di Antonio Solinas
La storia della Marvel è anche, e soprattutto, una storia di scienza nei fumetti. A partire dalla cosiddetta “Marvel Age of Comics” – che per comodità faremo risalire allo storico Fantastic Four 1 del 1961 –, infatti, il ruolo della scienza fu integrato all’interno di un universo fumettistico come mai era accaduto in precedenza nella storia dei comics americani.
Fino ad allora, nelle storie della concorrente DC, l’elemento scientifico era servito quasi sempre come “guastatore” esterno. Per semplificare, negli albi dell’epoca, all’inizio di una storia, Superman o Flash potevano essere tramutati, per esempio, in gorilla tramite un raggio mutageno figlio di una tecnologia “malvagia”. Alla fine, per mezzo di un escamotage (normalmente poco credibile), i nostri eroi erano in grado di rovesciarne gli effetti, tornando normali giusto in tempo per sconfiggere il responsabile della curiosa trasformazione.
A partire da Fantastic Four 1, le cose cambiarono radicalmente. La nuova filosofia Marvel del mad scientist mutò una volta per sempre non solo le dinamiche dell’interazione fra buoni e cattivi, ma anche i presupposti stessi della scienza nei fumetti di supereroi.
La figura dello scienziato malvagio iniziò ad assumere, oltre che maggior rilevanza, anche maggior spessore psicologico. Divenuti avversari ricorrenti dei pesi massimi Marvel, gli scienziati, oltre a essere caratterizzati in maniera più sfaccettata di quanto avvenuto fino a quel momento, acquisirono qualità e difetti più umani – parafrasando il celebre motto Marvel, divennero “super-criminali con super-problemi”. In quegli anni, l’entusiasmo verso la ricerca scientifica che aveva caratterizzato gli anni Cinquanta aveva lasciato il posto al sospetto. Prevedibilmente, questo ebbe a riflettersi anche nella weltanschauung fumettistica. I villain della scienza avevano le proprie origini segrete in anni di frustrazioni dovute non solo a un carattere introverso o a un aspetto poco attraente. L’inferenza era che la ricerca scientifica (soprattutto nelle sue branche più esoteriche) non fosse altro che un affare riservato a nerd deformi con problemi relazionali. Le storie fecero poco per sconfessare questo luogo comune, anche se, a onor del vero, la Marvel iniziò a inserire scienziati anche fra i ranghi degli eroi più importanti. Su tutti, spicca il supergenio Reed Richards, il leader dei Fantastici Quattro, che, seppure in maniera a volte contraddittoria, ha sin dall’inizio smentito lo stereotipo dello scienziato infido, presentandosi invece come alfiere di un progresso scientifico salvifico per l’umanità.
Il contraltare a questa visione positivista è costituito dall’A.I.M. (Avanzate Idee Meccaniche nella traduzione Corno, più propriamente Meccanica di Concezione Avanzata), una potentissima struttura di ricerca clandestina nata da una costola dell’organizzazione nazista Hydra, che ha sempre epitomato tutti gli aspetti oscuri e pericolosi della scienza senza etica, guidata dalla brama di potere. I ricercatori dell’A.I.M., in un delirio di onnipotenza, giocano a fare Dio – letteralmente: è loro l’invenzione del Cubo Cosmico, un meccanismo capace di trasformare qualunque desiderio in realtà.
È interessante notare come praticamente ogni disciplina scientifica, quantomeno fra quelle facilmente “fumettabili”, sia stata rappresentata sin dall’inizio. Come è intuibile, la parte del leone, almeno inizialmente, la fecero la fisica e l’ingegneria nucleare, discipline più legate alle inquietudini del periodo. A titolo esplicativo, ecco qualche esempio, senza pretese di completezza.
La chimica, tradizionalmente difficile da spettacolarizzare (se si escludono i grovigli di alambicchi e fumi colorati tanto cari a certa iconografia non solo fumettistica), è appannaggio per la maggior parte di minacce di livello medio-basso, come l’Uomo d’Asbesto – addirittura un chimico analitico! –, Trapster, cattivo del giro di Spider-Man e dei Fantastici Quattro, e il Gargoyle, avversario di Iron Man e degli Avengers, ma anche da villain più carismatici come il Capo, tradizionale antagonista di Hulk, e il Barone Zemo originale, un über-scienziato nazista con interesse anche nella sintesi, inventore dell’Adesivo X.
