Bao Publishing ha dato da poco alle stampe Bellezza (qui una nostra anteprima del libro e qui una recensione), firmato da Hubert e Kerascoët, ma nel suo catalogo i lettori possono trovare un altro titolo illustrato da Marie Pommepuy e Sébastien Cosset, il duo che si nasconde sotto lo pseudonimo di Kerascoët. Si tratta di Dolci Tenebre, sceneggiato da Fabien Vehlmann o, come lo definì Yvan Delporte (storico editor-in-chief della rivista Spirou) “il René Goscinny del terzo millennio“.
Apparentemente, Dolci Tenebre si presenta come un libro per bambini, grazie agli acquerelli luminosi e al tratto molto cartoonesco del duo. In realtà, sotto una patina gioiosa si nasconde un corpo marcescente scosso da pulsioni primordiali.
Il bosco fatato di cui ci parlano Vehlmann e Kerascoët è popolato di piccole e strane presenze, tra cui spicca la personalità irenica di Aurore. Le prime tavole ce la presentano immersa in una situazione amena, mentre sorseggia un thé con il suo principe azzurro di nome Hector in compagnia del giovane attendente Plim. Nell’arco di poche vignette il delizioso quadro muta repentinamente. A sostituire la luce pomeridiana subentra una limaccioso rosso che colma la pagina.
La nostra Aurore si fa varco in questa melma che la soffoca e a stento guadagna una via uscita per trovarsi sotto una pioggia scrosciante. La conclusione di questo breve prologo arriva come un pugno ben assestato in pieno viso: Aurore fugge – insieme ad un nugolo di spiritelli che appaiono come vermi brulicanti – dal cadavere di una bambina. A questo punto, il tono disincantato e leggero sfuma lentamente in una perturbante fiaba nera, tutta intessuta sui temi della decadenza e della violenza. Il caos che la dolce Aurore tenta di tenere a bada sfilaccia le fila del nutrito e variegato gruppo, portando a galla sentimenti negativi, che degenerano in manifestazioni estreme: dalla necrofilia a esecuzioni sommarie per interramento. La stessa Aurore caduta in disgrazia e messa in ombra dalla cupidigia e dall’invidia di Zèlie cade nella stessa spirale di violenza, accecando uno dei suoi pochi amici perché sobillata proprio da Zélie e dal suo entourage.
L’incupirsi della vicende è il correlato oggettivo che Vehlmann sceglie per descrivere il processo di decomposizione del cadavere: così come il tempo divora la carne, imputridendola e dissolvendola sotto la coltre di intemperie sino a mostrarci le orbite vuote ridotte a dimora, così i conflitti tra le anime sfuggite al corpo della piccola Aurore aumentano sino alla violenza cieca.
Aurore e Zélie: A e Z. Vehlmann suggerisce una precisa lettura. Le anime che scappano dal corpo della piccola Aurore, dopo la morte violenta, non sono che aspetti del suo carattere non ancora pacificati e normalizzati in un io unico. Anime affette da gigantismo e cannibalismo, mosse solo dalla cieca furia della fame, o anime ambigue e capricciose, che si dilettano a fare del male, prive di qualsiasi freno morale combattono contro quelle mosse da sentimenti positivi e dedite a curare e provvedere al che la variegata comunità non cada nel disordine.
Lo stesso finale – segnato da un’ecatombe finale – ha un fiero carattere simbolico, quasi che la nuova Aurore, dopo un percorso di crescita e formazione, dove l’apertura indefessa all’altro ha lasciato il posto a qualcosa di più complesso e stratificato, in cui sono contemplati anche gli aspetti più notturni e negativi dell’io, abbia finalmente raggiunto una nuova e decisa consapevolezza, riassumendo in sé tutte le varie “anime”. E questo forse proprio mentre si avvicina alla “verità”: a quello che potrebbe essere il suo carnefice.
Come scriveva Freud, « […] ci troviamo esposti a un effetto perturbante quando il confine tra fantasia e realtà si fa labile, quando appare ai nostri occhi qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico, quando un simbolo assume pienamente la funzione e il significato di ciò che simboleggiano…L’elemento infantile…è presente come eccessiva accentuazione della realtà psichica rispetto alla realtà materiale, tratto questo che si ricollega all’onnipotenza dei pensieri.».
Il perturbante che striscia tra le pagine di Kerascoët si annida nei tenui acquerelli e nelle illustrazioni infantili e apparentemente innocue: il tutto si ribalta continuamente, squadernando un mondo psichico percosso da desideri atavici e sepolti nel profondo dell’Io. Sullo sfondo di un dettagliato processo di decomposizione, si svolge il dramma della coscienza, un teatro grand-guignolesco che zittisce e atterrisce il lettore per l’estrema cruenza delle rappresentazioni.
Un piccolo gioiello da recuperare se il delizioso Bellezza vi ha catturato.
Dolci tenebre
di Fabien Vehlmann e Kerascoët
Bao Publishing, 2014
94 pagine, 17€