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Perché Dottor Pira è un grande fumettista

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Scrivere un articolo sul Dr. Pira è un’impresa ostica. Sempre. Soprattutto se si pensa ai lettori meno avvezzi a questo autore. Chi non ha mai provato a capire la sua poetica si potrebbe aspettare, infatti, due approcci ben distinti: a) la solita caciara fatta di sviolinate esagerate e post-ironia fuori luogo, b) lunghi svolazzi da intellettuale pretenzioso, dove il Nostro viene vivisezionato alla ricerca di chissà quali abissi di profondità. Insomma: mica facile cercare di affrontare la questione con sguardo sereno, quando dall’altra parte della barricata si avrà a che fare con: a) tifosi sfegatati, pronti a difendere e a incensare anche la più ingiustificabile delle pernacchie, b) consumatori superficiali, incapaci di leggere tra le righe e contestualizzare i risultati di tale decodifica.

Affermare che Dr. Pira sia un grande fumettista, quindi, risulta più difficile di quanto possa sembrare. Sostenendo tale tesi, perciò, entrerò a far parte del gruppo dei cazzoni che lo spalleggiano in ogni sua strampalata uscita? o del gruppo di critici depressi intenti ad abbarbicarsi alla più improbabile delle letture critiche, pur di sentire la propria voce? Con molta umiltà: nessuno dei due. Perché il Dr. Pira è DAVVERO un grande fumettista. Al netto di quanto io stesso possa inventarmi in una singola recensione.

gatto mondadory puffi pira

A questo punto, vale la pena cercare di smontare i luoghi comuni che, da fin troppo tempo, ne accompagnano l’opera. O quantomeno provarci.

1) Punto primo. Dr. Pira non sa disegnare vs Dr. Pira è un grande perché disegna di merda.

Partiamo bene, con un bello scontro tra affermazioni prive di senso. Prendiamo in esame il suo ultimo lavoro: Gatto Mondadory e i puffi dell’aldilà. Sebbene il tratto di questo fumetto sia apparentemente primitivo e sapientemente poco rifinito, è impossibile non notare come la narrazione, in barba a ogni aspettativa, proceda alla grande. La regia delle tavole è gestita in maniera cristallina, arrivando a spesso a spingere sul pedale dell’epica con una forza e una risolutezza a dir poco efficaci. Se la gestione degli interni e dei piani ravvicinati potrebbe far storcere il naso a molti – soprattutto in virtù della violenta distorsione delle prospettive – quando il gioco si fa duro non c’è ne veramente per nessuno. In quei singoli frangenti ogni vignetta fa il suo sporco lavoro, anche se a comporla sono solo un pugno di linee storte. Cosa che non succede troppo spesso in opere affidate alle matite di presunti virtuosi, troppo innamorati della loro capacità di aggiungere particolari al particolare, rispetto alla cura del mero storytelling. A testimonianza di quanto invece Pira sia ben più consapevole di quanto ci voglia far credere, abbiamo anche una recitazione dei personaggi subito leggibile. Fatto già di per sé ammirevole, e ancor più considerato che si tratta di anatomie rozze, disegnabili anche da un bambino di cinque anni. Tutti pensiamo di essere capaci di fare altrettanto, ma i disegni di pochissimi di noi saprebbero farci capire al volo che il protagonista vuole flirtare con una sua simile, fregare qualcuno o semplicemente vantarsi della sua inettitudine. Tutto grazie al linguaggio del corpo.

Cari detrattori, rassegnatevi: questi due aspetti fondanti del fumetto (narrazione + recitazione) sulle pagine di Pira funzionano benissimo. E tanto basterebbe a dimostrare che il suo stile è una scelta ben precisa, un impoverimento del tratto sotto al quale si nasconde una grande perizia nella gestione del medium. Non si tratta più quindi di disegni belli o disegni brutti, ma di disegni altriUn’estetica divergente, intenta a correre in solitaria rispettando le regole comuni a tutti. Per questo motivo parlare di destrutturazione è sbagliato – non si cerca di scoperchiare nulla – quanto sarebbe più corretto indicarla come una scelta di singolarità estrema. Così estranea da essere fraintesa e letta come incapacità o tratto umoristico.

pira

2) Punto secondo. Dr. Pira non fa ridere vs Dr. Pira è un grande e fa ridere perché è talmente idiota da non far ridere.

