Sceneggiatore ad ampio raggio – ha lavorato alle serie tv Lost e Under the Dome ma ha anche adattato per il cinema diverse sue opere, tutte rimaste allo stadio embrionale – Brian K. Vaughan è una delle voci più squillanti nel panorama dei comic-book, grazie a Y – L’ultimo uomo sulla Terra, Ex Machina, Runaways e Saga.
L’impegnato scrittore statunitense – basti vedere gli annunci della recente Image Expo – era arrivato alla Marvel negli anni Novanta grazie al progetto-laboratorio Stan-hattan, in sinergia con l’università di New York e in special modo nell’universo mutante, ma si è poi allontanato dal mondo dei supereroi per cercare successo con fumetti creator owned e opere originali.
Maggior esponente del fumetto high concept, Vaughan fonde nelle sue opere elementi della tradizione con idee contemporanee. Questi lavori, pur meno conosciuti dal pubblico che lo ha scoperto con Saga o che lo ricordava per Y o Runaways, sono nondimeno emblematici del suo modo di concepire il fumetto popolare.
Sovraesposizione
Immaginata come arco narrativo per la serie Tangled Web e poi pubblicata come miniserie a causa della defezione della testata, Sovraesposizione è ambientata negli anni universitari di Peter Parker, quando il giovane si guadagnava ancora il pane vendendo foto dell’Uomo Ragno al Daily Bugle, e presenta un Dottor Octopus rinnovato nel look grazie alla (in)abile matita di Humberto Ramos.
Nella storia, Peter conosce il fotografo Jeffrey Haight, artista il cui unico desiderio è vedere un suo scatto pubblicato in prima pagina e che non riesce a concepire come un ragazzo così poco interessato alla fotografia come Peter sia in grado di realizzare scatti di tale potenza ed essere sempre sul pezzo. Venendo a conoscenza delle sue ambizioni, il Dottor Octopus tenta di usare Jeffrey per uscire di prigione. Pur di spodestare Parker dalle pagine del quotidiani e ottenere un’esclusiva, Jeffrey farà di tutto, persino ingannare la fidanzata poliziotta, per aiutare Ock.
Disegnata da Staz Johnson, Sovraesposizione non vendette granché bene, nonostante la spinta promozionale del cinecomic Spider-Man 2, forse perché l’elemento supereroistico è trattato con superficialità, inanellando una serie di camei gratuiti (Mysterio, Avvoltoio) e concentrandosi più che altro sul vero tema della miniserie, l’arte: viene rivelato che a ispirare le braccia bioniche di Doc Ock è stata una delle icone dell’arte occidentale, l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci; si parla di talento artistico e di quale sia il valore di un’opera creativa. Nel campo della fotografia in particolare, ambiente che Vaughan conosce bene, avendo lavorato da giovane come fotografo freelance per il Northern Ohio Live, quotidiano della natia Cleveland.
Gli escapisti
Edita dalla Dark Horse (in Italia arrivata con Edizioni BD), Gli escapisti riprende il personaggio dell’Escapista creato da Michael Chabon nel romanzo Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, lettera d’amore alla Golden Age del fumetto statunitense in cui si raccontano, mischiando le biografie di Steranko, Siegel, Shuster, Eisner e altri grandi dell’epoca, le vicende di Josef Kavalier e Sam Clay, creatori del popolare supereroe Escapista. Dietro questo nome si nasconde Tom Mayflower, nipote dell’artista della fuga Max Mayflower che in punto di morte rivela a Tom la sua natura di supereroe reclutato dalla Lega della Chiave d’Oro, un’organizzazione nata per contrastare il male, e gli affida il compito di proseguire le sue imprese.
L’escapismo, inteso in ogni sua forma (dallo svago alla ricerca della propria identità), è uno dei temi maggiori del romanzo e la miniserie di Vaughan prosegue il discorso mettendo in scena le vicissitudine metafumettistiche di Max Roth, giovane scrittore ebreo che userà i soldi dell’eredità paterna per comprare i diritti del personaggio e poterne pubblicare nuove storie – storie in cui Tom è morto e un nuovo Escapista dovrà entrare in scena – insieme al disegnatore Case Weaver e al letterista Denny Jones. Quest’ultimo inizierà a indossare il costume dell’eroe e a combattere i criminali nel tentativo di portare pubblicità al fumetto, in un antesignano esempio di marketing virale.
Già protagonista dell’antologia Le nuove fantastiche avventure dell’Escapista – in cui compariva l’ultima storia di Spirit scritta da Will Eisner – Gli escapisti è uno sferzante commento sulle mode del fumetto, in bilico tra uno sguardo nostalgico al passato e un continuo tentativo di rinnovamento.
L’orgoglio di Bagdad
Durante i bombardamenti in Iraq dell’aprile 2003 un gruppo di leoni fuggì dallo zoo di Bagdad, vagabondando tra le macerie della città. Vaughan colse lo spunto per scrivere L’orgoglio di Bagdad (Pride of Bagdad, in Italia edito da Planeta DeAgostini, quindi la traduzione del titolo è quello che è), un racconto allegorico alla Fattoria degli animali su un branco di felini alla ricerca di una nuova sistemazione. Senza scadere in facili giochi retorici, Vaughan tenta di rendere la vicenda quanto più rotonda possibile, dando a ogni protagonista un punto di vista sul conflitto: il leone individualista Zill, la giovane compagna Noor disposta al compromesso, il cucciolo Ali sballottato dagli eventi e la leonessa conservatrice Safa.
