Extinction Parade è un’opera creata a tavolino, e di questa origine si porta dietro il peso fino all’ultima pagina di questo primo, non molto sorprendente volume. La ricetta è piuttosto semplice e in stile Avatar Press, non nuova a operazioni di questo genere. Si prende uno sceneggiatore di peso, in questo caso mutuandolo dal campo letterario, gli si lascia carta bianca per quanto riguarda la descrizione di ambientazioni e scene ultra violente, con preferenza per mutilazioni, cannibalismo e feticismi sessuali di vario tipo e gli si affianca un disegnatore, spesso anche copertinista, capace di assecondare questa linea editoriale con uno stile grafico al limite della pornografia horror.
Non si vuole certo qui esprimere un giudizio morale su questo tipo di scelta. Sono questi elementi, spesso declinati in maniera brutale per non dire scientemente rozza che hanno permesso alla Avatar di rendersi riconoscibile e di ritagliarsi un proprio spazio entro i confini del mercato fumettistico internazionale. Bisogna però dire che il ricombinarsi di così pochi elementi presta il fianco al rischio di una sterile e noiosa ripetitività. Alcune volte va bene, quando autori capaci come Alan Moore riescono a produrre entro limiti così castranti opere comunque notevoli come Neonomicon, riuscendo a tirare fuori il meglio anche da un disegnatore piuttosto legnoso come Jacen Burrows, altre va male, come nel caso di Crossed (QUI e QUI) in cui un Garth Ennis ormai alla frutta trova nelle libertà espressive concessegli dall’editore una gabbia molto più stringente di quelle di cui in precedenza lamentava i limiti. Diciamo subito che a Extinction Parade è andata male.
Max Brooks, figlio del (forse una volta) più famoso regista Mel Brooks, dopo una carriera di successo come autore televisivo per il Saturday Night Live, ha esordito come autore letterario nel 2003 con un anomalo e gustoso manuale che insegnava come comportarsi in caso di un’apocalisse zombie (Manuale per sopravvivere agli zombie). Lo stile da mockumentary letterario, arricchito dalla interessante invenzione del manuale, viene ripreso da molti altri libri del genere (come il recente Roma città morta) e probabilmente, in campo cinematografico, fornirà ispirazione per un divertente ma un po’ stiracchiato filmetto come Zombieland (2009), i cui capitoli sono appunto scanditi da regole simili a quelle elencate da Brooks. A questo librò di grande successo seguono, tre anni dopo, un’opera molto più complessa e sorprendente per la ricchezza di spunti e il virtuosismo documentativo, che replica e forse sorpassa il successo ottenuto dalla prima.
Si parla di World War Z. La guerra mondiale degli zombi, best seller internazionale ma forse conosciuto in Italia soprattutto per il tremendo adattamento cinematografico firmato da Marc Foster del 2013. World War Z è, in sostanza, una raccolta di interviste (il sottotitolo originale recita, più coerentemente “Una storia orale della guerra degli zombie”) che ricostruiscono fin nei minimi dettagli la resistenza dell’umanità a una tremenda pandemia zombie. Gli interventi riguardano semplici cittadini, militari, medici, giornalisti e offrono un variegato panorama di testimonianze che, sapientemente organizzate, riescono a restituire una realistico e articolato reportage sull’emergenza. Brooks caratterizza con rara efficacia non solo tutti i personaggi coinvolti, provenienti da moltissimi paesi, ma costruisce uno scenario geopolitico, basato sull’assetto di quello esistente, credibile e in continua evoluzione in risposta ai cambiamenti introdotti dalla presenza, per la prima volta, di una vera e propria minaccia globale.
Gli zombie restano sempre sullo sfondo. Costituiscono una massa indistinta, il motore del cambiamento che sta avvenendo, la causa, ma non il centro della narrazione. Il vero protagonista del lungo romanzo di Brooks è infatti la Terra, come somma di nazioni e di squilibri economici, razziali e geografici, che la comparsa di un nemico comune riesce, non senza resistenze xenofobe e culturali, ad appianare. Dittature e confini iniziano a cadere mentre i profughi cercano di scappare. Il realismo crudo, entomologico di Brooks, e l’enorme materiale documentativo da lui accumulato per la stesura di questo libro, rendono particolarmente vivido il confronto con tragedie particolarmente recenti. Dopo World War Z Brooks produce un terzo libro a tema zombie. Questa volta si tratta di una raccolta di racconti, Zombie Story e altri racconti, dato alle stampe nel 2011. Vi vengono presentate quattro storie ambientate nell’universo fittizio creato nei due precedenti volumi. Da di questi racconti, La parata degli estinti, è stato tratto il fumetto di cui stiamo qui parlando.
