Su queste pagine, abbiamo già precedentemente parlato all’opera di Antonio Altarriba e Keko – Io, assassino – a proposito del conferimento del Grand Prix de la Critique da parte dell’Association des Critiques et journalistes de Bande Dessinée; un risultato sorprendente e che attestava l’ottima momento per lo sceneggiatore spagnolo. Professore di letteratura francese e saggista di successo, Altarriba ha segnato con L’arte di volare – pubblicato in Italia da 001 Edizioni – una svolta nel fumetto spagnolo contemporaneo, introducendo tematiche biografiche dal forte impatto emotivo in una complessa cornice storica, che abbraccia il concitato secolo breve.
Per Io, assassino Altarriba sceglie il noir, declinando quello che può sembrare un tema abusato per svolgere una complessa analisi sulla natura del male e un complementare atto di accusa della realtà spagnola, fondendo dramma e commedia. Il titolo è eloquente: l’atto di accusa di un uomo, o meglio di un professore universitario. Scelta questa non dovuta al caso, ma funzionale ad una totale immedesimazione empatica con il protagonista. Lo sceneggiatore motiva così:«[…] mi autoaccuso sin dalla copertina. Così posso denunciare liberamente l’ipocrisia benpensante. È questo, probabilmente, che dà alla storia quel suo carattere più nero; non tanto i crimini atroci qui rappresentanti, bensì l’implacabile distribuzione delle colpe. In questo libro l’inquietudine non nasce dal compatimento delle vittime ma dall’inclusione del lettore fra i colpevoli.»
Enrique Rodríguez Ramírez, insegna presso l’Università dei Paesi Baschi e dirige la rivista Trémula, specializzata nello studio della rappresentazione del dolore nell’arte occidentale. È il fautore di una lucida teoria sull’arte, che vede l’omicidio come l’atto artistico fondamentale, il più connaturato all’essenza umana e come tale atto di trascendenza per eccellenza. Quello che rende interessante la sua teoria estetica non è tanto la profonda conoscenza dell’arte occidentale e una personale lettura, ma la realizzazione e la concretizzazione della stessa in un serie di omicidi. Non è un caso che le elucubrazioni di Ramírez si focalizzino nell’incipit del racconto su di un’opera di centrale importanza per la teoria della sofferenza. Ci si riferisce alla Crocifissione di Colmar di Matthias Grünewald.
L’opera del pittore tedesco fa parte dell’affascinante altare di Isenheim, un polittico che attraverso una complessa struttura fatta di ante fisse e mobili assume diverse configurazioni e che ospita, oltre ad un’importante gruppo scultoreo ligneo di Nicolas de Haguenau, un ciclo di dipinti che traggono ispirazione dai testi evangelici. Nonostante, la innegabile forza della tavola della Resurrezione, il ciclo ad olio su tavole di tiglio – che da poco ha compiuto i cinque secoli – deve la sua fama alla brutale esposizione delle carni del Cristo in croce. Joris-Karl Huysmans, colpito dal realismo espressionista di Grünewald, cercò di immortalarne la violenza nel primo capitolo del romanzo Là-Bas.
La pittura del tedesco, “il più forsennato dei realisti”, a detta di Huysmans «non aveva equivalenti in nessun linguaggio». Lo scrittore, riconosciuta la superiorità dell’immagine, dedicò a Grünewald un breve saggio qualche anno prima della sua dipartita per pareggiare i conti e cercare di rendere attraverso le parole lo scandalo dell’opera. Come sottolinea anche Altarriba attraverso le parole di Ramírez, è l’umanità del cadavere a rendere memorabile l’opera, al di là di ogni sovrastruttura. Solo la deposizione di Holbein il giovane può essere confrontata con questa per gli stessi identici motivi: lo scandalo di un corpo in putrefazione. È un motivo non sconosciuto al Dostoevskij de L’idiota.
Ma il supplizio qui svetta in immediatezza e si impone come un modello. Un’imago christi rovesciata che spinge il professor Ramírez a cercare tale perfezione nella realtà attraverso una serie di omicidi quasi mai lasciati all’improvvisazione, ma sempre attentamente pianificati per non interferire con l’ascesa accademica e la mediocre vita coniugale. Una maniacale attenzione che persegue fatalmente un’idea trascendente d’arte, lontana tanto da qualsiasi deriva feticistica del corpo come oggetto d’arte, quanto da una svilente e anonima serialità che farebbe dei delitti delle performance. Il desiderio di Ramírez risponde ad una pulsione originaria e insieme la trascende per porla in un regime più che artistico, dove l’esecrabile per antonomasia – l’omicidio – viene trasvalutato e liberato di ogni idea strumentale. L’infrazione alla norma di cui parla Ramírez è impersonale e totalmente aliena all’esposizione narcisistica delle performance della body art.
Altarriba attraverso i monologhi interiori del protagonista – flussi ordinati e “scolpiti” su carta, tanto da assumere un tono volutamente saggistico – traccia un territorio ibrido che da un lato dialoga con il classicismo, pur negandolo, e dall’altro assume un tono panico e totale che potrebbe ricordare un Hermann Nitsch privato di ogni carica sensuale e orgiastica. Non è un caso che provi orrore dinanzi ad omicidi strumentali, come quelli compiuti dai separatisti baschi. Il corpo dismembrato dalla carica esplosiva è l’unica carne che grida insensatezza.
Infatti, l’impianto à la Dürrenmatt, con un’idea di giustizia claudicante e che gira a vuoto in una specie di commedia assurdista, fa del noir di Altarriba e Keko, una commedia umana dai toni grotteschi. Keko attraverso un violento chiaroscuro e tecniche miste digitali dona un’atmosfera asfissiante e decadente, scolpendo i volti come se fossero di pietra, virando verso una fisiognomica quasi lombrosiana e assecondando le intenzioni satiriche di Altarriba, soprattutto verso le donne, che diventano una proiezioni del maschile.
Satira, politica, analisi antropologica e metafisica si intrecciano lambendo quel cono d’ombra che rappresenta il male, cercando di decifrare «quella strana mania di fare il male per il mero gusto di farlo… una delle passioni umane meno comprese [ma] che rientra nei deliri più comuni della nostra immaginazione».
Io, assassino
di Antonio Altarriba e Keko
Rizzoli Lizard, 2015
142 pagine, 20,00 €