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Un saggio di Neil Gaiman su SimCity

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Nella propria carriera di giocatori, tutti hanno avuto a che fare almeno una volta con Sim, la serie di videogiochi di simulazione in cui l’obbiettivo è la gestione di una vita umana (The Sims), l’intera evoluzione della specie (Spore) o una città (SimCity) – ma anche colonie di formiche, fattorie, zoo… le varianti sono tante.

Più di un semplice gioco open world, SimCity ha titillato i cervelli di studiosi e filosofi. Alcuni hanno scritto libri da seicento pagine su un singolo aspetto del gioco, altri si sono limitati a saggi brevi. Tra questi, va segnalato il testo di Neil Gaiman Ruminate.

neil gaiman

Ruminate è presente come easter egg nel videogioco del 1994 SimCity 2000, «quando si metteva ‘2000’ alla fine dei titoli per indicare che si voleva parlare del futuro» appunta lo stesso Gaiman. Lo scritto è rintracciabile nelle librerie della città ricercando la parola ‘ruminate’.

Il saggio, oltre a riflettere le dinamiche del gioco (eventi naturali e altri accadimenti mettevano in costante repentaglio la città costruita dal giocatore), echeggia alcuni dei temi di La locanda alla fine dei mondi, l’ottavo volume della serie Sandman edito a ridosso dell’uscita del gioco.

Le città non sono persone. Ma, come le persone, le città hanno una personalità: in alcuni casi una città ha più di una personalità – ci sono una dozzina di Londra, una folla di New York diverse.

Una città è un assortimento di vite ed edifici e ha una sua identità. Le città esistono nel tempo e in luoghi specifici.

Ci sono città buone – quelle che ti accolgono, che sembrano avere cura di te, che sembrano contente di farlo. Ci sono città indifferenti – quelle che se ne fregano se sei lì o no; città con i loro scopi, che ignorano la gente. Ci sono le città corrotte e ci sono posti in città altrimenti sane che sono marci come mele fatte cadere dal vento. Ci sono perfino città che sembrano perse – alcune, senza un centro, sembrerebbero felici da qualche altra parte, in qualche posto più piccolo e facile da comprendere.

Alcune città si espandono come cancri o mostri di viscidume da film di serie B, divorando quello che trovano sul loro cammino, assorbendo cittadelle e villaggi, ingoiando distretti e quartieri e trasformandosi in conurbazioni senza confini. Altre città si restringono – un tempo zone prosperose ora vuote e decadenti: palazzi vuoti, gente scappata. E a volte non si sa nemmeno perché.

Occasionalmente indulgo pensando come sarebbero queste città se fossero persone. Manhattan è, nella mia testa, un tipo verboso, di cui non fidarsi, ben vestito ma mal rasato. Londra è grande e confusa. Parigi è elegante e attrattiva, più vecchia di quel che sembra. San Francisco è matta ma innocua, molto amichevole.

È un gioco scemo: le città non sono persone.

Le città esistono in un luogo e in un tempo. Le città accumulano le loro personalità nel tempo. Manhattan si ricorda di quand’era una contadinotta senza stile. Atene rimembra i giorni in cui c’erano persone che si consideravano Ateniesi. Ci sono città che si ricordano di essere villaggi. Altre città – blande, senza personalità – si stanno preparando per il tempo in cui avranno una storia. Poche città sono fiere: sanno che troppo spesso è solo un felice incidente, che la loro stessa esistenza è una semplice coincidenza geografica – un porto ampio, un passo di montaggio, la confluenza di due fiumi.

Per ora, le città stanno dove sono. Per ora, le città dormono.

Ma ci sono dei borbottii. Le cose cambiano. E chissà che magari le città non si sveglino e inizino a camminare. E se Tokyo inglobasse la vostra città? Se Vienna scendesse dalla collina verso di voi? Se la città che abitate oggi si alzasse e partisse e vi svegliaste domani avvolti in una coperta su una distesa vuota, dove Detroit o Sydney o Mosca una volta stavano?

Non date mai per scontata la città. Dopotutto, è più grande di voi; è più vecchia; e ha imparato ad aspettare…

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