Disegnato da Niko Henrichon, L’orgoglio di Bagdad è un fumetto dai toni post-apocalittici che ha in nuce elementi fiabeschi, come i pochi personaggi errabondi in una terra ostile e privata dell’elemento umano; non a caso la dimensione dell’uomo è cancellata alla stessa maniera in cui Spielberg cancellava la sfera dell’adulto in E.T., non eliminandolo dall’equazione ma rendendolo simulacro vuoto, i volti sono oscurati e la figura è tagliata in vita, mettendo il lettore all’altezza del bambino. Qui invece, il lettore è calato all’interno di una società animale strutturata quanto la nostra (tanto da possedere i concetti di bellezza, avidità e tradizione). Ecco allora che si tentano patti di non belligeranza con le gazzelle, si diffida dalle scimmie scavanger e, quando le bombe abbattono le mura, le gabbie, i recinti viene meno quel fragile sistema di relazioni e il leone si trova a gestire le due compagne, una delle quali è la madre del cucciolo. Resta solo il branco e quel senso di libertà apparente destinato a rimanere tale.
Dottor Strange: Il giuramento
Altra storia in cinque parti, tipicità che svela il retroterra da sceneggiatore per il cinema di Vaughan: 110 pagine è la lunghezza media di un copione. Altro lavoro Marvel meno considerato, Il giuramento è uno studio caratteriale del Dottor Strange che, all’epoca della pubblicazione (2006) stava vivendo una seconda giovinezza. In quel periodo, infatti, era una presenza fissa nei Nuovi Vendicatori, aveva un film animato in uscita, le sue origini erano stato aggiornate dal reboot Principio e fine di Joe M. Straczynski e Il giuramento è un altro segno del palese fermento attorno al personaggio. Era dalla fine degli anni Ottanta, con cose tra il pessimo e l’affascinante (quanto bella era A Shamballa?), che lo Stregone Supremo non era protagonista di così tante storie.
La miniserie si apre sul corpo morto di Strange, colpito dalla pistola di Hitler, mentre la sua proiezione astrale, ancora intatta, dovrà indagare sull’identità dell’assassino. Il giuramento ricade nelle tematiche delle narrazioni vaughaniane, quelle in cui il passato si mescola agli elementi del presente, spingendo il tutto in avanti: se da una parte affonda le mani nel canone delle storie di Strange dall’altra innesta concetti futuribili, come la cura per il cancro, o snodi narrativi inediti. Passa in rassegna le tappe fondanti del personaggio ma vi affianca la nuova alleata Linda Carter, l’infermiera di notte tornata in auge grazie a Brian Michael Bendis (suo il merito di averla inserita in alcune storie di Devil).
A tratti un’avventura colorata e a tratti un dramma morale (è giusto anteporre i propri bisogni, salvando un proprio caro, a quelli della collettività?) impreziosito dalla matita ballerina di Marcos Martin, Il giuramento è una delle storie migliori di Strange ma anche una delle più godibili di Vaughan prodotte durante la sua tenuta alla Marvel.
The Private Eye
The Private Eye nasce nel 2013 sotto l’egida della Panel Syndicate, casa editrice online fondata da Marcos Martin che offre fumetti senza DRM, inserendosi in una tendenza di cui avevamo già trattato, in più lingue (per ora, oltre all’inglese, ci sono spagnolo, catalano, portoghese e francese). L’editore ha fatto parlare di sé per essere stato uno dei primi a scardinare le tradizioni del webcomic proponendo fumetti liberi da vincoli, il cui costo è deciso dall’utente, e realizzati da autori di fama consolidata. Martin ha infatti coinvolto Vaughan, amico di lunga data (oltre a Il giuramento, i due hanno lavorato insieme su Gotham City Secret Files) per lavorare a The Private Eye, fumetto composto da dieci uscite, e per ora fermo alla nona, che gioca con il mezzo, perché, oltre alle fulgide tavole in 16:9 di Martin, è un webcomic che descrive le derive distopiche dell’Internet, un Internet in cui il sistema cloud è collassato e la Grande Inondazione ha disperso documenti, foto e informazioni di ogni genere: tutti sanno tutto di tutti.
L’identità si è persa, dissoltasi tra una foto profilo e una spunta sul consenso informato e la gente indossa maschere nel tentativo di proteggere la propria privacy. In questo futuro senza web, il paparazzo diventato detective privato Patrick Immelmann dovrà investigare sulla morte di una donna che poco tempo prima lo aveva contattato per evitare che i datori del suo prossimo lavoro trovassero informazioni compromettenti su di lei. The Private Eye unisce il nuovo all’antico, in un retro sci-fi epico che mescola Dashiel Hammett a illuminanti previsioni sul futuro (già nella bozza del 2011 Vaughan descriveva gli isterismi causati dalla fragilità dei sistemi cloud).