Kick-Ass aveva la pretesa di raccontarci come si sarebbero presentati i supereroi nella vita reale. Super, invece, tagliava le spacconate fuori luogo del film di Millar & Vaughn per ammantare il tutto con un velo di malinconia disperata, consegnandoci un piccolo cult che tutti hanno visto per farsi quattro risate, finendo però col versare lacrime amare sul finale devastante (e pensare che in giro c’è ancora chi lo ritiene buonista).
Dall’altra parte del mondo (e sei anni prima) Takashi Miike, all’epoca sulla cresta dell’onda, ci raccontava il mondo dei tokusatsu, arricchendolo del suo personale immaginario, composto in egual misura di nostalgia e amore per l’infanzia. Si parla naturalmente di Zebraman (e sequel). Ci sarebbero poi da aggiungere anche l’islandese Astrotopia – fantastico, con i giochi di ruolo al posto dei super-eroi – e Defendor – abbastanza insignificante.
A questi film, inscrivibili grosso modo tutti allo stesso genere, è ora il caso di aggiungere un altro nome alla lista dei meritevoli: il taiwanese Machi Action. Come nel caso di Miike, anche qui niente mantelli e mutandoni, che lasciano il posto alle più folkloristiche tutine attillate alla Kamen Raider.
Come le migliori produzioni orientali ci hanno abituato, anche in questo caso a rendere irresistibile la pellicola è l’alternarsi di risate e lacrime, senza mai perdere di vista l’integrità dell’insieme. La trama di Machi Action è un bigino della tragicommedia ai tempi del nerd-centrismo: il protagonista Tie Nan – assieme al suo amico fraterno Monster – è la stella di una serie tv che ormai nessuno guarda più. Nonostante gli anni da rockstar siano ormai alle spalle, Tie Nan ci crede ancora, e cura in maniera maniacale ogni aspetto del suo show.
Tutto scorre tranquillo, fino alla successione ai vertici della rete televisiva. Al posto del vecchio proprietario ora le scelte saranno fatte dalla figlia, educata negli Stati Uniti e di ritorno dopo un sacco di anni all’estero. Tanto per non perdere tempo, la nuova dirigente decide al volo di cancellare Superhero Fly – così si intitola la serie interpretata dal protagonista – per far posto a un reboot molto più oscuro e violento (nell’aria, un vago sentore di déjà vu …). Il Nostro eroe si trova così disoccupato, costretto a trovarsi altri impieghi come attore. Peccato che l’unico personaggio che sappia interpretare – l’eroe senza macchia, ma con un sacco di mossette – non sia spendibile da nessuna parte. Tranne, forse, nella vita reale.
Togliamo ogni dubbio; se non fosse per i raffazzonati ultimi due/tre minuti avremmo tra le mani una gemma rara. Il trucco sta nel sospendere la visione al momento giusto (applicate il trucco spendibile per ogni film orientale: quando le cose vanno malissimo, di solito il film finisce lì) e nel godersi tutto quello che è venuto prima. Una piccola bomba.
Le gag più riuscite strappano una risata appoggiandosi unicamente su un candore naif che si sposa alla perfezione col nucleo tematico di tutto il lavoro, andando a parlare di sogni, amicizia e maturità. Dalla rinascita come improbabili imbonitori presso un canale di televendite, fino al finale, in cui avviene la sovrapposizione con i già citati Kick-Ass e Super, si passa per una serie di flashback che riveleranno perché il Nostro creda così tanto in quello che fa. E dubito vi rimarrà molta voglia di ridere dopo.
Machi Action è una pellicola forse più profonda di quanto il regista stesso possa pensare – escludendo sempre il finale, tanto attaccato con lo spago da puzzare in maniera inequivocabile di imposizione dall’alto – che descrive benissimo i problemi di tutta l’industria dell’intrattenimento. Il classicismo potrà essere sempre essere uguale a sé stesso, ma dalla sua ha basi umaniste, tali da renderlo in grado di invecchiare benissimo.
Il continuo riciclo di vecchie intuizioni, invece, porterà forse a produzioni più accattivanti – perfino il protagonista diventa, a malincuore, fan del nuovo corso del suo show televisivo – ma quanto potranno reggere senza una solida base su cui puntare i piedi? Lo scopriremo probabilmente solo tra una decina anni, quando finalmente potremo tastare il polso di molte uscite moderne già etichettate come “classici istantanei”. Avranno resistito alla prova del tempo, o saranno svanite nei miasmi della produzione d’intrattenimento, come un Avatar qualsiasi.
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