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Kingsman: Secret Service, uno 007 ultrapop

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Il cinema iper citazionista e ultra pop degli ultimi anni non sempre riesce ad essere coinvolgente. Di frequente, raschiando sotto l’accumulo di ammiccamenti, strizzatine d’occhio e un post modernismo spesso di maniera quello che viene a mancare è proprio il divertimento.

L’horror è sicuramente il genere nel cui campo si è attuata più spesso questa strategia al tempo stesso fortemente nostalgica e “rivisitazionista”. Esempio perfetto di questo cinema “decostruzionista” e meta-cinematografico è sicuramente rappresentato dal recente Quella casa nel bosco in cui le convezioni del genere vengono utilizzate, proseguendo un percorso che parte almeno da Wes Craven, come elementi della sceneggiatura, in un continuo gioco teso al ribaltamento e allo spiazzamento che è sicuramente più interessante che coinvolgente, più complice che spaventoso.

Kingsman: Secret Service, diversamente, riesce a parodiare un genere che ultimamente, partendo dagli ultimi film di 007 e arrivando alla saga di Jason Bourne, al di là dei risultati delle singole pellicole, rischiava di prendersi troppo sul serio.

B-Movie” (e quanto ci puntano, a partire dalla grafica ruvida dei titoli di testa),furbetto”, “sottile”, “scopiazzato”… sono molti gli epiteti che si potrebbero affibbiare a quest’ultima opera del regista Matthew Vaughn, indubbiamente uno dei più solidi talenti del cinema hollywoodiano degli ultimi anni. Già produttore di uno dei registi più post moderni degli ultimi anni, quel Guy Ritchie di Lock & Stock e della rivisitazione al tempo stesso filologica e iper cinetica dell’icona Sherlock Holmes, Vaughn è un esperto di adattamenti di opere a fumetti o, meglio di fumettisti. Al suo attivo infatti troviamo, fra gli altri, due film della saga degli X-Men, una notevole versione del romanzo illustrato Stardust di Neil Gaiman e Charles Vess e soprattutto il primo capitolo della trilogia cinematografica di Kick-Ass, tratto, come Kingsman, da un fumetto dello sceneggiatore scozzese Mark Millar. E il connubio con la scrittura competente e guascona di Millar, dopo l’ottimo risultato dei primi due film tratti da Kick-Ass continua a funzionare molto bene.

Kingsman

Più che dalle parti di 007, che pure è tenuto ben presente dagli autori, è il cinema più psichedelico degli anni Sessanta e Settanta il riferimento principale. E non solo il cinema. Il territorio è lo stesso, per intenderci, delle serie Agente Speciale, Il prigioniero e di film come quelli dedicati al personaggio dell’agente Flint, l'”apocrifo” James Bond 007 – Casino Royale, ma anche Sciarada e, in particolar modo, la serie dedicata all’agente segreto Harry Palmer interpretato da Michael Caine. Non solo, infatti, in Kingsman, lo stesso Caine ricopre un ruolo centrale, ma il look di Galahad/Colin Firth rimanda esplicitamente a quello dell’attore britannico in Ipcress (con un pizzico di Alfie).

Ma gli omaggi, sempre nell’ottica delle premesse iniziali di questo articolo, non si esauriscono certo qui. Alcuni sono interni alla filmografia dello stesso, Vaughn, e seguono una logica simile a quella che Millar sta mettendo in atto per costruire il proprio millarverse. Si guardi alla ricorrenza dell’ottimo Mark Strong, che qui vede il proprio ruolo ribaltarsi rispetto a quello interpretato in Kick-Ass o all’utilizzo delle serigrafie della serie Gun di Andy Warhol per connotare i cattivi.

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Tre generazioni di spie a confronto
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Mark Strongo in ‘Kingsman’ (sopra) e in ‘Kick-Ass’ (sotto)

Del resto Kingsman condivide diversi aspetti con Kick-Ass: il gusto per quel tipo di violenza esagerata e astratta che oggi va chiamato “tarantiniano”, l’estetica pop, il punto di vista adolescenziale e il ritmo rutilante che, nonostante l’ovvia scontatezza della trama, rende appassionante l’esperienza della visione, che non perde mai un colpo dall’inizio alla fine… e non è poco.

Non c’è niente di nuovo in Kingsman, questo è palese, e sarebbe irragionevole aspettarsi altro, ed inoltre è proprio in funzione di questa dichiarata – ribadita, ripetutamente sottolineata – familiarità che il film funziona tanto bene. C’è un miliardario eccentrico e megalomane che vuole dominare il mondo, naturalmente accompagnato dalla sua letale e “mutilata” spalla, c’è una società segreta che più segreta non si può, abbondano gli abiti dal l’impeccabile taglio e dal gusto perfettamente british, così come i gadget iper tecnologici e le basi segrete. Il tutto, naturalmente, aggiornato al 2015.

La violenza e il sesso sono un po’ più espliciti, le scene d’azione – straordinario il massacro in chiesa – allineate con i trend più recenti, la trama spionistica condita con qualche leggera riflessione sociale sul conflitto di classe: un aggiornamento degli stilemi classici quindi, che però non rinuncia a quel gusto retrò che è il vero nucleo del film. La bravura degli autori sta proprio nel giocare su questo equilibrio, senza scivolare nel semplice omaggio nostalgico o nello sterile gioco citazionista buono, in fondo, solo per cinefili e nerd. Un film compatto, coerente, con un’ottima e affiatata squadra d’attori che si diverte e che fa divertire. E almeno un paio di invenzioni, senza volere svelare quali, che strappano l’applauso.

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