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Nello studio di Julie Delporte

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di Camilla Pizzichillo

Per la nostra rubrica #tavolidadisegno, siamo volati in Canada e abbiamo incontrato Julie Delporte, autrice di Journal, un fumetto autobiografico che racconta due anni della sua vita dopo una difficile separazione sentimentale.

Julie Delporte è emigrata in Québec dove ha iniziato a pubblicare le sue prime fanzine e i suoi primi libri con il collettivo Colosse. Lavora attualmente come libraia a Montreal e con alcuni amici anima l’emissione radio Dans ta bulle! Una parte del suo lavoro è disponibile sul sito grandpapier.org.

Leggi anche: Journal, il diario sentimentale di Julie Delporte.

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Su quale progetto stai lavorando?

Un libro per bambini, una storia d’uccelli. Non si tratta di un fumetto e per il momento non ho ancora trovato un editore. E’ diverso tempo che lavoro su questo libro.  Contemporaneamente faccio delle ricerche per il mio nuovo fumetto, per il quale ho ottenuto una residenza in Finlandia in ottobre.

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Che tecniche utilizzi e quali sono gli strumenti che prediligi?

Le matite colorate e di tanto in tanto delle matite acquerellabili. Ne ho tantissime, di diverse marche. I colori sono sempre diversi, la tessitura…le adoro. Mi piacerebbe utilizzare anche della pittura acrilica. Ma per il momento non riesco ancora a servirmene veramente.

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Hai dei rituali prima di metterti al lavoro?

Ho bisogno di essere in un ambiente estremamente calmo. Disegno nel silenzio. Se non sono in un ambiente silenzioso (per esempio quando all’atelier c’è troppa gente) metto gli auricolari e ascolto dei rumori registrati nella foresta o il suono delle onde e mi aiuta a mettermi al lavoro. Ho delle difficoltà per concentrarmi e ad avere della disciplina. Un’altra delle cose che mi aiuta a mettermi al lavoro e il fatto di sistemare o di fare ordine. Quindi metto a posto la mia scrivania.

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Che autori consideri come delle referenze?

Tra gli autori di fumetti Dominique Goblet, Joanna Hellgren, Amanda Vähämäki. Sono tutte delle autrici che disegnano a matita.  Un altro autore che amo molto, che mi ha influenzato a livello tematico è David Libbens. Parla spesso della quotidianità e il suo lavoro mi è stato utile durante la scrittura di Journal, il mio primo libro autobiografico. Cerco di farmi ispirare molto anche dalla letteratura e dal cinema. In letteratura gli autori che lavorano molto sull’autobiografia come Annie Ernaux, che cito spesso in “Journal”. Per il mio secondo lavoro, mi sono lasciata influenzare più dal cinema. Nel mio lavoro c’è una certa lentezza e ricerco la stessa cosa nei film come ad esempio in Stromboli di Rossellini, dove la protagonista fugge e si perde nella montagna. C’è un rapporto alla natura molto forte come in Tarkovski, un rapporto quasi mistico.

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Com’è nata l’idea di fare Journal?

Ero studentessa e stavo scrivendo la mia tesi di laurea specialistica sulla bande dessinée autobiografica e analizzavo le sue diverse forme nei libri e sui blog.  Ho riscontrato una maggiore leggerezza sui blog e una certa uniformità: le autobiografie mi sembravano assomigliarsi tutte. All’epoca disegnavo poco. Mentre stavo facendo le mie ricerche, un’amica mi ha proposto di partecipare a un forum su internet dove ogni giorno per un mese ciascuno doveva pubblicare una pagina di bande dessinée autobiografica. L’ho fatto per un mese giusto per provare e mi sono resa conto che adoravo raccontare le mie giornate. Ho quindi deciso di continuare e questo progetto è durato quasi due anni. All’epoca non pensavo di farne un libro. E’ stato grazie a un’editrice di Koyama Press a Toronto che ho pensato di pubblicarlo. La prima edizione è stata quindi quella canadese in inglese. Ho dovuto tradurre dal francese ed è stato un lavoro molto lungo perché sono stata obbligata a riscrivere tutto a mano dato che la scrittura fa parte integrante del mio disegno.

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