i 12 e i 18 anni.

Perché parlare di economia e di movimentazioni sociali al lettore di Paul Mason è una cosa, farlo con chi passa le sue giornate tra Snapchat e l’ultima uscita della serie Divergent è un’altra. Autentico ariete di sfondamento in questo senso sono le tavole di Jen Wang, cresciuta sulle pagine di Adventure Time. E infatti lo stile è proprio quello, sospeso tra Brian Lee O’Malley e Natasha Allegri ma con un’attenzione maniacale verso l’espressività dei personaggi. Se la regia risulta infatti piuttosto classica e si nota solo qualche vignetta muta a massimizzare la drammaticità di determinati eventi, la recitazione dei personaggi (e il loro strepitoso design) è davvero straordinaria. Così come ci appare il mondo fittizio di Coarsegold, magari troppo semplice e stilizzato per certi standard eppure così ricco di carisma da farci sperare in una sortita di questa autrice nel fantasy tout court il più presto possibile. Questa capacità di raccontare molto disegnando poco permette a Doctorow di asciugare la sceneggiatura e di viaggiare alla velocità della luce, senza perdersi in troppe spiegazioni verbose. Altra nota di merito per la disegnatrice è l’aver limitato l’estetica videoludica a qualche barretta dell’energia sospesa a mezz’aria e a un pugno di menù a finestrella, evitando soluzioni di mimesi tanto goffe quanto fuori posto (vi ricordate la sequenza da picchiaduro sulle pagine di Long Wei n. 3?).

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Con un simile supporto grafico alle spalle, Cory può davvero osare un sacco, perfino travestire un pamphlet di sociopolitica da fumetto nerd. La sua strategia è geniale: prima di arrivare alle condizioni dei lavoratori e al potere della movimentazione di massa decide di passare dai problemi tipici del lettore delle sue pagine. Così un giocatore che decide di barare e di comprarsi gli oggetti più potenti invece di dedicare al gioco decine di ore di cieca dedizione appare una cosa terribilmente seria. Così come il casual di turno che pretende di mettere Jenga sotto lo stesso ombrello di Dungeons & Dragons. O una ragazza che si traveste sotto un avatar maschile. Qualcuno potrebbe vederle come sciocchezze – anche se vi assicuro che non lo sono affatto, soprattutto quando hai 14 anni e sei in fissa con certe cose – ma rappresentano un ponte perfetto per portare questi young adult a confrontarsi con temi delicati come il paternalismo culturale da parte dell’Occidente, lo sfruttamento del lavoro, l’importanza dei propri diritti e i rischi che si corrono battendo i piedi in determinati ambienti. Certo, nella smania di semplificare argomenti così complessi a uso e consumo di una platea non certo facile e paziente si finisce per annacquarli in maniera eccessiva, scadendo nella consueta agiografia della rete come mezzo salvifico per eccellenza. Ma rimane comunque molto di più di quello che si fa di solito, ovvero il nulla più assoluto.

Interessante come a un certo punto In Real Life si trasformi in una sorta di Tropa de Elite dai colori pastello. Come nel film di Padiha era impossibile capire chi fossero davvero i cattivi – poliziotti incorruttibili dipendenti da violenza e adrenalina o studenti progressisti alla base del mercato della droga? – anche in questo caso le cose sono piuttosto complesse. Nel finale vediamo Raymond, il povero ragazzino cinese, emancipatosi grazie all’aiuto della sua amica americana. Ora parla inglese e sa di poter contare sulla forza di molti uniti contro i soprusi dei datori di lavoro. E infatti passa dall’avere un avatar da omino piccolo e anonimo – proprio come sono visti i cinesi da un sacco di gente dalle nostre parti – a quello da vigoroso principe azzurro. Tutto merito del solito generosissimo Occidente? Forse, ma è altrettanto vero che tutti i nomi di utenti impegnati a versare denaro sul conto di Anda non sono certo Hu o Chen. E se vi sembrano nomi falsi – il cognome Winterland pareva quantomeno sospetto per un giocatore di ruolo – sappiate che a un rapido controllo su qualche social network risultano tutti esistenti. Come a dire che se questi passano ore a farmare è solo perché a usufruire dei loro servigi siamo noi. Un aspetto che rimette non poco in discussione tutto il meccanismo svelato fino a ora.

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Non ho idea se i quattordicenni di oggi abbiano effettivamente bisogno di un mezzo come In Real Life per avvicinarsi a certi discorsi o lo considerino una bambinata dai fastidiosi intenti pedagogici. La presunzione di capirli non mi appartiene. A giudicare dalle reazioni raccolte sui vari aggregatori di recensioni amatoriali sembrerebbe però che i due autori abbiano fatto centro, entusiasmando la fascia di pubblico a cui puntavano. Detto questo non mi sento neppure di negare che In Real Life soffra davvero molto di un’esagerata rincorsa alla snellezza. A conti fatti, però, la sensibilità con cui tratteggia certi comportamenti adolescenziali e il comparto artistico curato da Jen Wang – quanto è adorabile la ragazza teschio con il taglio di capelli alla Bikini Kill? – rimangono di un valore assoluto. E tanto basta per farlo finire senza problemi tra i migliori libri dell’anno dedicati ai più giovani.

In Real Life
di Cory Doctorow e Jen Wan

Psycho Pop, 2015
192 pagine, 18,50 €

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