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Disegnare le idee prima dei film. Scola, Virzì e Bellocchio: 3 registi a confronto

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di Sal Tascioni

L’accostamento tra disegno e cinema è particolarmente attuale. Oggi si parla ancora tanto di storyboard, di come prima di girare un film, un video o un spot, si programmi tutto con estrema precisione, facendo disegnare ogni singola inquadratura a professionisti specializzati, e l’Italia ne ha prodotto di eccellenti anche di recente, tra gli altri fumettisti, Massimo Rotundo e Davide De Cubellis, autore di cui abbiamo pubblicato una splendida lezione sulle nostre pagine.

A novembre è stato presentato a Roma Prima del film, un documentario di grande interesse, che racconta il rapporto tra cinema e disegno attraverso le storie di tre suoi protagonisti degli ultimi 50 anni. L’idea del documentario nasce da una mostra dallo stesso titolo, contenente i disegni di Fellini, Scola e Virzì, svoltasi a Teramo a primavera, presso l’ARCA, laboratorio per le arti contemporanee. C’è una linea di collegamento nella Storia del Cinema Italiano che passa attraverso il disegno, una linea precisa ed evidente che sorregge la pratica artistica di alcuni suoi protagonisti.

Disegno di Paolo Virzì, che ritrae lo staff del film.
Disegno di Paolo Virzì, che ritrae lo staff del film.

Cosa si agita nella mente di un regista prima di mettere a fuoco il suo progetto di film? Quanto il disegno prelude a immagini e storie filmate? La risposta la cerca, almeno in parte, questo documentario, in cui Ettore Scola, Paolo Virzì e Marco Bellocchio parlano e disegnano in diretta segni e – come li chiamano loro – ghirigori e pupazzetti.

Prima del film, diretto da Mario Sesti e Marco Chiarini e prodotto da Cineforum Teramo, Mama Studio e Naca Arte, è incentrato sulle interviste a tre grandi registi: Ettore Scola, Marco Bellocchio e Paolo Virzì, che raccontano il loro rapporto tra disegno e cinema, che molto poco o nulla ha a che vedere con il suddetto utilizzo di storyboard.

Il disegno per loro è esercizio viscerale di pensiero, e soprattutto di visualizzazione e sintesi, è mezzo di comunicazione che sostituisce le parole anche nel rapporto con i collaboratori, fotografi e soprattutto attori.

Le storie personali di Scola e Bellocchio, in rapporto al segno grafico, sono particolarmente interessanti. Ettore Scola inizia la sua carriera professionale negli anni 40, ancora quindicenne, al «Marc’Aurelio», quella rivista satirica fatta di vignette e caricature che tanto influenzò il costume dell’Italia già dagli anni 30, con le figure comiche come quelle del Gagà e di Genoveffa la racchia. Insomma, se non proprio di fumetto, si parla di vignette e di un segno ironico e caricaturale, di taglio editoriale.

Marco Bellocchio, prima di dedicarsi al cinema, era invece un promettente pittore. Il documentario è incentrato su questo duplice aspetto: come il disegno influenzi la creatività e la vita. Rappresentare graficamente o artisticamente le nostre idee, le nostre visioni è una prerogativa di tutti, e il segno che – come dice Bellocchio – sorprende anche chi lo traccia e gli fa scoprire qualcosa di nuovo, che non aveva messo a fuoco prima. Per Scola il disegno è l’attività ininterrotta della sua vita, ancora più che scrivere o dirigere: “Il disegno è stato il primo amore, ma anche la prima attività, ho cominciato quando avevo cinque anni a disegnare ovunque. Tranne che quando ho disegnato per il «Marc’Aurelio», che erano disegni finalizzati, per il resto erano, e sono, finalizzati al cestino, o al cassetto… Nel corso della vita il riferimento al disegno è sempre stato presente, era un modo di pensare o di non pensare, comunque erano degli scarabocchi, dei ghirigori mentali. Qualunque cosa stessi facendo, se avevo libera una mano, disegnavo, al telefono o anche scrivendo o lavorando”. Se questa è la parte libera e di piacere puro, c’è anche l’utilizzo del disegno per comunicare, per progettare un film: “Nel mio lavoro di regista i disegni mi sono serviti anche come appunti di qualche idea, o per chiarire ai miei collaboratori un personaggio, un gesto, un costume, qualcosa che potesse servire allo scenografo al costumista”.

Marco Bellocchio, immagine ispiratrice.
Marco Bellocchio, immagine ispiratrice.

Anche per Paolo Virzì il disegno è utilizzato nelle comunicazioni ai collaboratori, durante il film, ma è spesso collegato ai ricordi, alla memoria, una specie di diario intimo, e per questo sembra conservare gelosamente i suoi disegni, al contrario di Scola.

I disegni di Virzì permettono di fermare i personaggi e le persone attorno a lui, per comprenderli più a fondo.
“Gli esseri umani sono eccessivi, la caricatura è una forma, la più alta, per azzeccare, con l’esagerazione, l’elemento che contraddistingue quella persona in mezzo a tante altre”. Il suo rapporto con il disegno, è dunque di comunicazione con gli attori per mettere a fuoco un personaggio: “È un modo per comunicare in maniera rapida ed efficace sul set o soprattutto durante la preparazione. Questi disegnazzi, questi scarabocchi, finiscono appuntati nei reparti di scenografia e soprattutto in sartoria”.