Biochimica, biologia e genomica e genetica contano fra le loro file personaggi di maggior importanza, come la Bestia degli X-Men, la defunta Moira MacTaggert, vincitrice addirittura del premio Nobel – presumibilmente per la genetica –, lo scienziato Hank Pym (Ant Man/Giant Man), ma anche il malvagio Sinistro, nemico storico dei mutanti, e un altro premio Nobel, il biochimico Michael Morbius (Morbius il vampiro vivente)
La fisica, come detto, si fregia di Reed Richards, ma anche della sua nemesi Victor Von Doom (il Dottor Destino). Tra i suoi alfieri troviamo anche T’Challa (Pantera Nera, titolare di un PhD conseguito a Oxford), il fisico nucleare Bruce Banner (figlio d’arte: anche suo padre era un luminare dell’energia atomica) e persino Capitan Bretagna (anche lui PhD).
La medicina sembra essere il terreno di studio preferito dai maestri dell’occulto, annoverando fra i propri rappresentanti di spicco non solo il Mago Supremo Dottor Strange, ex neurochirurgo, ma anche il Dottor Druido, laureato in medicina e specializzato in psichiatria.
Per quanto riguarda l’ingegneria, invece, come non citare il classico nemico di Spider-Man l’Avvoltoio, e soprattutto Tony Stark, il milionario/playboy ribelle con due master conseguiti al prestigiosissimo Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston?
Un preconcetto generalmente abbastanza diffuso è quello di considerare l’ambito scientifico come un unicum. È una visione romantica, che ignora l’altissimo grado di specializzazione che ogni distinta disciplina scientifica comporta. In questo senso, l’universo Marvel non fa eccezione, presentando improbabili “crossover” nelle competenze scientifiche moderne. Per esempio, l’Uomo Talpa, primo avversario dei Fantastici Quattro, nacque come ingegnere nucleare ma era, stranamente, anche un esperto geologo, autore di un’improbabile teoria della Terra cava. Il già citato Barone Zemo non poteva accontentarsi del solo dottorato in chimica, ma raddoppiò con quello in fisica, certamente più utile per creare un raggio della morte per i nazisti. Il dottor Josef Reinstein/Abraham Erskine, responsabile del progetto che porta alla nascita del super soldato Capitan America fu presentato, confusamente, come un eminente fisico e biochimico (!), mentre un altro fisico come Otto Octavius (il dottor Octopus), grande nemico di Spider-Man, si è potuto addirittura permettere di spaziare fra fisica nucleare e medicina – impegnandosi persino nella ricerca di una cura per il cancro! Il malvagio e tormentato Sauron, nella guisa umana del dottor Lykos, si divide fra psichiatria, la disciplina studiata, e genetica – che pare servire sempre, nel mondo degli X-Men.
E, a proposito di X-Men, un discorso a parte merita una delle intuizioni “scientifiche” più interessanti della coppia Lee/Kirby, cioè i mutanti, visti per la prima volta sulle pagine di Uncanny X-Men 1 (1963), esseri con superpoteri derivanti non da improbabili esposizioni a radiazioni e/o agenti chimici, come era comune fino ad allora, ma da fattori genetici.
I mutanti rappresentano l’evoluzione dell’homo sapiens sapiens, comunemente indicata come homo superior. È la presenza di un particolare gene, il Gene X – detto anche Fattore X o gene mutante –, a conferire caratteristiche ultra-umane a chi lo possiede. I poteri mutanti generalmente si manifestano intorno alla pubertà, specialmente se catalizzati da stress emotivo o fisico. Già di per sé, l’intuizione si presta a una distinzione tecnica abbastanza raffinata, almeno per quanto riguarda l’ambito “scientifico” dei comic book: infatti, sebbene alcuni superumani siano erroneamente definiti mutanti a causa di una struttura genetica unica (con poteri evidenti sin dalla nascita), gli unici veri mutanti dell’universo Marvel sono quelli nati con un Gene X.
Figlia del clima di sospetto verso l’energia nucleare e gli effetti delle radiazioni sul genoma umano, la rivoluzionaria idea faticò inizialmente a imporsi. La situazione migliorò decisamente con l’arrivo di Chris Claremont come sceneggiatore di Uncanny X-Men, nel 1975. Sotto Claremont, i mutanti divennero la principale attrazione commerciale della Marvel, dominando incontrastati le classifiche di vendita per oltre un ventennio, anche dopo l’addio alle serie mutanti dello sceneggiatore inglese nel 1991.