Max Brooks non è proprio un esordiente nel ruolo di sceneggiatore di fumetti. Oltre a un’altra opera sui morti viventi, Manuale per sopravvivere agli zombie – Attacchi documentati, una cronistoria degli avvistamenti dei camminanti dall’età della pietra ai giorni nostri, per i disegni di Ibraim Roberson, il nostro ha lavorato anche sulla serie G.J. Joe, insieme, fra gli altri, al veterano Howard Chaykin e a una graphic novel ambientata durante la prima guerra mondiale, The Harlem Hellfighters. Su Extinction Parade Brooks cerca di riproporre lo stile cronachistico che lo aveva reso famoso, ma qualcosa nel passaggio dal racconto al fumetto non ha funzionato. Il risultato è un’opera noiosa, con notevoli problemi di ritmo e dall’andamento fastidiosamente didascalico.
L’azione prende il via ai giorni nostri, a Kuala Lumpur, in Malesia. Un gruppo di vampiri, come da manuale da sempre mimetizzati fra gli umani i quali rappresentano la loro fonte di sostentamento, osservano con distaccata curiosità l’ennesima recrudescenza dell’epidemia zombie. Dall’alto delle loro vite secolari si tratta solo di un ennesimo fuoco destinato a spegnersi in breve tempo. In altrettanto breve tempo, però, si accorgono che questa volta le cose andranno diversamente. Non si tratta, infatti, di qualche focolaio isolato, ma di una vera e propria invasione che rischia di sterminare in breve tempo gli esemplari della loro riserva di caccia. La tragedia li fa precipitare dall’alto della loro torre d’avorio interrompendo la routine delle loro giornate sempre uguali, fatte di cacce, banchetti e serafico distacco rispetto alle vicende che riguardano invece i loro serbatoi di sangue. Quando si rendono conto che la realtà sta irrompendo prepotentemente anche nel loro mondo, si ritrovano si ritrovano costretti ad agire, iniziando una guerra contro le legioni di non morti.
La metafora che sorregge la narrazione di Extinction Parade è cristallina e anche efficace nella sua brutale semplicità. Nel mondo moderno, in cui tutto è connesso, in cui i confini sono, anche più del solito, solo delle linee tracciate sulla carta e in cui la globalizzazione ha reso le distanze – geografiche e sociali – sempre più esigue, non è più possibile pensare di poter vivere isolati. Non è più pensabile, insomma, dall’alto del nostro benessere e della nostra situazione di fragile privilegio, continuare ad illudersi di non poter essere investiti dalle tragedie che riguardano gli altri, le grande masse anonime.
Brooks prende il topos del vampiro – immortale, aristocratico, cinico, distaccato – e lo adatta ai rampolli della nuova aristocrazia, quella del capitale e del successo. Dai principi (delle tenebre) ricalcati sul modello della decadente aristocrazia di fine ottocento alle attuali starlette a là Paris Hilton, completamente e ostentatamente ignare del mondo, ottuse dal lusso e abituate ad essere adorate, servite e persino temute. A loro lo sceneggiatore contrappone sia gli zombie, che al tempo stesso si fanno metafora sia della globalizzazione delle guerre che delle grandi masse anonime e proletarie, sia gli umani, di cui sono costretti, per la prima volta, a cogliere le peculiarità, le differenze, le sofferenze. Non più solo fonte di nutrimento, quindi, ma individui.
Inoltre è interessante sottolineare il capovolgimento che viene messo in scena a metà di questo primo volume. In un primo momento i vampiri, da sempre costretti a nascondersi, gioiscono della mutata situazione. Gli zombie, per i quali sono praticamente invisibili, li ignorano e il caos generato dalla loro presenza permette ai succhiasangue, finalmente, di poter cacciare in assoluta libertà, senza le abituali cautele. Ancora una volta la metafora è chiara. Il caso permette ai ricchi di speculare sulla tragedia, senza dover nascondere i loro interessi dietro una parvenza di responsabilità. Eppure, la dimensione biblica della tragedia arriverà a toccare, come già detto, anche chi pensava di poter regnare indisturbato sulle macerie. Peccato che la forza di questo grande affresco allegorico, che qui abbiamo accennato vada quasi immediatamente a perdersi, disperdendo tutte le buone intenzioni iniziali.
