Sulla copertina del primo numero di Dylan Dog, che arriva nelle edicole italiane nel settembre 1986, quello che sarà il tono della serie è subito evidente. Delle mani, in primo piano, si alzano dal terreno per ghermire un uomo che si staglia su un tramonto, o forse un’alba livida. La luna piena troneggia nel cielo. Dietro l’uomo, vestito di un paio di jeans, di una giacca e di una caratteristica camicia rossa, altre figure stanno per stringerlo in un abbraccio mortale. La situazione sembra senza scampo. Sulla natura di queste creature il titolo dell’albo non lascia dubbi. Sono morti viventi o zombi. L’uomo è quello che moltissimi lettori italiani impareranno a conoscere come l’indagatore dell’incubo ma che per adesso ci viene semplicemente presentato con un nome che sembra stridere con la drammaticità della scena: Dylan Dog.
Gli zombie, in anni in cui la permanenza di alcuni film nell’immaginario globale era più duratura di quanto lo sia oggi, erano stati riportati in auge dal regista George A. Romero nel 1968 ne La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead). La copertina di quest’albo, disegnata da Claudio Villa, omaggia una delle locandine di questo film, anche se la pellicola cui fa esplicito riferimento l’albo in questione è il secondo di una saga sui morti viventi che ad oggi consta di sei capitoli, oltre a una serie a fumetti, un remake, diversi titoli apocrifi e alcune parodie: Dawn of the Dead (1978).
Il film, il cui titolo è traducibile in italiano appunto come ‘l’alba dei morti’, è più conosciuto in Italia come Zombi. Dopo l’enorme successo del primo episodio, realizzato con un budget bassissimo, il regista italiano Dario Argento co-produsse questo sequel, imponendo, per la versione distribuita in gran parte dell’Europa e in Giappone, delle modifiche sostanziali. In particolare, Argento intervenì sul montaggio – tagliando molti dialoghi e accorciandolo di una decina di minuti – e sulle musiche – accreditandosi come autore, insieme ai Goblin, della colonna sonora.
Zombi viene esplicitamente citato – oltre ad essere variamente omaggiato nel corso dell’albo – a pagina 29 del volume originale. Dylan, Sybil – la protagonista femminile – e Groucho sono al cinema, per assistere ad una rassegna di film horror. La tavola si apre con una sequenza del citato film di Romero, in cui viene pronunciata la frase più nota del film: «Quando all’inferno non c’è più posto i morti cammineranno sulla terra». In realtà la citazione è imprecisa. La frase esatta, nella versione italiana del film è «Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra». Non si tratta dell’unica imprecisione. Nel fumetto a declamare la frase è un personaggio caucasico con una protesi improvvisata al posto della gamba destra, mentre nel film è recitata dall’attore di colore Ken Foree. Inoltre, Dylan riprende la propria cliente che non sembra apprezzare i suoi gusti cinematografici dicendole «Non azzardarti a chiamare più schifezza “Zombi” di Romero!».
Il film che segue Dawn of the Dead nella rassegna londinese è Un lupo mannaro americano a Londra (An American Werewolf in London, 1981), pellicola diretta da John Landis, più noto per le sue commedie grottesche e demenziali – Blues Brothers, Animal House etc. – e che rilanciò, insieme a L’ululato di Joe Dante (The Howling) il tema dei licantropi al cinema. Tema che verrà ripreso anche a partire dal terzo albo di Dylan Dog, Le notti della luna piena.
Torniamo però a Dylan. Quello che non è subito chiaro dalla copertina è che l’investigatore dell’incubo è graficamente ispirato all’attore inglese Rupert Everett (1959), all’epoca reduce dai suoi primi grandi successi, Another Country – La scelta (Another Country, 1984)e Ballando con uno sconosciuto (Dance with a Stranger, 1985). La somiglianza diventa evidente nel primo piano che ci fa finalmente conoscere colui che, parafrasando l’agente segreto britannico James Bond, si presenta così: «Mi chiamo Dog, Dylan Dog». Everett, per così dire, ricambierà il favore, interpretando al cinema un altro personaggio di Sclavi, Francesco Dellamorte, nel film di Michele Soavi Dellamorte Dellamore (1994), dall’omonimo romanzo del “papà” dell’investigatore dell’incubo. Il tratto di Angelo Stano, disegnatore di questo primo albo, come è noto rimanda fortemente allo stile del pittore austriaco Egon Schiele, il cui ritratto di Erich Lederer, del 1913, presenta suggestive somiglianze con l’eroe bonelliano.
