Grazie a Mondadori Comics arriva in Italia il primo tomo della saga steampunk Clockwerx, pubblicata originariamente in Francia da Les Humanides Associés.
Partiamo con le buone notizie: a differenza della gran parte delle produzioni francofone l’uscita è autoconclusiva e permette di godere dell’albo anche a chi non è avvezzo ai ritmi editoriali – non proprio travolgenti – d’oltralpe. Una fortuna che finisce oltretutto per rafforzare gli intendi degli autori. L’opera è infatti stata sviluppata inseguendo andamento e soluzioni da blockbuster e il fatto di potersela fruire da subito nella sua interezza va a sposarsi perfettamente con un’idea di genere ben precisa. L’importanza data a sperimentazioni e virtuosismi è minima, mentre tutto sembra votato alla solidità e alla costruzione di una tensione priva di cali.
Come da manuale abbiamo un misterioso – quanto pretestuoso – McGuffin a mettere in moto tutta la vicenda. Un minerale dalle proprietà prodigiose e dalla duplice valenza: permette contemporaneamente l’esistenza degli esoscheletri a vapore del titolo e da un senso agli antagonisti. Se la protagonista è la consueta eroina sola contro il mondo, la parte dei cattivi è interpretata da una misteriosa corporazione intenzionata a governare il pianeta grazie al potere di questo cristallo, custodito in una miniera persa nei meandri del sottosuolo di Londra.
Se volessimo tracciare dei paralleli potremmo dire di essere dalle parti dell’organizzazione di Neo Atlantide di The Secret of Blue Water o del Colonnello Muska di Laputa – Il Castello nel Cielo, con tanto di ribelli illuminati a mettere i bastoni tra le ruote agli aspiranti dominatori del mondo. Se l’originalità non passa certo da queste parti – trama e ambientazione sono identici allo Steamboy di Otomo, tra le altre cose – è indubbio che il materiale di partenza abbia fascino e non manchi di solleticare chiunque sia un minimo appassionato di fantascienza vintage. Poi, come si è già detto, ritmo e spettacolarità sono mutuati dal cinema d’azione statunitense, garantendo una densità di lettura tutto sommato soddisfacente.
Siamo alle prese con una versione extra-large e a colori de Le Storie Bonelli. Produzioni inattaccabili sotto qualsiasi punto di vista – ben scritte, ben disegnate, ben editate – se non nella mancanza di quel quid capace di farle apparire allineate con le forme più contemporanee di narrazione. Già il fatto che si siano utilizzati tre titoli di produzioni giapponese (vecchi di almeno 15 anni) per delineare la trama di un fumetto francofono del 2008 rende l’idea di come si voglia andare sul sicuro. Non si parla di mancanza d’originalità – è chiaro che nelle produzioni di genere le trame si possano riassumere in una manciata di plot, rimasticati ad arte da almeno cinquant’anni a questa parte – ma di una certa rigidità in fase creativa. Va anche detto che probabilmente un volume come questo rappresenta un investimento piuttosto ingente da parte di un editore. Quindi, stravolgere una formula capace di accontentare una fascia di consumatori ben più larga di quelli costantemente alla ricerca di novità, rappresenta un rischio tutto sommato inutile. Se non fosse che anche la roccaforte del fumetto francese comincia a mostrare le prime crepe. E allora ci si domanda: continuare a perseguire l’idea di prodotto semplicemente ben fatto, sulla lunga distanza, paga?
Un recente articolo del New York Times dimostra come l’estate appena trascorsa sia stata la peggiore degli ultimi anni per quanto riguarda gli incassi cinematografici, appellandosi al fatto che solo i titoli portatori di un qualsiasi afflato innovativo siano stati premiati (letteralmente: «Cosa separa i pochi vincitori dai molti perdenti? Nella maggior parte dei casi i vincitori hanno convinto gli spettatori di non essere una semplice riproposta gonfiata di quanto già visto»). Peccato che, leggendo la lista di questi fari nella notte (tutti seguiti o adattamenti di proprietà intellettuali già esistenti), venga più che altro da sorridere per la pretestuosità dell’affermazione. Non rimane che vedere anche questo come un segnale forte di quanto bisogno ci sia di un nuova generazione di scavezzacollo, pronti a rimettere in discussione le cose. Per ora limitiamoci a sfogliare prodotti come Clockwerx, godendo dell’estrema professionalità con cui sono stati confezionati e rendendoci conto – pagina dopo pagina – come questo non basti più.
Clockwerx
di Hostache, Henderson, Salvaggio e Izu
Mondadori Comics, 2014
112 pag., €14.99