Come abbiamo già detto, in Extinction Parade Brooks cerca di recuperare il tono cronachistico da mockumentary che aveva caratterizzato le sue precedenti opere, ma nel fumetto qui preso in esame questa operazione si traduce in un uso pedante ed eccessivo delle didascalie narrative, che congelano l’azione creando un ibrido davvero poco riuscito fra quello che potrebbe potuto essere un onesto fumetto di genere e un racconto che, invece, sfrutta il genere piegandolo ai propri scopi. Raramente, come in questo caso, la dicitura che compare in copertina accanto al nome del disegnatore, “illustrato da” assume un peso tombale. E quelle di Extinction Parade non sono, come vedremo, neanche delle belle illustrazioni. La sensazione è quella di sfogliare un racconto letterario frettolosamente adattato a fumetto, in cui tutte le buone idee sono costrette a farsi faticosamente spazio tra i paletti imposti dal committente, in altre parole il già citato “stile Avatar”. La possibilità di raggiungere un equilibrio fra le diverse esigenze esisteva – un esempio, non perfetto ma sicuramente meglio riuscito è rappresentato dal recente L’impero dei morti, sceneggiato da George Romero per la Marvel – ma si è completamente sbagliato il tiro, con il risultato di produrre un’opera sbilenca e zoppicante che sembra procedere meccanicamente, come la marcia dei suoi protagonisti non morti.
I mostri classici del cinema horror in più occasioni si sono prestati a letture politiche, anche in opere considerate di consumo. Per restare nel campo dei personaggi e degli scenari tirati in ballo da questo fumetto si possono citare pellicole come The Addiction, l’intera filmografia a tema zombie di George Romero (a cui Brooks si ispira dichiaratamente), il recente Solo gli amanti sopravvivono e fumetti quali The Walking Dead e Apocalypse Nerd. E’ inutile approfondire qui questo aspetto, già ampiamente discusso. Basti qui dire che, nelle opere qui citate così come in molte altre, la brama metaforica non è sufficiente, ma è sempre necessaria, ovviamente, una messa in scena caratterizzata e coerente. Proprio quello che manca al fumetto qui preso in esame.
Extinction Parade soffre proprio del suo essere in bilico fra due mondi. Opera splatter, da una parte e racconto morale, dall’altra, convivono separatamente senza mai fondersi. Le riflessioni della narratrice, riportate nelle didascalie, congelano le rare scene di azione, con l’intento, forse, di nobilitarne la carica puramente spettacolare mentre, al contrario, i disegni dettagliati e al tempo stesso rigidi non vivono mai di vita propria sottomettendosi continuatamente alla narrazione sostenuta solo dalla parola.
I rari dialoghi suonano falsi e artefatti, scivolando spesso i momenti più drammatici in un ridicolo involontario. L’arte grafica di Caceres non aiuta. Proveniente dal fumetto erotico, artista certo non indimenticabile, ma perfettamente in linea con la produzione Avatar, aveva però fornito prove migliori in passato, ad esempio in Capitan Swing e i pirati elettrici dell’isola delle braci. Qui sperimenta “ardite” gabbie, usando in abbondanza inquadrature angolate. Le prime creano solo confusione,visto che il layout cambia in pratica ad ogni tavola e spesso più per esigenze oscure al lettore che per favorire la narrazione; le seconde non è capace di padroneggiarle, grazie anche ad una resa delle anatomie non proprio accademica. Il risultato peggiore però viene raggiunto dal disegnatore in occasione delle scene di massa, rese frequentemente attraverso confusionarie splash page, e di quelle di azione, il cui il ritmo e la meccanica dei gesti vengono totalmente sacrificati a favore di una impaginazione che vorrebbe essere d’effetto e che invece risulta solo statica. La scelta coloristica non aiuta certo l’operazione. I colori accesi, l’impasto quasi materico delle ombre, congelano ancor di più i corpi, rendendo inoltre difficile distinguere fra primo piano e sfondo.
Al di là di tutto questo, però, in qualche modo strambo e sconclusionato la storia resta in piedi e si fa seguire, sempre a patto di non crearsi aspettative troppo alte, anche se il modo in cui sono tirati via certi disegni rende faticoso arrivare fino all’ultima pagina. Alla fine di questo volume resta però la curiosità di sapere cosa si inventeranno per proseguire una storia che sembra aver già bruciato tutto il materiale e le idee a disposizione. E non è detto che il proseguo non possa riservare sorprese.
Extinction Parade
di Max Brooks e Raulo Caceres
Panini Comics, 2015
144 pagine, 14 €