Non mi pare sia un gran mistero che scrivere e disegnare fumetti comporti ingenti investimenti in materia di tempo, fatica e vita sociale. Niente di speciale quindi nel vedere ogni aspirante autore cercare il miglior modo possibile per dare ai suoi lavori la visibilità che meritano. Se prima di Internet si era costretti a percorrere strade più tradizionali – ovvero ricerca di un editore o l’autopubblicazione limitata a una distribuzione locale – con l’esplosione della rete si è avuto un allargamento a macchia d’olio delle possibilità. Aggiungiamoci poi la successiva semplificazione in fatto di piattaforme e servizi online e ci ritroviamo con un panorama ulteriormente arricchito, che offre a chiunque si voglia cimentare una serie di strumenti di vendita e di autopromozione davvero straordinari. Cambiano i metodi, ma l’idea rimane sempre quella di accedere a un pubblico sempre più vasto, con la speranza che prima o poi ci entri in tasca anche qualche soldo.
Con bene in testa questo obiettivo fino a oggi si poteva scegliere tra due strategie ben distinte:
a) Puntare a una nicchia estrema e offrire prodotti tradizionali. In questo caso parliamo di autoproduzioni ancora orgogliosamente fisiche, spesso vendute a prezzi piuttosto alti per l’effettiva consistenza del volume. Questo è dato dal fatto che, lavorando a tirature bassissime, il costo della produzione si alza. A ciò si aggiungono le iscrizioni alle fiere, gli spostamenti e in taluni casi anche le spedizioni da un capo all’altro del pianeta (non incidono sul prezzo del volume, ma sull’importo pagato dal lettore sì). Poco importa, perché il fruitore medio di questo tipo di prodotto è solitamente ben disposto a spendere e a supportare il proprio beniamino.
Per quanto mi riguarda una situazione paradossale l’ho avuta quando, qualche anno fa, contattando Johnny Ryan per poter acquistare una sua fanzine death metal fu lui stesso a dissuadermi con sincerità disarmante (le sue parole suonavano più o meno come un «non ne vale la pena, fidati»). In qualunque caso, il grosso problema di questo mercato è che semplicemente non basta a coprire le spese e al contempo a intascare qualcosa. La passione rimane al centro di tutto. Certo, potete sempre sperare di diventare un nome di culto, accrescendo il vostro seguito uscita dopo uscita per poi approdare finalmente a qualche major, ma questo richiede massicce dosi di talento, perseveranza e capacità di stare sul pezzo. Aspetti non proprio distribuiti in maniera uniforme nella popolazione. In qualunque caso il succo di questa strategia è quello del «se vuoi leggere, paghi con Paypal, io ti spedisco il volume e siamo a posto così». Altrimenti, al massimo, ti becchi il video in Vimeo dove sfoglio il volume.
b) Puntare a raggiungere una grossa popolarità on line offrendo tutto gratis, cercando di monetizzare solo in seguito. A primo acchito questa sembrerebbe la via più facile, ma in realtà le cose non stanno per nulla così. Pubblicare su base settimanale (o bi-settimanale nei casi più temerari) una striscia, una pagina o una breve storia per mesi o anni richiede davvero una dedizione fuori dal comune. Contando che in questo caso il pubblico è quello generalista, tradizionalmente meno caldo e appassionato di quello della nicchia. L’idea è quella di diventare una costante nella vita di così tanta gente da poter generare un traffico tale da generare profitto, o al limite di permetterci di avviare una campagna su Kickstarter con la certezza di farcela nel giro di pochi giorni e di intascare tutto il resto (andatevi a vedere quanto ha raccolto il tizio di The Order of the Stick).
L’oggetto da finanziare è quasi sempre la raccolta in volume fisico delle storie apparse sul web, passando solo in un secondo momento alla proposta di un’idea completamente nuova. Ma tanto a questo punto dovreste già aver firmato per qualche casa editrice più lungimirante delle altre. Ecco, se prima vi pareva facile, adesso sapete che per puntare al successo seguendo una strategia a lungo termine vi occorreranno: un’idea trasversale capace di conquistare un pubblico che magari i fumetti non li legge neppure, un sacco di pazienza all’idea di lavorare gratis per un bel po’ di tempo e la forza di resistere quotidianamente ad attacchi di feroci hater (questo solo se avete successo, però).
