Il primato della creazione di un supereroe che rappresentasse iconicamente gli ideali degli Stati Uniti non appartiene, purtroppo, al magico duo Simon & Kirby, ma allo Shield di Irving Novick, apparso sul primo numero di Pep Comics pubblicato da Archie Comics nel gennaio del 1940. Tuttavia, il loro Capitan America, la cui prima apparizione è del dicembre dello stesso anno, è il supereroe che meglio interpreta lo spirito patriottico.
Indelebilmente scolpito nella memoria di generazioni di americani, Capitan America – dopo essere caduto nel dimenticatoio alla fine della Seconda guerra mondiale – fu richiamato alle armi dalla Atlas nel 1953 su Young Men #24.
C’erano nuovamente i presupposti per sfruttare l’idea di eroi dai valori forti, e la Sentinella della Libertà poteva tornare in campo, stavolta per contrastare la minaccia rossa. Il diffondersi del maccartismo – con la sua peculiare strategia del terrore, con il giro di vite e la paranoia generalizzata – aveva acuito nei cittadini il timore della presenza del nemico comunista, creando così terreno fertile per il ritorno di Steve Rogers.
All’epoca Joe Simon e Jack Kirby erano nel pieno del periodo più creativo del loro sodalizio: passavano con estrema facilità da un genere all’altro, creandone di nuovi all’occorrenza e sfornando continue idee per soddisfare un mercato in continua crescita e dal gusto volubile. All’indomani del conflitto e dopo aver combattuto in Europa – dove non aveva mai abbandonato il disegno, arrivando a ritrarre i piedi assiderati dei propri compagni – Kirby era tornato a New York. Lì aveva preso casa in affitto accanto a quella del suo storico collaboratore, Joe Simon, con cui senza troppe cerimonie aveva ripreso a lavorare alacremente per diverse case editrici. Prima la Harvey, poi la Prize/Crestwood, creando un genere nuovo di zecca e dal successo inaspettato: il fumetto rosa.
Avevano fondato anche una propria casa editrice – la Mainline Publications – con cui pubblicavano titoli che spaziavano dal crime al western, passando per la sci-fi e le serie umoristiche, senza tralasciare la sperimentazione (Captain 3-D). Però, in questo fervido periodo, i titoli di maggiore successo furono il fumetto di guerra Foxhole, l’epico western Boy’s Ranch e quel Fighting American – di cui ci apprestiamo a parlare – creato in risposta alla rinascita della loro più famosa creatura.
Non detenendo più i diritti di Captain America, i due pensarono a un nuovo personaggio, incuranti del fatto che ne fosse un evidente plagio. Sin dalle origini, le vicende di Johnny Flagg ricalcano quelle di Steve Rogers: il debole Nelson Flagg, in seguito alla morte del fratello Johnny, soldato decorato ma ormai disabile in seguito alle ferite riportate in guerra, nonché voce radiofonica e televisiva della propaganda anti-comunista del governo americano, ne assume l’identità grazie ad un progetto delle forze armate, diventando il super-patriota Fighting American.
Il primo numero della serie appare negli store americani nell’aprile del 1954 e presenta storie intrise di propaganda maccartista a buon mercato e un mash-up tra crime e spy-story, con un novero di personaggi che sembrano strappati a forza dalle pagine del Dick Tracy di Chester Gould. Si veda ad esempio, il primo racconto contenuto in Fighting American #3, L’uomo che ha venduto la libertà, dove l’antagonista è il criminale Testaquadra Malloy. Questa vena fisiognomica attraversa tutta la produzione del duo come uno stratagemma didascalico per sottolineare il naturale abbrutimento morale dei comunisti. A questa fa eco una prosa pomposa e venata non solo di una retorica stucchevole, ma da battute che denotano una certa insofferenza verso la debolezza e la stessa bruttezza. In realtà, questa visione si esaurisce ben presto, spingendo il duo ad una completa revisione del progetto.
Il numero citato ospita una serie di storie che cambiano radicalmente il tono della serie, che prende una china umoristica per sfociare con risultati superlativi nel demenziale andante. Joe Simon scelse questa strada a causa del fallimento della politica di McCharty. Seguendo la timeline di produzione – retrodata di almeno un semestre rispetto alla data effettiva di pubblicazione – la svolta coincide con la feroce critica mossa dal giornalista Edward Murrow alla persona di McCharty e alla caccia alle streghe che la sua propaganda anti-sovietica aveva scatenato. See it Now ridimensionò il maccartismo e Simon colse subito il nuovo trend, sfruttandone l’onda: la minaccia sovietica persiste, ma è privata dei caratteri negativi e il risultato è una sbiadita copia dei criminali che popolavano i primi numeri.
I racconti assumono una vena ambigua e tra le pieghe si intuisce anche una sottile critica all”american way of life’ (nel breve racconto Lettera dal Paradiso o in Poison Ivan). Oltre a saggi di bravura di Kirby – qua abbastanza limitato a dir il vero – Simon sfodera un tratto più umoristico come in Operazione Amore. Il duo si concede anche una parentesi sci-fi, dove ricicla materiale creato per una striscia sindacata chiamata Tiger21, facendola passare come un sogno di Johnny Flagg. Durante la Golden Age nulla andava perso: tutto si riciclava e si adattava, creando a volte dei cortocircuiti creativi e, sicuramente, un clima dove le idee ribollivano smarrendo la paternità. A più di cinquant’anni di distanza, le storie imbastite dal duo fanno sorridere e a volte lasciano perplessi, ma restano un documento importantissimo di un periodo che da lì a breve sarebbe volto al tramonto.
L’edizione Bao Publishing, pur raccogliendo tutto il materiale edito su Fighting American – ad eccezione della sconclusionata ripresa degli anni Novanta voluta da Rob Liefeld e che gli costò una bella denuncia di plagio dalla Marvel, visto la geniale idea di dotare l’eroe di uno scudo – ha alcune pecche. Innanzitutto, il formato è leggermente ridotto rispetto a quello classico dei comic book, il che rende la lettura a volte non agevole e fa soffrire le tavole di Kirby. Mancano redazionali che inquadrano il progetto, ad eccezione di una breve introduzione di Simon, così come contenuti speciali. E poi, le traduzioni a margine della pagina se da un lato non rovinano le tavole di apertura di Kirby – si veda quella deliziosa del racconto Viaggio a Tokyo – appaiono come presenze estranee. Per il resto, la copertina rigida impreziosisce un volume che forse con un po’ più di attenzione non avrebbe sfigurato insieme alle altre riedizioni del mitico duo.
Fighting American
di Joe Simon e Jack Kirby
Bao Publishing, 2014
200 pagine, 20,00 €