“I nostri disegni sono sempre, tranne forse qualcuno dedicato al paesaggio o alla caricatura, veramente dedicati all’uomo quotidiano, alla donna quotidiana.”

Marco Bellocchio invece non usa mai la parola “scarabocchi”. I suoi disegni derivano troppo strettamente dalla sua esperienza pittorica. Se l’Ettore Scola quindicenne “rimedia” un lavoro al «Marc’Aurelio» nel 1946, Bellocchio dimostra un talento di altra natura a cui corrisponde una produzione completamente diversa, fatta di tele e non di fogli, di pennelli e non di penne, di colore e non di segni. “La pittura era una mia vocazione naturale, dipingevo negli ultimi anni del liceo. Poi mi scrissi all’Accademia dei Filodrammatici e andai a Roma. La scoperta del cinema incominciò a farmi dimenticare la pittura.

“Il disegno in rapporto al cinema è venuto dopo, durante la regia de I pugni in tasca, era un disegno quasi per rassicurarmi, perché era chiaro che in quel momento mi giocavo la mia vita. Erano quasi degli storyboard, ma con un segno che voleva imprimere il carattere della scena, la sua chiave espressiva. Questi disegni non mi sono serviti, avevano un interesse preparativo, per immaginare la scena stessa, ma li lasciavo in camera, non li portavo sul set”.

“La scena è parole, parole, parole, nella sua forma scritta. Ma con i disegni posso, anche solo parzialmente, schematicamente, capirla e magari farla vedere agli altri”.

Marco Bel- locchio, appunti per scene di film, che aiutano il re- gista a visualiz- zare il clima e il senso della scena, più che le inquadrature.
Marco Bellocchio, appunti per scene di film, che aiutano il regista a visualizzare il clima e il senso della scena, più che le inquadrature.

Ma c’è sempre anche il piacere puro di disegnare, per Bellocchio come per Virzì e Scola.

Come ci ricorda Marco Giusti, “Scola, come Fellini, Steno, Marchesi e tutti quelli che vengono dalla cultura del «Marc’Aurelio», sono legati al fumetto e all’impaginazione in bianco e nero che avevano avuto negli anni 40, e questo porta tutti quanti loro a vedere i singoli personaggi dei loro film come dei pupazzi, fantocci, lo scarabocchio classico che per ha vita propria, un po’ comico un po’ da satira. Non diventano mai storyboard. Virzì usa lo stesso schema da «Marc’Aurelio» che aveva Scola e che aveva Fellini: usa le immagini a fumetto del singolo personaggio per capire il lato comico, la commedia, la varietà della gente e della vita”. Come aggiunge Alessandra Mammì, che con lui appare e commenta il documentario: “Una delle differenze tra il lavoro che può fare un cineasta e che può fare un artista è proprio nella sintesi: l’artista lavora e usa anche il disegno per arrivare poi ad una immagine. Il cineasta invece lo usa con la sua possibilità narrativa, per estendere il discorso non per chiuderlo in una sintesi”.

Quello che accomuna tutti e tre è il rifiuto per il concetto di storyboard di stampo anglosassone, la codificazione del film in disegno prima che questo venga girato. In realtà sembrano rifiutare qualunque codifica del film che sia esterna al film stesso, dunque lo storyboard, ma anche la sceneggiatura stessa, o il rapporto diretto con i collaboratori. Il film è quello che avviene mentre tutto questo avviene, mentre si parla si scrive si legge si disegna e soprattutto si dirige, si recita. Il film non avviene prima.

“L’importanza di un pensiero, difficile magari da esprimere a parole, si sapeva come esprimerlo per immagini, è come spiegarlo ancora prima con il disegno. I nostri disegni raramente sono paesaggi o caricature – dice Scola – noi ci siamo dedicati all’uomo quotidiano, alla donna quotidiana.

Un passo elegante, uno sguardo tra due disegnetti, quasi sempre gente umile, la folla, è in cerca di un contegno, magari mettendo una mano in tasca o tenendo un bicchiere. Nascevano rapporti anche tra i pupazzetti, perché c’era la voglia di capire cosa li abitava, quali pensieri. Tutti i personaggini anonimi, anche i più deformi, sono resi con grande partecipazione, come fossero ritratti di parenti e amici”.

A far da contrappunto alla visione dei registidisegnatori, il contributo di un disegnatore di storyboard tra i più importanti, Cristiano Donzelli, collaboratore tra gli altri di Spike Lee, Martin Scorsese e Ridley Scott, che invece spiega e valorizza il significato di questa fase della lavorazione cinematografica, fase ormai indispensabile e critica per via di un nuovo protagonista del cinema, l’effetto speciale, la computer grafica. Il film non è più solo un regista che dirige un set, ma è un regista che dirige più set paralleli, reali e virtuali, e il disegno è lo stratagemma creativo, la colla comunicazionale per tenere il tuo tutto insieme e allineato, dargli la forma definitiva, prima del film.

«C’è una vita, nei pupazzetti, che continua anche oltre, anche quelli finiti nei cestini, continuano a mostrarci che c’è un lato buffo nella vita, ed è un fondo quello che ci fa continuare a vivere, sapere che il lato buffo che prevale». – Ettore Scola

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‘La folla umana’, di Ettore Scola

 


*Questo articolo è originariamente apparso su Scuola di Fumetto #95, pubblicato da ComicOut, e qui riadattato per l’occasione.

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