Anche in questo caso le cose sono più complicate. Nonostante il senso di follia e di delirio generale sia ben diffuso, nel volume non troverete una singola gag a effetto costruita su meccaniche tradizionali. Anzi, a dirla tutta c’è davvero poco di cui ridere. Il protagonista è piuttosto sgradevole nella sua grettezza, l’andamento della storia è sempre più cupo, i dialoghi per nulla brillanti. Anche in questo caso è la compattezza dell’insieme a colpire. Pira non è uno scrittore umoristico come potrebbero essere Sio o Davide La Rosa, quanto uno sceneggiatore completamente focalizzato sulla sua poetica. Mi rendo conto che un’affermazione simile possa suonare provocatoria e gratuita, ma la presenza di interi segmenti in cui non succede praticamente nulla – risultando, se è possibile, ancora più surreali di quelli in cui il ritmo accelera senza farsi troppi problemi – e tutto il fantastico excursus psichedelico finale sono lì a dimostrare che non esiste una ricerca spasmodica della chiusura a effetto, o del meccanismo comico. Proprio come nel disegno, anche in questo caso abbiamo a che fare con qualcosa d’altro. Ed è tutto lì che sta il suo fascino.

Peccato che la trama invece sia un collage di situazioni già viste. Basta un breve riassunto per rendersi conto di quali siano le fonti principali dell’autore. Attraverso un armadio magico, Gatto Mondadory arriva in un mondo popolato da esseri blu. Questa bizzarra dimensione risulta essere ricchissima, così il re chiede al Nostro di infiltrarsi tra i nativi e di capire come facciano a procurarsi l’oro con cui nutrono i loro animali. Dopo varie traversie, il protagonista finirà per preferire il tempo trascorso con la tribù appena scoperta rispetto alla sua vecchia vita. Nel frattempo ritrova suo cugino, acclamato come un re dagli abitanti di uno sperduto villaggio Snorky. Seguirà grande battaglia tra Puffi e Umani, con conseguente risveglio dello spirito del Grande Puffo (composto da elementi naturali) a ristabilire gli equilibri.

Insomma: Narnia + Avatar + Cuore di Tenebra + Principessa Mononoke. Se il crogiuolo di generi e suggestioni che ci viene servito parrebbe giustificare la sua natura derivativa con la sconclusionatezza degli accostamenti, in realtà ciò che si percepisce è un insieme un poco stantio. Non fraintendetemi: il terzo Gatto Mondadory è un grande libro. Ma da un autore così libero ci si aspetta sempre materiale del tutto inedito. Come lo erano, per esempio, le avventure di Gimba il Campione di MiniGolf. Questo adagiarsi sul citazionismo, invece, mostra troppo il fianco a una visione del lavoro d’insieme come una semplice parodia sghemba di questi titoli. Per certi versi sembra una caduta di stile, che tuttavia non intacca troppo il nocciolo del volume, valido sotto ogni altro punto di vista. Possiamo considerarlo al più un canovaccio standard su cui Pira ha potuto lavorare in tutta calma, concentrandosi su aspetti più utili al perseguimento dei suoi obiettivi.

gatto pira

E allora vale la pena sorvolare su questo peccato veniale. Anche perché, dimostrando e divagando, non ho ancora precisato quello che è forse l’aspetto migliore di tutta l’opera. Nonostante si parli di un autore alla costante ricerca di una propria identità e di un proprio linguaggio, nonostante dentro ci si possa vedere tutto quel che volete, nonostante se fosse stato creato all’estero sarebbe finito nel catalogo Fantagraphics, la realtà è che il perno su cui ruota il Pira-verso è un’incredibile leggerezza. Frivolezza tutt’altro che stupida, sempre ben calibrata attorno a una coesione perlomeno invidiabile, e priva di qualsiasi presunzione o pretestuosità. Con il Dottore ci si diverte anche senza sketch da avanspettacolo, persi tra i suoi disegnetti da bambino delle elementari e le sue trame così sgangherate. Quasi che fare fumetto fosse un atto liberatorio, mentre il resto del mondo pare essere sempre più in cerca dell’effetto a ogni costo, o della cupezza fine a sé stessa.

In queste pagine dovrete dimenticare tutto quello che viene solitamente considerato come “bello”, soprattutto in ottica adulta, a favore di un ritorno a un’età in cui non si era così avvezzi a farsi condizionare da tanti schemi mentali. Tutto può succedere. Nulla richiede spiegazioni. «Me ne vado. Solo contro tutti» afferma a un certo punto Gatto Mondadory. E Pira pare aver pensato la stessa cosa, scegliendo una strada che a oggi risulta vincente ma che agli inizi della sua carriera sembrava perlomeno incomprensibile. In pochi si erano accorti che dietro quello scherzo malamente fotocopiato si celava, in realtà, la nascita di un autentico autore.

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