La prima cosa che, neanche senza scherzare troppo, i due autori mettono in chiaro è che non si tratta di una autobiografia. Loro non sono una coppia e quella non è la loro storia. Il che, però, non toglie niente a Quei due, nuova prova del duo composto da Tito Faraci (soggetto e sceneggiatura) e Silvia Ziche (illustrazioni), che negli ultimi venti anni ha partorito molti e convincenti lavori: da non poche storie per Topolino a progetti come Diabolik sottosopra e opere più personali come Infierno!.
Quei due è un lavoro intelligente e, in un certo senso, furbo. È un fumetto generazionale, innanzitutto. E poi è ambientato a Milano, nel clima “hip” che la città sta vivendo da qualche anno, fra gentrification, verticalizzazioni edili e hipsterizzazione interiori. Quei due è una storia destinata alla Generazione Y, ovvero alla Millennial Generation, alla Generation Next, alla Net Generation.
Chiamatela come volete, descrivetela come volete, ma soprattutto stupitevi perché, con intelligenza e mestiere, Faraci e Ziche hanno immaginato e colto un aspetto fondamentale: i trentenni di oggi stanno sbocciando alla vita e con essa ai problemi che questa porta. Incluso tradimento, separazione e milioni di compromessi che fanno tanto “sit-com” ma che in realtà, anche caricandoli di tonnellate di disincanto e di ironia, sono la materia grumosa di cui è fatta la vita. È la postura narrativa che ha avuto in televisione Friends a cavallo del nuovo millennio.
La storia si può riassumere in breve come recita il bugiardino di Bonelli: «Lei è Marta, lui è Marco. Un tempo si amavano, e ora si detestano». Detto meglio: «Sembravano una coppia solida, meravigliosa, innamoratissima, ma l’amore eterno ha spesso una data di scadenza scritta in piccolo. Quei due se ne fanno di tutti i colori e, dopo l’inevitabile separazione, la scelta più logica sarebbe cercare di vedersi il meno possibile, o meglio mai più, se non ci fosse di mezzo la loro osteria sui Navigli, e un’inevitabile convivenza controvoglia…».
La trama è divertente e al tempo stesso consolatoria, partendo però da un’idea di famiglia e di “esseri adulti” rivisitata per il XXI secolo. Ma è il terzo passaggio della brochure della Bonelli a essere quello rivelatorio: «Nella Milano che guarda al futuro, un irresistibile gruppo di personaggi mette in scena l’eterna commedia agro-dolce dei sentimenti amorosi». Già, la Milano che guarda al futuro. E che cresce, cresce. Cresce.
Perché l’operazione Quei due di Ziche e Faraci (finalmente li metto in un ordine cavallerescamente corretto) è una doppia operazione, come accennavo. Dedicata alla generazione dei millennials, ma anche e soprattutto testimonianza e celebrazione di quel che Milano è diventata negli ultimi dieci anni. Un racconto che vuole vivere sopra, e costruire una mitologia attorno, alla ex “capitale morale” del nostro Paese, oggi tornata prepotentemente a vivere una posizione centrale nell’economia italiana, in perfetta dualità yin-yang con Roma, invece profondamente in crisi (ma è da quando la capitale dell’Impero romano si spostò nella città ambrosiana che questa dualità esiste e che Roma è ciclicamente in crisi).
Sia chi scrive che Faraci abitano a Milano e so che lo sceneggiatore vive e trae energia dalla Milano dei Navigli – forse la più vecchia idea piazzata dell’immaginario collettivo popolare del 900 relativamente alla città meneghina – e dal pensiero che questa possa essere qualcosa di più che non semplicemente una grande città del nord in cui i servizi funzionano e le case costano molto care. No, la Milano degli anni Venti, come racconta Il Foglio in modo molto, molto critico (ripreso qui dal Post) è anche una cartolina su Instagram, una bolla con un immaginario che è più complesso da sondare e cartografare, ma che è sicuramente artificiale e artificiosamente costruito da abili strateghi del nord.
Milano è diventata la testimonial del XXI secolo digitale e aspirazionale ma, al tempo stesso, anche della sua dimensione più nostalgica. La città è una testimonial dei tempi che cambiano in un Paese che vive con molte velocità, ma sicuramente non con quella meneghina. Tuttavia, Quei due più che racconto di un tempo specifico, cerca di essere una specie di testimonial che attrae e ispira. Per questo è anche nostalgico: ci ricorda di un modo di vivere quasi bucolico, una messa in scena priva delle asperità della vita quotidiana.
È un fumetto che gioca la parte dell’influencer più che quella del feuilleton del nuovo che avanza. Ed è una storia costruita in laboratorio, come un esperimento sociale con fini di lucro, grandi o piccoli che siano. Un romanzo popolare che cerca di capitalizzare su schemi ricorrenti declinati per la Coming-of-age story di una nuova generazione e, contemporaneamente, sulla felice congiuntura economica, politica e sociale che sta vivendo la città di Milano.
Chiarito il contesto e l’intenzione, Quei due è un fumetto riuscito, e spero che Bonelli decida, assieme ai suoi due autori, di andare avanti e portare il progetto oltre il suo folgorante inizio (del resto, nei redazionali si parla di “serie”). In questa Italia ci mancano i milanesi di Sapore di mare.
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui.