Un lungo cammino è una riflessione sulla paternità, ambientata sullo sfondo di un futuro distopico in cui le grandi metropoli europee sono diventate qualcosa di molto simile a delle città-Stato. Fra una città e l’altra, una frammentata terra di nessuno è abitata dagli ultimi e dai non omologati, e in essa imperversano predoni, agenti governativi e trafficanti d’uomini. Niente di particolarmente nuovo, insomma.
Fin dalla copertina del libro è possibile individuare alcuni delle opere che più esplicitamente devono aver ispirato la scrittura di quest’opera: impossibile non pensare al bel romanzo di Cormac McCarthy La strada, da cui nel 2009 è stato tratto un dimenticabile film, ma anche a The Walking Dead (fumetto), con cui Un lungo cammino, al di là della sostanziale differenza di genere, condivide non poche scelte grafiche e registiche.
Echeggia, nel corso di tutto il libro, anche l’influenza del cinema di George Romero, in particolar modo per come il tema della lotta di classe viene utilizzato come costante sottofondo al viaggio dei due protagonisti e, soprattutto, per come i media rappresentino l’escamotage narrativo per fornire ulteriori informazioni sul contesto generale, senza ingolfare eccessivamente la narrazione principale. Inoltre il Ray Ferrier dello spielberghiano La guerra dei mondi ha molti tratti in comune con l’Ivan de Un lungo cammino, per come cerca di preservare la figlia, per quanto gli è possibile, dagli orrori del mondo. Sulla legittimità ‘etica’ di questa decisione si potrebbe discutere, nella misura in cui la (parziale) conoscenza di tali orrori potrebbe influenzare la scelta che chiude il volume.
Eppure, nonostante questi ingombranti progenitori, l’opera di Daveti e soci rifiuta il citazionismo spicciolo, la strizzata d’occhio. I riferimenti sono individuabili, ma come terreno culturale comune condiviso fra gli autori e il lettore, senza che però questi cannibalizzino lo spazio narrativo. Un lungo cammino s’impone come opera autonoma e, per usare una formula che ultimamente poco di frequente ben si adatta al fumetto di genere italiano, si fa leggere tutta d’un fiato…e con piacere.
Dopo un atterraggio di emergenza in zona ostile, e dopo aver perso la madre e il padre adottivo, il piccolo Alec viene salvato dal rude Ivan che inizia un lungo viaggio con il bambino, allo scopo di riportarlo a Parigi, per riconsegnarlo fra le braccia del suo genitore naturale. Inutile dire che il cammino sarà disseminato di pericoli e che fra i due si svilupperà, nonostante l’iniziale ritrosia di Ivan, un profondo legame.
La conclusione della vicenda è esattamente quella che ci si potrebbe aspettare. Il finale, del resto, rappresenta la parte più debole di tutta l’opera e quella su cui vale la pena spendere qualche parola in più. Togliamoci però prima gli altri, piccoli, sassolini dalla scarpa. Alec, pur se caratterizzato con competenza, non riesce ad andare oltre il livello di un personaggio ben scritto ma a cui è difficile credere fino in fondo. Anche se la struttura narrativa del libro, in linea generale eccessivamente compressa, non concede molto spazio agli altri personaggi, il protagonista Alec resta quello meno riuscito e paradossalmente meno approfondito. E questo, certo, non è un difetto da poco per un libro tutto incentrato intorno al rapporto fra i due protagonisti. Al di là di alcune, ripetute, incongruenze grafiche che lo riguardano e per cui risulta un po’ difficile attribuirgli un’età precisa, Alec è perfetto nel ruolo del bambino da salvare, ma tutto ciò che lo riguarda – una mimica essenziale e un po’ stereotipata, le poche battute che pronuncia etc – sia nel prologo che nella fase successiva, quando si trova, suo malgrado, a fare i conti con il mondo reale, dà l’impressione di essere esclusivamente funzionale. Una necessaria appendice del vero protagonista della storia, il molto più convincente Ivan. E non solo di lui. Alec è lo strumento che serve agli altri comprimari a rivelarsi: attraverso di lui la compagna di Ivan esplicita la propria voglia di maternità, il trafficante di cadaveri riflette sulla propria condizione e su quella del mondo in cui vive, suo padre naturale viene messo di fronte alle proprie responsabilità etc. Ottimo come cartina tornasole; come personaggio autonomo, di fatto, non esiste. Ivan è colui che agisce, colui che protegge, colui che sbaglia. Alec è sempre e solo Alec.
