C’è un grosso difetto nell’ultimo albo della leggendaria e longeva serie Lucky Luke, l’ottavo dalla morte di Morris e il secondo realizzato dalla coppia Jul + Achdé: il titolo racconta solo una parte della storia. E nemmeno la più interessante.
Il motivo per cui è stato scelto questo titolo, e questa ambientazione, è chiaro. Per un fumetto francese, di ambientazione francese, realizzato da autori francesi per un editore francese e letto soprattutto da francesi – così tanti francesi che nell’albo è presente una gag ricorrente che ricorda che il personaggio è stato creato da un belga! -, Un cowboy a Parigi è un titolo molto più accattivante di Un cowboy scorta una mano gigante di metallo per il Far West.
Una donna speciale, di oltre 100 tonnellate
La trama, come spesso accade nelle storie del cowboy che spara più veloce della sua ombra, prende le mosse da un fatto storico. Come è noto, la Statua della Libertà fu costruita in Francia e donata agli Stati Uniti come simbolo dell’amicizia tra i due Paesi.
Nel 1876 Frédéric Auguste Bartholdi, lo scultore della Statua della Libertà, decise di inviare a Filadelfia la prima parte completata dell’opera, perché fosse esposta durante la Centennial Exhibition of Arts, Manufactures and Products of the Soil and Mine, Esposizione universale voluta dal presidente Ulysses Grant per festeggiare il secolo di indipendenza dal Regno Unito. Dieci milioni di americani poterono così ammirare la mano e la torcia in bronzo, entrarci e scattare loro delle fotografie; dopo la permanenza in Pennsylvania furono portate a New York, in Madison Square Park, dove i curiosi poterono visitarle internamente per soli 50 centesimi. L’installazione rimase lì fino al 1882, in attesa del resto della scultura.
In tutto questo tempo, oltre 120 mila cittadini statunitensi parteciparono a una raccolta fondi spalleggiata dall’editore Joseph Pulitzer (quello del noto premio giornalistico, ma anche quello che pubblicò per primo Yellow Kid), a volte versando anche solo un dollaro. Con quel denaro fu possibile costruire il piedistallo su cui poggiò la Statua della Libertà.
Intanto, nel 1978, in Francia fu completata la testa, esposta alla Fiera Mondiale di Parigi; le fonderie produssero l’ultimo pezzo nel 1884. Nel giugno 1885 arrivò a New York il cargo Isère con le 214 casse di legno e iniziò il montaggio della struttura, che prese circa un anno. L’inaugurazione ufficiale fu il 28 ottobre 1886.
Al centro di Un cowboy a Parigi ci sono questi avvenimenti. Lucky Luke incontra proprio Bartholdi, in viaggio attraverso il Far West per mostrare la manona e raccogliere finanziamenti per il progetto, e decide di scortarlo fino a Parigi, da dove torneranno con l’intero monumento. Inutile dire che tutto questo non è mai successo, e non solo perché il nostro pistolero è un personaggio di fantasia: lo scultore non ha mai compiuto un tour promozionale negli USA.
La libertà che gli autori si sono presi, di far agire in prima persona lo scultore, è però perfettamente funzionale alla storia e si incastra perfettamente nella tradizione di Lucky Luke. Un po’ come in Il piedidolci o La terra promessa, il cowboy deve scortare un uomo inesperto del Far West, e come in Rotaie sulla prateria o Il filo che canta si trova a proteggere una grande opera che renderà gli Stati Uniti quello che sono oggi. La presenza di Bartholdi rafforza questo secondo elemento: Jul lo mostra come il primo fan della propria creazione, appassionato, monomaniaco. Continua a declamarne le lodi, a spiegare quanto sarà importante, tanto da affascinare indiani, cercatori d’oro e addirittura i Dalton.
Attraverso l’oceano con Goscinny
Questo schema dura per la prima metà dell’albo, finché i due protagonisti non vengono a sapere che è stata raccolta la cifra per la costruzione e possono quindi partire per la Francia a recuperare il resto della statua. È la prima volta in cui Lucky Luke lascia il continente americano, e una delle pochissime in cui esce dagli USA: prima è stato solo in Canada o in Messico.