Per quanto le due strategie parevano distanti, l’idea era comunque quella di rendere le proprie idee il più disponibili possibile, lasciando parzialmente in secondo piano (o limitandolo a un secondo tempo) l’aspetto economico. Oggi invece pare che le cose stiano cambiando. Non ho idea se si tratti di una maggiore consapevolezza o semplicemente delle bollette da pagare, ma vari giovani autori (soprattutto oltreoceano) paiono sempre più consapevoli di quanto il loro lavoro valga e sia apprezzato. Anche se questo significa mettere un sacco di paletti tra noi lettori e loro.
Il primo segnale di questo mutamento è avvenuto con la comparsa dei .pdf a pagamento, fino a qualche anno fa una cosa impensabile. La prassi era infatti quella di renderli disponibili liberamente, sperando di convogliare così i lettori verso la versione fisica. Ora le cose paiono essere cambiate in una direzione figlia dell’espandersi dell’e-publishing, sviluppatasi soprattutto attorno al portale Gumroad. Sebbene questo servizio, dove è possibile vendere via digitale più o meno ogni cosa, sia disponibile già da qualche anno (ComicsBookDaily lo consigliava già nel 2013) parrebbe che solo ora stia ricevendo l’attenzione che merita.
La cosa più strana è che spesso gli autori che vendono per pochi dollari i .pdf dei loro minicomics non rendono disponibili le versioni cartacee dei loro lavori, limitandole alla vendita in fiere o librerie specializzate (è successo con il Fantasy Basketball di Sam Bosna, per esempio). Non possiamo più avere la lettura a video gratuita o, in alternativa, la versione fisica a pagamento. Dopo essersi fatti conti in tasca, le giovani leve del fumetto hanno deciso di ottimizzare le uscite e di massimizzare le entrate. Cosa assolutamente giusta e ricercata in diverse strade. Un altro esempio che mi viene in mente sono gli abbonamenti via Patreon. Tu mi garantisci un importo mensile minimo e io ti spedisco tutti i miei volumi da qua alla fine della tua partecipazione. Non esiste la scorciatoia del negozietto su BigCartel dove scegliere il tuo albo preferito, o paghi per tutti o rimani a mani vuote.
Tutto questo fare muro comune contro la lettura a scrocco pare più che giustificato. Venire pagati per il proprio lavoro è sacrosanto, anche se in realtà le entrate corrispondono a poco più di una giustificazione per tutto quello che si è investito. La cosa che mi chiedo è come le nuove generazioni – praticamente aliene al concetto del dover pagare per qualcosa – reagiranno a questa piega. Da buoni millennial idealisti contribuiranno al percorso dei loro beniamini o ne faranno a meno dirottando la propria attenzione verso nuove fonti di stimoli? Storie come quelle di Kickstarter – costruito sui backer da 1 o 5 dollari, dove al più si viene ringraziati – potrebbero darci una soluzione, ma non possiamo ignorare come l’adolescente medio riesca a ottenere tutto quello che vuole in maniera praticamente gratuita. Gli basta una connessione Internet. In realtà tutto dipenderà da come questa nuova maturità dell’autoproduzione andrà a svilupparsi.
L’industria del videogioco ha dimostrato che eliminare tutta la parte di vendita retail – e abbassando di conseguenza i prezzi – è una strategia vincente, soprattutto tra gli sviluppatori indipendenti. Non ci si deve far abbagliare dagli incassi milionari dei prodotti freemium per cellulari e tablet, in realtà introiti più che sufficienti a finanziare una piccola software house possono arrivare anche senza lo specchietto per le allodole dell’ingresso gratuito. Spesso conviene aspettare qualche offerta (dai saldi di Steam agli HumbleBundle) per avere il gioco tanto desiderato a una cifra irrisoria, soprattutto rispetto a tutta la fatica di scaricarlo per vie illecite. Naturalmente la qualità del prodotto deve essere all’altezza, ma questo vale in ogni campo possibile.
Non dico che con il fumetto possa andare allo stesso modo. Parliamo di due mondi completamente diversi, con pubblici solo parzialmente tangenti. L’idea di applicare le stesse meccaniche è assurda. Eppure è la dimostrazione che un metodo che premi entrambi i fronti – produttore & consumatore – è possibile. Le nuove generazioni di fumettisti paiono determinate più che mai a dare il giusto valore ai loro sforzi, sfruttando ogni piattaforma possibile. Ora come ora si tratta più di raccogliere donazioni camuffate da vendita (un minimo di due dollari per un pdf di 12 pagine in bianco e nero mi pare un tantino fuori mercato) piuttosto che della messa in opera di un reale sistema economico basato sullo scambio di beni. Ma per lo meno si stanno battendo strade nuove, e questo non è mai un male.