Questa assenza non impedisce però a Daveti e ai due disegnatori di costruire una storia appassionante, che suscita immediata empatia, e che ha fra i suoi maggiori meriti quello di muoversi in un delicato equilibrio fra plausibilità e ricerca dell’effetto drammatico non gratuito. Le azioni dei personaggi di Un lungo cammino, per quanto terribili possano apparire, sono sempre legate a necessità reali, contingenti: la necessità di procacciarsi del cibo, quella di avere un posto dove vivere e, soprattutto, quella di intessere una rete di relazioni sociali e di affetti che serva come argine contro la follia del mondo. Quest’ultimo tema, fra l’altro, è quello che costituisce la necessità di quest’opera, il cuore, e al tempo stesso la parte umanamente più convincente della stessa. Conseguentemente ogni azione della storia è ben motivata e credibile, proprio perché risulta essere necessaria: quella che viene raccontata, in fondo, è la fatica di vivere. Forse solo in un paio di momenti si è andati a ricercare il facile effetto e infatti si tratta di scene che stonano con un’opera che è più dalle parti di un documentario dal futuro (o, per restare in ambito fumettistico, della bella e credibile miniserie di Peter Bagge Apocalypse Nerd) che di opere esplicitamente sopra le righe come Crossed.
Torniamo però a parlare del finale. Il libro, di 160 pagine, si chiude attraverso una sequenza di sette tavole. Queste sette tavole possono essere utilizzate per una riflessione sul passaggio di Un lungo cammino dalla sua originaria pubblicazione su internet sul sito del collettivo Mammaiuto a quella cartacea. Diciamolo subito: la seconda pare davvero più congeniale.
A differenza di altri fumetti pensati per il web e che sul web funzionano molto bene (fra quelli di Mammaiuto, per esempio, il verticale Mooned) le tavole di Un lungo cammino non sono pensate per essere lette sullo schermo di un computer. L’uso di una gabbia irregolare, di vignette sfalsate rendono una lettura “a scorrimento” non proprio ideale. Ma non si tratta solo di problematiche legate all’architettura della tavola. Anche dal punto di vista della sceneggiatura la complessa vicenda raccontata in questo libro è certamente penalizzata da una serializzazione come quella proposta sul sito. La divisione in capitoli originariamente proposta nel formato elettronico proponeva tranche da cinque-sei tavole, per complessivi nove capitoli più l’epilogo, le sette tavole di cui sopra. Troppo poche per permettere di pubblicare porzioni di racconto del tutto comprensibili e convincenti, quelle cinque-sei-sette tavole rappresentavano, forse, un tentativo un po’ goffo di muoversi a cavallo fra due forme: il web comic, senza però riuscire a trovare il giusto respiro e, per quanto riguarda la divisione in capitoli, le serie tv di ultima generazione. D’altra parte la pubblicazione in cartaceo, pur riportando l’opera alla sua forma d’elezione, si porta dietro dal web, come eredità, questa eccessiva frammentazione che mostra il fianco in maniera più evidente nell’ellissi del viaggio attraverso il traforo del Monte Bianco e soprattutto, nel frettoloso e appiccicaticcio finale.
Ed è un peccato, perché un’opera autoprodotta di ottimo livello come questa, trasparente, chiara, capace di stare almeno sullo stesso livello dei prodotti dell’editoria “ufficiale”, finisce per apparire come il prologo o il trailer di un qualcosa di più vasto. Ovvero la fantascienza, soprattutto letteraria, ambientata in Italia, quasi esclusivamente ad opera di autori italiani, forse per una carenza di esotismo e per la marcata esterofilia dei nostri lettori “di genere” (e per altri motivi che sarebbe troppo lungo approfondire in questa sede), ha da sempre grandi difficoltà nel risultare pienamente convincente e appassionante. Il mondo costruito da Daveti è invece pienamente credibile e grazie alla scelta di ambientare l’azione sullo sfondo di scenari in parte inediti, come quelli montani e prealpini, permette al libro di superare anche questa difficoltà. Il mondo di Un lungo cammino appare sovrabbondante rispetto al racconto che viene proposto, che avrebbe retto ugualmente molto bene in un contesto meno definito. Contesto che si presterebbe bene ad essere un punto di partenza per altri racconti, un ceppo su cui innestare altre storie, spin-off, narrazioni parallele e convergenti.
Viene voglia di saperne di più di questa sorta di Italia dei Comuni dell’anno 20xx, di questa Terra del futuro, viene voglia di sapere cosa sia successo ai personaggi che abbiamo incrociato e che siamo stati costretti ad abbandonare fin troppo in fretta. Perché non raccontarlo?
Un Lungo Cammino
di Samuel Daveti, Lorenzo Palloni, Francesco Rossi
Mammaiuto, 2014
160 pagine, 12 €