I riferimenti cinematografici contenuti in questo primo albo non finiscono qui. Dylan Dog ha il proprio studio-abitazione a Londra, a Craven Road n°7, un omaggio al regista americano Wes Craven, noto soprattutto per la saga di Nightmare (Nightmare on Elm Street, 1984) e a sua volta appassionato di fumetti tanto da realizzare, nel 1982, Il mostro della palude (Swamph Thing), un non particolarmente riuscito adattamento dell’omonimo personaggio dei fumetti DC creato da Len Wein e Berni Wrightson. Il campanello urlante è invece un omaggio al film del 1976 Invito a cena con delitto. Il nome da sposata di Sybil è Browning, come Tod, regista di una delle pietre miliari di quello che in questo caso sarebbe limitante chiamare cinema dell’orrore: Freaks, del 1932, oltre che di molte altre pellicole di genere, fra cui Dracula, del 1931, interpretato dal carismatico Bela Lugosi. Mentre Dylan è a colloquio con Sybil mette sul piatto di un giradischi quella che si rivelerà essere la colonna sonora di Ghostbusters, film di Ivan Reitman del 1984. L’omonima hit musicale, scritta ed eseguita da Ray Parker Jr., e che fu un grandissimo successo, si apre appunto con la strofa riportata nel fumetto: «If there’s something strange in your neighborhood who ya gonna call? GHOSTBUSTERS». Poco più avanti, fra i dischi di Dylan, fa capolino uno del compositore Modest Petrovič Musorgskij, così come, alle spalle dell’indagatore, fa mostra di sé la locandina del film The Rocky Horror Picture Show.
A pagina 26 viene presentato un altro dei personaggi principali della serie, l’ispettore Bloch, graficamente ispirato all’attore inglese Robert Morley. Principalmente noto come per i suoi ruoli da caratterista, Morley, dal caratteristico viso rotondo incorniciato da due folte sopracciglia spioventi, ha recitato in un centinaio di film fra il 1938 e il 1990. Il cognome, Bloch, potrebbe invece essere un riferimento allo scrittore Robert Bloch, noto soprattutto per Psycho, libro da cui Alfred Hitchcock trasse il famoso film.
Ancora: il titolo del secondo capitolo di quest’albo, L’orrore, rimanda al romanzo di Joseph Conrad Cuore di Tenebra e, forse più direttamente, al film a questo romanzo liberamente ispirato, Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, e in particolare al monologo sull’orrore del colonnello Kurtz.
Ma il più evidente omaggio alla storia del cinema contenuto in Dylan Dog è sicuramente rappresentato dal personaggio dell’assistente di Dylan, Groucho, che sia nel nome che nell’aspetto rimanda a Groucho Marx, il più noto dei Fratelli Marx (Marx Brothers), gruppo comico attivo dalla fine dell’Ottocento alla fine degli anni Quaranta del Novecento, ancora oggi amatissimo e a ragione. Dylan presenta così quello che è a tutti gli effetti la sua spalla, il suo miglior amico e il proprio assistente: «Una volta faceva l’attore comico. Forse l’avete visto in qualche film». Groucho, scomparso nel 1977, è ancora oggi una delle grandi icone del Novecento e vederlo vivere ancora, con tanta naturalezza, sulle pagine di un fumetto seriale, testimonia da un lato la sua grandezza che va oltre il tempo, dall’altro il piccolo miracolo rappresentato da Dylan Dog.
Una curiosità. Per problemi legati ai diritti d’autore sul personaggio, nell’edizione americana di Dylan Dog Groucho, privato degli iconici baffi, diventerà…Felix! Groucho non sarà presente neanche nel (dimenticabilissimo) film Dylan Dog – Il film del 2010, diretto, per così dire, da Kevin Munroe, sostituito da un inedito assistente di Dylan, Marcus Adams.
Molte altre citazioni cinematografiche sono inserite nel corso delle avventure di Dylan Dog in maniera meno esplicita. In questo primo albo, ad esempio, Xabaras urla all’anatomopatologo Archibald Potter (nome del compositore irlandese Archibald James Potter) «Non aprite quella porta! Non apritela!». L’uomo, rispondendo «E perché non dovrei aprire questa porta?», non segue il suo consiglio, liberando un gruppo di non morti. Il riferimento, naturalmente, è al film Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre – 1974) del regista statunitense Tobe Hopper. Inoltre, Undead, la cittadina scozzese dove si svolge la fase conclusiva de L’alba dei morti viventi è il titolo inglese – The Undead – di Roger Corman, conosciuto in Italia come La sopravvissuta. Oltre ad essere la traduzione letterale di “non morto”, naturalmente.
