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Briganti: gli appunti di Magnus

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È Mirko Tavosanis, all’interno della recente riedizione de I Briganti di Magnus per Rizzoli Lizard, a introdurre alla pubblicazione di una piccola chicca: gli appunti stesi da Roberto Raviola, sulle pagine di un quaderno, a proposito del suo lavoro. Un documento che testimonia la grande attenzione dell’autore nei confronti dell’opera letteraria cui si era ispirato, risegmentato secondo i propri obiettivi narrativi.

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Nella introduzione, Tavosanis si concentra dapprima sul romanzo cinese “I briganti”:

In Italia quasi nessuno li ha letti e pochissimi li conoscono. I briganti, però, sono uno dei classici della letteratura cinese. Stampato per la prima volta nel 1368, noto in più versioni, oggetto a volte di culto, a volte di censura, e a volte di vero e proprio merchandising (sono famosi per esempio i disegni dei personaggi realizzati nel 1640 da Chen Hongshou per una serie di carte da gioco), il romanzo è stato a lungo un punto di riferimento per la cultura cinese. Il suo titolo originale nella trascrizione in pinyin, ShuhZhuàn (caratteri semplificati:水浒传; caratteri tradizionali: 水滸傳), letteralmente significa “storia ai margini dell’acqua” e fa riferimento al modo in cui venivano etichettati i briganti organizzati dell’epoca, la “fratellanza dei fiumi e dei laghi”, cioè le zone in cui il governo faceva fatica a imporsi.

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La storia dei Briganti procede per accumulazione di episodi, ma la trama di base è lineare. Inizia con un incauto funzionario imperiale che, per errore, libera centootto demoni, tenuti prigionieri da un antico incanto. Le creature soprannaturali si reincarneranno in quelli che diventano i protagonisti dell’opera, cioè i centootto eroi delle paludi del monte Liang: il Monaco di Ferro, il sindaco Ch’ao Kai, il sostituto procuratore Sung… I quali, un po’ alla volta, iniziano a ritrovarsi nel modo descritto da Magnus e a formare un gruppo sempre più potente. Protetti dalle paludi, i briganti sconfiggono quindi tutti gli eserciti inviati dal malvagio maresciallo Kao per sottometterli. Anzi, nel nome della lotta alla corruzione, e di quella che a Sung viene rivelata come una vera e propria “missione divina”, riescono quasi sempre a far passare dalla loro parte i comandanti nemici sconfitti. E a questo punto la traduzione seguita da Magnus in pratica si ferma.

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L’adattamento operato da Magnus, come ricorda Tavosanis, nasce tuttavia dalla consultazione di un’edizione parziale del grande classico cinese:

Va infatti ricordato che Magnus seguiva rigorosamente quella che ancora oggi è l’unica traduzione italiana di buona parte dei Briganti, pubblicata nel 1956 da Einaudi. Che però è un prodotto non privo di difetti: innanzitutto perché non è tradotto direttamente dal cinese, ma dalla versione tedesca (!) pubblicata da Franz Kuhn nel 1934 a Lipsia. Inoltre, il lavoro stesso di Kuhn è tagliato in modo brutale: il punto in cui si interrompe è arbitrario, l’ampia seconda parte del romanzo è del tutto cancellata e gli eventi finali vengono condensati in un riassunto di poche pagine. I tagli, inoltre, riguardano anche diverse sezioni nel corpo della parte tradotta. Kuhn ha omesso per esempio il capitolo iniziale, con la liberazione dei demoni, che introduce fin dall’inizio il tema della predestinazione che porterà i centootto eroi a riunirsi per la “missione divina”; e ha omesso anche episodi classici come la tragica storia di Wu Sung, che diventa uno dei briganti dopo aver vendicato l’uccisione del fratello da parte della cognata Loto d’oro e del di lei amante. È interessante chiedersi come Magnus avrebbe trattato queste scene e queste vicende, se avesse potuto!

 

In occasione di questa riedizione, abbiamo inoltre ripubblicato una storica intervista rilasciata da Magnus a Orient Express e un estratto dall’ultimo capitolo della sua opera. 

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