La Parigi che si svela al cowboy è quella della Belle Époque. Gli autori giocano quindi su un doppio aspetto: da una parte fargli incontrare i protagonisti di quella straordinaria stagione culturale (Victor Hugo, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, oltre al più ovvio Auguste Eiffel, ingegnere della Statua e ai fittizi Emma e Charles Bovary), dall’altra mostrare ambienti e situazioni tipicamente francesi ed estranei al West, non senza simpatici anacronismi.
Tutta questa parte si rivela, quindi, come un sentito omaggio all’autore che più di tutti utilizzava questi espedienti nei suoi fumetti: René Goscinny. Le vicende di Lucky Luke a Parigi possono ricordare quelle che vive Asterix nei suoi numerosi viaggi, quando si trova in una città straniera come Londinium o Genava.
D’altronde l’omaggio allo sceneggiatore è esplicitato già dalla dedica del volume, che fa riferimento alla sua emigrazione in Argentina e negli Stati Uniti: «Alla memoria di René Goscinny, che seppe attraversare l’Atlantico in tutte le direzioni ed erigere monumenti di amicizia tra i popoli»
Un nemico blindato
Come si scriveva all’inizio, le vicende di Lucky Luke questa volta non sono l’aspetto più interessante dell’albo. È invece memorabile il personaggio dell’antagonista, che potrebbe ambire all’Olimpo dei cattivi della serie a fianco di Billy the Kid e Phil Defer. Il suo nome è Abraham Locker, e non è un pistolero, ma il direttore dell’ennesima prigione in cui finiscono i Dalton. È un uomo ossessionato dalla sicurezza, fierissimo della sua struttura inviolabile, che ha come obiettivo nella vita la costruzione di un carcere a prova di evasione su un’isola rocciosa nel porto di New York, la stessa su cui dovrà essere eretta la Statua della Libertà. Per questo, lungo tutto l’albo, cercherà di opporsi al progetto, finanziando attentati ai danni di Bartholdi e del monumento.
Jul caratterizza il personaggio con questo solo elemento: la monomaniacalità nei confronti di sbarre e porte blindate. Ma lo fa con tale forza da sfondare il limite della macchietta e renderlo seriamente interessante. Locker è un esemplare perfetto di superbia, convinto che il suo modo di vedere le cose sia l’unico giusto, e non mostra umanità alcuna.
«Questa infatuazione per gli alti valori morali sarà la morte del Far West!» esclama disperato, a un certo punto. Il suo animo è blindato come le sue casseforti, tanto che verrebbe spontaneo domandarsi l’origine della sua ossessione per la prigionia e del suo odio per la libertà, se non stessimo leggendo un fumetto umoristico abitato da personaggi caratterizzati da tormentoni.
Che non sappia provare alcun sentimento positivo se non il desiderio di protezione è chiaro nella sequenza in cui mostra il suo adorato canarino: lo tiene incatenato all’interno di una gabbia, chiusa all’interno di una cassaforte. Il luogo più sicuro della prigione più sicura del West per l’unico essere vivente che sembra amare … e che ovviamente fuggirà alla prima occasione.
Una strada sicura per il cowboy?
Per quanto riguarda l’aspetto grafico del fumetto, purtroppo, c’è poco da dire. Achdé è troppo perfetto nella sua imitazione di Morris per creare dei momenti davvero entusiasmanti, tranne forse la tavola dell’inseguimento all’interno della Statua (sebbene, forse, più per merito di sceneggiatore e colorista che suo). Si vede però che si è divertito a caratterizzare i comprimari, come gli avventori del saloon, e a caricaturare i personaggi storici, alcuni più riusciti degli altri.
Il giudizio sul lavoro, insomma, potrebbe essere esteso all’albo tutto, impeccabile dal punto di vista tecnico, con buoni momenti di umorismo, ma mai davvero inventivo. È però il secondo albo buono – su due – scritto da Jul; possiamo sperare che nelle sue mani la serie regolare di Lucky Luke abbia trovato finalmente la buona strada, dopo qualche decennio dominato da alti e bassi.
Le avventure di Lucky Luke dopo Morris 8 – Un cowboy a Parigi
di Jul e Achdé
traduzione di Marco Farinelli
Nona Arte, novembre 2019
cartonato, 48 pp., colore
14,90 €
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui.