Fumettista atipico, “bastardo delle due culture”, come era solito definirsi, perché nato nel cantone tedesco del Belgio. Trascorre la sua infanzia nel piccolo villaggio di Sourbrodt, dove si parla sia il francese che il tedesco. I suo nome viene francesizzato alla scuola di Malmédy dai Piccoli Fratelli di Maria, congregazione religiosa fondata da Marcellin Champagnat e votata all’alfabetizzazione delle aree rurali più povere dell’area francofona. Il piccolo Dieter Herman conserverà sempre l’anima teutonica, che si tradurrà in un gusto gotico e fantastico: una specie di oscuro realismo magico. La vita di fabbrica a cui viene destinato gli va stretta e la sua prima valvola di sfogo diventa la musica: percussionista jazz affermato, suona in diversi ensemble sia belgi che americani. Approda al fumetto sono nel 1968, grazie all’incontro con René Hausman e Paul Deliège. In realtà, comincia a pubblicare solo nel 1972 sulla rivista mensile (A Suivre), dove incomincerà a serializzare in prima battuta Le Dieu Vivant: Ergün L’Errant e in seguito la sua – forse – più famosa storia: Silence.
Era il maggio del 2012 quando il Musée des Beaux Arts de Liège decise di celebrare con una preziosa retrospettiva la carriera di Didier Comès. Il riconoscimento arriva giusto in tempo, visto che l’autore ci ha lasciati nel marzo dello scorso anno. La sua opera è stata quindi celebrata da una retrospettiva che ripercorre filologicamente l’itinerario artistico, riconoscendo l’apporto fondamentale e originale alla bande dessinée belga, e strappandolo a quell’aurea di precarietà e emarginazione di cui era il portavoce. L’editore francese Casterman – in contemporanea con la mostra – ha avviato un’opera di ristampa delle prime opere di Comès, tra cui quel Silence che nel 1979 rappresentò lo spartiacque della sua produzione. Una storia dalla lunghezza inconsueta, ben 120 tavole, che definisce una volta per tutte sia l’immaginario che lo stile di Comès. Il volume in grande formato e curato dall’editor storico, Didier Platteau, restituisce nuova vita alle tavole di Comès. I suo netti neri, che mischiano il caricaturale, il fantastico e uno stile volutamente prattiano, svelano la natura ritmica e contrappuntistica della sua poetica. Nonostante Comès utilizzasse sovente il colore – si pensi al suo L’Ombra del Corvo apparso sulla rivista Comic Art – la dimensione più genuina è, senza dubbio, proprio questa: in bianco e nero. Senza l’ausilio del colore, Didier è costretto a scolpire i volumi e a utilizzare in maniera quasi espressionista i neri. Tutta la forza del gesto è catturata in queste ampie pagine.
Per cui, una scelta come quella della Lizard Rizzoli che ha ristampato alcune opere del maestro belga nei primi anni del 2000 (Silenzio, Le Lacrime della Tigre e Dieci dell’Ultima) in formato tascabile, pensando che potessero funzionare come quelle dedicate a Corto Maltese di Pratt, sembra abbastanza opinabile, quando si sfogliano queste nuove edizioni. Senza dubbio, il mercato italiano ha dedicato una bella edizione nel 1982 a Silence, in un cartonato edito da Milano Libri Edizioni, facilmente rintracciabile nel mercato antiquario a prezzi accessibili e che può essere un buon prodromo all’autore. Tuttavia, la ri-edizione francese è un ottima occasione per ripensare un autore – forse – lasciato cadere nel dimenticatoio e troppo spesso considerato come un epigono di Pratt, nonostante la sua particolare voce.
Silence
Didier Comès
Casterman, 2012
152 pagine, € 22