Il mix di azione supereroistica e trovate narrative quasi da telenovela – non a caso l’opus di Claremont è stato definito “soap opera mutante” –, più che la parte grafica, pure spesso di livello eccellente, è stato per anni il maggior motivo di successo degli Uomini X. Il concetto mutante offre un aspetto metaforico – sin dall’inizio deliberato! – particolarmente valido per esplorare il trattamento della società nei confronti dei “diversi” a livello di religione, razza, etnia e sesso… Generalmente, l’attenzione, a livello narrativo, è stata puntata su questi temi (oltre alla trasparente metafora sull’adolescenza, il periodo in cui si è “outsider” per eccellenza), ma è d’uopo notare come, con l’andare del tempo, il fattore scientifico abbia assunto sempre maggiore sofisticazione. Negli ultimi anni, mutazioni e genetica sono stati spesso snodi essenziali delle storyline mutanti, come nel caso di un acclamato ciclo di New X-Men scritto da Grant Morrison, in cui, accanto a un’analisi delle implicazioni sociologiche legate alla presenza dei mutanti nella società, era centrale il tema dello sviluppo di mutazioni secondarie.
Oggi, la “sospensione dell’incredulità” accordata dai lettori alle storie è di gran lunga minore: nuovi strumenti tecnologici, come i motori di ricerca, consentono al lettore medio di accedere a informazioni che agli albori dell’Era Marvel – ma anche solo fino a una quindicina di anni fa! – erano impensabili: l’approccio scientifico nei fumetti Marvel, giocoforza, è mutato.
Si è infatti spostata l’attenzione da quella che si definisce ricerca di base, che ingenuamente caratterizzava soprattutto i fumetti dei primi due decenni della Casa delle Idee, verso invece un orientamento che valorizza soprattutto la tecnologia “high-end”. Con lettori più smaliziati, non ha più senso basarsi su ricerche che necessiterebbero anni per essere realizzate (come i “breakthrough” scientifici che arrivavano all’improvviso, nei fumetti dell’inizio della Marvel Age); è molto più fruttuoso mettere in primo piano le applicazioni più futuristiche della tecnologia, le più semplici e le più efficaci da utilizzare per mantenere il “Sense of Wonder” da sempre associato ai supereroi. Non sorprende, quindi, che la strada più seguita oggi sia quella di una proiezione in chiave futura di tecnologie che hanno un richiamo odierno o la raffinata giustificazione/ridefinizione pseudoscientifica di fantasiose invenzioni del tempo (fumettistico) che fu.
In questo senso, uno dei capostipiti, forse il più rappresentativo, di queste tecniche narrative è lo sceneggiatore inglese Warren Ellis, capace di costruirsi una fanbase fra gli appassionati della cosiddetta “fringe science” (quella parte della ricerca definita “di frontiera”, per la propria vocazione multidisciplinare a proiettarsi verso scenari futuri). Ellis, titolare qualche anno fa di una newsletter dal nome Bad Signal, era solito chiedere ai propri lettori (alcuni dei quali con affiliazione presso prestigiose università statunitensi come il MIT o lo Scripps Institute di La Jolla) dritte tecnologiche plausibili – la cosiddetta “technobubble” – per la soluzione di problemi narrativi.
Nella prima parte della propria carriera, Ellis si era distinto per aver inserito temi cyberpunk nella linea Marvel 2099, in particolare Doom 2099, su cui aveva potuto sbizzarrirsi, dando prova di capire alla perfezione quali siano le linee di sviluppo socio/tecnologico del futuro (ingegneria, nanotecnologie, cibernetica e una sorta di precognizione di ciò che oggi è noto come “internet of things”). In Iron Man: Extremis del 2005, uno degli argomenti principali è stato l’uso di tecniche chimiche e robotiche allo scopo di creare una versione moderna del “siero del supersoldato” che ha dato i poteri a Capitan America, mentre nei cicli di Astonishing X-Men, a partire dal 2009, Ellis ha reso centrale il tema delle mutazioni cromosomiche, ancora una volta raffinando l’aspetto tecnico della genomica delle serie X.
Anche se spesso messo in secondo piano a favore della caratterizzazione dei personaggi, a intermittenza il focus scientifico ogni tanto riemerge: è stato così per l’universo Ultimate, oggi in procinto di essere cancellato/integrato con quello ufficiale, e ci aspettiamo che sarà così anche per quanto riguarda le serie “classiche” con un respiro tradizionalmente più fantascientifico (come Iron Man e Avengers, per esempio), legate a tecnologie sempre più sofisticate e realistiche.
*Articolo originariamente apparso su L’incredibile Marvel. 75 anni di meraviglie a fumetti, pubblicato da Comicon Edizioni.