Ma non solo di cinema vive l’universo metanarrativo di Dylan Dog. Lo stesso Dylan è frutto dell’incontro di più ispirazioni, concretizzate dalla penna di Sclavi e dai pennelli dei suoi collaboratori. Del più famoso degli investigatori privati, Sherlock Holmes, Dylan è una sorta di versione rivisitata. Dove il primo si affida totalmente alla deduzione, il secondo preferisce seguire l’istinto – il suo «quinto senso e mezzo». Holmes è un buon violinista dilettante, Dylan sembra capace di suonare al suo clarinetto esclusivamente un brano – una partitura scritta originariamente per violino e tecnicamente molto impegnativa – il Trillo del Diavolo di Giuseppe Tartini.
L’inettitudine esecutiva di Dylan potrebbe rimandare anche ad un altro personaggio dei fumetti, Ser Lock, parodia disneyana di Sherlock Holmes, creata da Carl Fallberg e Al Hubbard. Il personaggio di Conan Doyle fa uso di cocaina ed eroina per stimolare la propria mente deduttiva (anche se successivamente passerà alla pipa) mentre il personaggio di Sclavi è un ex alcolista – inizialmente non molto rigoroso – vegetariano e animalista. Inoltre, mentre Holmes rasenta la misoginia e coltiva con difficoltà rapporti affettivi, Dylan si innamora quasi di una donna per ogni episodio e spesso sono queste relazioni a innescare il meccanismo narrativo che anima le storie dell’indagatore dell’incubo. Dylan è un “indagatore dell’incubo”, così viene descritto nel redazionale che apre il primo numero, ma non è certo il primo. Il precedente cronologicamente più vicino alla creazione di Sclavi è sicuramente il John Constantine, creato per la DC comics dallo sceneggiatore britannico Alan Moore, e titolare dal 1988 della serie Hellblazer. Ma naturalmente la storia della letteratura ha prodotto i suoi propri detective dell’occulto. Come non pensare a Abraham Van Helsing, antagonista di Dracula nell’omonimo romanzo di Bram Stoker del 1897 o al John Silence, protagonista di diversi racconti scritti da Algernon Blackwood. E come non pensare Rork, investigatore del sovrannaturale creato dal fumettista tedesco Andreas e serializzato a partire dal 1978 sulla rivista francese di fumetti Tintin.
Anche il personaggio di Xabaras intreccia, intorno alla propria figura, una sottile rete di riferimenti. Innanzitutto, come deduce Dylan e come conferma lui stesso, Xabaras è l’anagramma di Abraxas, che nel fumetto viene identificato come uno dei nomi del diavolo. In realtà l’origine di Abraxas è incerta e affonda le proprie radici nel misticismo gnostico e solo in opposizione a questo è stata associata alla figura del diavolo dai Padri della Chiesa. Quando Dylan incontra Xabaras nella sua casa questi, vicino ad un cadavere disteso su un tavolo operatorio, indicandolo urla «posso ridargli la vita». L’iconografia di questa vignetta è un chiaro riferimento al mito prometeico rappresentato nel Frankenstein, o il moderno Prometeo di Mary Shelley (e nelle sue molte incarnazioni cinematografiche, naturalmente). Ma se il barone Victor Frankenstein infondeva nuova vita nella propria creatura attraverso scariche elettriche, Xabaras utilizza un più moderno siero, che però trasforma le sue creature in mostri affamati di carne umana, come accadeva nel film del 1985 Re-Animator, di Brian Yuzna e nel racconto di Howard Phillips Lovecraft, Herbert West, rianimatore da cui venne tratto.
L’idea del cannibalismo, oltre ad essere già presente nella serie di film di Romero, viene fatta risalire da Sclavi, per bocca di Xabaras, al racconto dell’orrore La specialità della casa di Stanley Ellin. A pag. 57, parlando di se stesso afferma: «Io sono la leggenda». Il riferimento è chiaramente all’opera dello scrittore Richard Matheson, Io sono leggenda. Il romanzo, che mette in atto un ribaltamento del Dracula di Stoker, immaginando un mondo in cui tutti gli uomini si sono trasformati in vampiri tranne uno, è stato trasposto diverse volte al cinema e, per diversi motivi vale la pena qui ricordare il primo adattamento ufficiale, L’ultimo uomo della Terra, del 1964, diretto dal regista italiano Umberto Ragona e interpretato da Vincent Price. Il film, ambientato in una Roma deserta e spettrale, presenta molte vicinanze stilistiche con La notte dei morti viventi di Romero il quale, del resto, si ispirò, molto liberamente allo stesso romanzo di Matheson.
Graficamente, il personaggio di Xabaras potrebbe essere ispirato a quello del Dr. Frederick Treves, interpretato da Anthony Hopkins nel film di David Lynch Elephant Man, del 1980